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Un blog creato da Kaos_101 il 23/10/2006

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Rituali

Post n°163 pubblicato il 17 Agosto 2007 da Kaos_101
 

Amo i rituali, mi piace pensarli, crearli, adattarli a chi li dovrà poi “indossare”
Alla base di qualsiasi pratica magica c’è un rituale e io, che mago non sono, ho scoperto che, talvolta, proprio grazie ai rituali, mi è riuscito di creare qualche piccola magia.
Il rituale mette in relazione due entità: la divinità e il fedele, il mondo magico e quello reale, il demone e il suo adepto, ma anche, più semplicemente due individui che modulano la loro relazione sulla base di tali comportamenti.
I rituali sono come gli argini di un fiume che delimitano e incanalano il rapporto nella direzione voluta, sono come le briciole di pane di Pollicino, che rendono agevole ritrovare la strada anche quando ci si è persi.
Per molti l’istituzione di un rituale serve a stabilire una gerarchia tra chi lo impone e chi lo deve rispettare, per me, invece, è solo un modo per creare un legame, per gettare un ponte tra due persone, per legare maggiormente a me chi di quel rituale si servirà per non perdere di vista il suo obiettivo.
La cosa più affascinante è che, praticamente, qualsiasi gesto, qualsiasi azione può diventare un rituale.
Vale  allora la pena di ascoltare attentamente la nostra compagna per scoprire il percorso più adatto alla sua natura, dandole la certezza di non essere l’interprete di un copione preconfezionato, ma di abitare una cella le cui pareti sono state pensate e progettate per lei e per lei soltanto
Ci sono, è vero, una serie di elementi che non variano da relazione a relazione perché rappresentano una sorta di base, di “minimo sindacale” non negoziabile.
Sono atteggiamenti che servono a dettare l’habitus mentale che mi aspetto venga assunto da chi decide di percorrere con me un tratto più o meno lungo di strada.
In verità sono assai pochi, ma hanno tutti una loro specifica finalità.
E’ evidente che il l’obbligo di non accavallare le gambe e di tenerle discoste ogniqualvolta si abbia a che fare con me, serva a rendere tangibile quella totale disponibilità che mi aspetto di trovare nella mai schiava e, nel contempo, a contrastare la radicata abitudine, inculcata in anni ed anni di educazione, per la quale “non sta bene che una donna stia a gambe aperte”, che sarà pure verissimo, ma che nulla ha a che vedere con ciò che mi prefiggo di ottenere.
Così pure il divieto tassativo di utilizzare la locuzione OK serve a far capire che il rapporto che ci lega non è assimilabile a una banale amicizia e come mi sia dovuta una forma di rispetto rappresentata da un uso attento e meditato della parola.
L’obbligo, infine, di chiedermi l’autorizzazione prima di svolgere azioni come assentarsi, fumare bere o rispondere al telefono, è la dimostrazione di come la propria autonomia viene progressivamente limitata dalla scelta di appartenermi.
Al di fuori di queste disposizioni iniziali, comunque, si possono un’infinità di altri rituali che diventino la cifra specifica di ciascun rapporto.
Posso, ad esempio, decidere di dare un nuovo nome alla propria schiava, un nome con cui solo io la chiamerò e che, ovviamente, accentuerà la straordinarietà del rapporto che ci unisce. Un nome al quale ella risponderà senza esitazioni in quanto simbolo della propria appartenenza (un po’ come il nome segreto di certe tribù).
Si può pretendere di farsi dare del lei come elemento rafforzativo della propria specificità. E’ una modalità non priva di fascino, ma assai insidiosa perché, se non sentita intimamente, rischia assumere una valore puramente formale, svutando il gesto di qualsiasi valore evocativo ed ottenendo così l’effetto opposto a quello desiderato.
Proprio perché non esistono schemi fissi, sebbene sia alquanto restio ad usare tale sistema, non ho esitato ad imporlo quando ho compreso come l’uso del lei avrebbe aiutato la mia compagna ad “entrare nel ruolo”.
Non voglio dilungarmi su ciò che si può escogitare: ci sono rituali legati al modo di comportarsi in pubblico, all’atteggiamento da tenere in casa, all’abbigliamento da indossare  o non indossare, modi di rivolgersi a me e posizioni che voglio vengano assunte a un mio cenno.
Quello che conta è che tutto questo apparato di regole e di ordini non venga calato come una sorta di codice di procedura o di "policy aziendale" a cui attenersi, ma venga visto e vissuto piuttosto come un aiuto e uno strumento per rendere sempre più profondo ed esclusivo il rapporto che ci lega.
Non mi stancherò mai di ribadirlo: per me la mia schiava è una persona preziosa alla quale dedico attenzione, energie e tempo e che voglio sia felice di seguirmi nel percorso che ho pensato per lei.
 

Come diceva giustamente la volpe:
No,
disse il piccolo principe.
Cerco degli amici. Che cosa vuol dire “addomesticare?"
E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire “creare dei legami..."
Creare dei legami?
Certo,
disse la volpe.
Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo.  

 
 
 
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