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Paolo Mieli contro l'antipolitica. Incontro

Post n°223 pubblicato il 20 Ottobre 2007 da fabri.t
 

Incontro con Paolo Mieli, direttore de Il Corriere della Sera, l’altro ieri.

                                                                                         (foto repubblica.it)                                                                                           

L’incontro pubblico ha per tema “Politica e antipolitica”. (Audiovideo) Centinaia di partecipanti, tra cui il Rettore e Presidente della Crui Guido Trombetti, il Ministro Nicolais, giornalisti, docenti universitari e tanti cittadini interessati alla res pubblica. La società civile, quella che alcuni osano addirittura identificare, in cuor loro o in maniera sottesa, come espressione dell’antipolitica. Solo perché desiderosa di partecipare, di non essere esclusa dalla gestione della cosa pubblica, di sentirsi parte attiva; il Paese siamo noi tutti, no?

Comincia un excursus storico in puro stile accademico. Una lezione sulle origini dell’antipolitica e dei movimenti che accompagnarono la genesi dell’unità d’Italia, le sue distorsioni e i movimenti di protesta extra-sistema che sono sempre esistiti. L’antipolitica emerge quando la politica langue” dice Mieli. Direi quando la buona politica langue, allo stato attuale. “Non c’è da temere” dice, il ciclone dell’antipolitica passerà come sono passati i precedenti e si spegnerà tutto ad un tratto, dopo aver esaurito la sua energica spinta.

L’antipolitica per Mieli è da considerarsi una nevrosi e una malattia da debellare, è il male che fa divenire l’Italia una “maionese impazzita”. La politica esclusivamente partitico-parlamentare è il bene, è questa l’ortodossia del suo pensiero.  

Dice che “con la manifestazione di un comico (appellativo sottolineato molte volte durante la lectio giornalistica) l’Italia ha scoperto l’antipolitica”. Dà per scontata, semplicisticamente, la raffigurazione del movimento di piazza di Grillo come emblema dell’antipolitica. Mi appare come una comodità giornalistica, veicolata dai media come spiegazione di comodo e di riferimento di un moto di protesta.

Ed è invece a mio parere non una scoperta ma una presa di coscienza collettiva. E che sia oltre gli steccati ideologici, oltre gli schieramenti partitici non la vedo come un qualcosa di negativo. Cittadini-elettori che comprendono la situazione politica attuale più e meglio di quanto si pensi e che con spirito critico verso la classe politica dirigente (antipolitici, versus questi politici, è il punto da tenere in mente e sul quale non si è compreso) chiedono attraverso il megafono-Grillo di partecipare ad una buona politica. Buona non sa di buonismo in stile Veltroniano. Allora è lo stesso titolo della lectio che andrebbe cambiato. Non si tratta di antipolitica, ma di iperpolitica, intesa bene da Ilvo Diamanti come forte domanda di partecipazione pubblica, alle gestione della e decisione nella cosa pubblica.

Mieli sembra dipingere una forma di partecipazione pubblica extraparlamentare come un male assoluto. A me sembra invece che la politica al di fuori dei partiti cosa loro possa dare un contributo importante alla vita politica del Paese. Un non allontanamento. Non ci sono molti mezzi di partecipazione. Non lo è pienamente il poter mettere una croce su un nome primariamente promosso dalle oligarchie, scelto a discapito di altri quattro competitors di facciata, più complementari che alternativi.

Crede che il “Grillismo” non abbia sbocco pratico e che non dia una soluzione complessa a problemi complessi con cui ci si trova a confrontarsi oggi. E’ una semplificazione, ma lo è anche mistificarne il contenuto e l’approccio operativo (la raccolta di firme per un disegno di legge popolare) per guardarne il contenitore, una parolaccia.

Tante sono le domande e le critiche poste dal pubblico. Molti docenti universitari, tutti concordi nel ritenere l’azione innovativa di Grillo come un punto di partenza e di sviluppo, non solo di richiesta, di una buona politica, anche verso questo governo.

Mieli resta infine schierato in difesa ma ammette di essersi pentito per la dichiarazione di voto in un suo celebre editoriale del 2006. Il Paese, chiosa il direttore, preferisce la furbizia di chi lascia intendere tra le righe. Il Paese, direttore, chiede di essere ascoltato. Chiede partecipazione. Iperpolitica.   

 

 
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