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Fino all'estremo

La vita è un datore di lavoro che non concede mai le ferie

 

 

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Un Cuba Libre per dimenticare

Post n°94 pubblicato il 30 Maggio 2007 da tefnutlagatta
 

Coppia seconda uscita, cena e cinema. Bla bla inutile. Tutti e due brutti come la fame, come schiacciati dal peso della gravità. Mettere l'amore sopra ogni cosa deve abbellire la figura, visto che per contro ci sono queste ragazze che si prostituiscono che d'estate hanno delle gambe da urlo, da urlo, cristo, vorrei veramente urlare quando le vedo. Ed è già la seconda volta che rischio di andare a sbattere col paraurti davanti per evitare di urlare.
Quello che mi è chiaro stasera è che non ho capito nulla della vita. E guidando in giro per la città la cosa mi appare ancora più lampante.
Tre cocktail già fatti. Uno al Kitch con amici di lettere che mi fanno sentire ignorante. Due al Kitch da sola dopo andati via gli amici, che non è una cosa bella da dire o da fare ma se stasera non mi alcolizzo muoio, grazie.
Prendo la macchina. Che poi è proprio una serata stronza, bisogna dirlo, perché a stare due secondi nel locale capisci di essere stupida almeno quanto gli altri. E per una che, come me, passa la vita a tentare di differenziarsi è una discreta botta essere stupida quanto qualcun altro.
Dicevo, prendo la macchina. Ma non ho voglia di andare dove mi sono prefissa di andare. Ho voglia di andare da un'altra, sbagliatissima parte. Difatti vado lì.
Parcheggio la macchina in seconda fila in una strada larga come un tacco a spillo. Scendo e dopo un po' che cammino, l'incredibile: corro. Sento l'urgenza. Mi batte il cuore, minchia!
Madonna che sollievo. Era qualche settimana che credevo che mi sarebbe servito soltanto per gli infarti e i pacemaker, d'ora in poi.
Dopodiché, secondo miracolo: lacrime. Mi sembra di assistere alla madonnina che piange sangue. Corro e le ricaccio indietro. Alla fine mi ritrovo seduta sul pianerottolo di pietra serena con la matita marrone prugna di Chanel (è un bellissimo marrone prugna di Chanel, proprio come mi ha detto la leggiadra commessa profumiera) tutta rigata sulle guance. Singhiozzo che mi devono sentire da Fiesole.
Minchia se sto male. Però almeno mi sento un essere semovente e non un vegetale, stasera. Un essere che ha un cuore, che ama una persona che non c'è. Che pensa: forse non c'è. Che spera che non ci sia. Che si asciuga il bellissimo marrone prugna di Chanel dalla faccia e tende il dito, perché è un essere semovente che oltre ad avere un cuore c'ha il dito. Che lo poggia sul campanello. Che mentre lo poggia chiude gli occhi e vede i suoi nerissimi che si aprono pesanti, seducenti, sopra un bacio. E che prima di accorgersene ha suonato.
Sono atea ma ora sto cercando una preghiera qualsiasi. E' una situazione brutta. E' una situazione ghiotta. E' una situazione riprovevole. E' una situazione fantastica.

Non risponde nessuno. Non ho il coraggio di suonare un'altra volta.
Ma poi che cazzo volevo fare non s'è mica capito. Cioè, nella mia mente perversa io andavo lì, gli dicevo ciao, da quanti anni non ci vediamo? Quattro? Ti dispiacerebbe scopare?
Magari nel frattempo si è fidanzato, sposato, si è trasferito e nel suo appartamento ci abita una famiglia di sceicchi che si sentono dei ganzi a pagare quaranta mentri quadri in centro a Firenze duemila euro al mese, non so.
In ogni caso, immagino che scopare non gli sarebbe dispiaciuto.
Queste riflessioni di alta filosofia le faccio mentre mi riavvio verso la macchina, un po' delusa, un po' melò, e controllando che non ci siano tracce di marrone prugna sulla mia giacca.
Mi volto a guardare il palazzo, illuminato dal bagliore aranciato dei lampioni. Sembra morbido. Flessuoso. E c'è qualcuno affacciato al balcone, illuminato dal bagliore aranciato dei lampioni pure lui. E ha una camicia bianca immacolata. E braccia magre. E ciocche di capelli che gli infestano le guance.
Mi guarda. E' impossibile che non mi abbia riconosciuta. Ho i capelli sciolti stasera, e siamo in pochi a portarli così spudoratamente lunghi e mossi.
Però, penso tra me, mi sa che ha capito che esitavo. Perché era abituato che quando avevo voglia di lui mi attaccavo al campanello come un'ossessa, altro che un trillino e chi c'è c'è. Ed è meglio non pensare a quanto ammontava la mia voglia di lui. No, è meglio di no. E' meglio di no adesso che lui mi guarda e io lo guardo, e già sto partendo per un trip nel passato dove esistono soltanto frasi tipo
ti desidero da spaccarmi la testa nel muro a forza di craniate.
Avrei bisogno di chiedergli chi è. Cosa mi rappresenta veramente nella vita, lui. E' la persona ideale per me? Anche se a parlarci all'epoca mi risultava quasi antipatico?O è la persona ideale per tradire la fiducia di qualcuno che a parlarci non mi sta antipatico per niente? E' uno che mi arrapa da bestia, come usano dire gli esimi professori dell'Accademia della Crusca, o è uno che mi toglie la voglia di mandare sangue al cuore, come dice Fossati?
O probabilmente è uno che, come me, insegue un sogno impossibile, sul quale non è disposto a transigere. E quando lo vedo giù come sto giù io quando perdo per un instante il coraggio di continuare l'inseguimento, allora non mi sento stupida uguale a chiunque altro. Mi sento stupida come possiamo esserlo soltanto io e lui.
Fa un cenno con il mento per salutarmi. E' un mento illuminato, che percepisco appena. Ricambio sciantosa, con la mano a borsetta, e me ne vado.
Tanto, penso in macchina, tanto ormai la cazzata l'ho fatta.
Scendo. Suono il campanello, e stavolta vorrei gridare: scròllati dal mio groppone, perché nella vita gli impegni sono noiosi, le responsabilità sono noiose, le convivenze sono noiose, e a ventidue anni mi annoio già abbastanza!
Invece dico: hai fame? Andiamo a mangiare.

Sulla strada del ritorno mi fermo all'Otium per farmi un altro Cuba Libre. Ma mica da sola, eh! C'è la disperazione a farmi compagnia. Lei però beve soltanto Midori.

 
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