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Un blog creato da Kaos_101 il 23/10/2006

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Sottomissione e servilismo

Post n°172 pubblicato il 09 Settembre 2007 da Kaos_101
 

Mi è stata posta questa domanda: “che differenza c’è (se c’è) tra essere sottomessa ed essere servile…

Rispondo ovviamente per quel che mi compete.

Esistono tanti modi di intendere il BDSM,  così come sono tanti i modi di concepire la vita ed i rapporti interpersonali.
Per quanto mi riguarda, ho sempre indirizzato la mia ricerca verso donne che avessero un cervello pensante, che è per me il primo strumento di seduzione.


 Naturalmente, un po’ per una congenita disponibilità a dare credito a chiunque, un po’ perché spesso ci mi sono voluto illudere che dietro a certi silenzi o a certe risposte cretine si celassero chissà quali verità nascoste, anch’io, come tutti, ho avuto le mie sonore delusioni e ho preso le mie brave cantonate.
Ciò premesso, però, la mia ricerca di una schiava si è sempre indirizzata verso una donna che avesse un carattere piuttosto forte e non certo verso chi si affida perché non sa stare in piedi con le proprie gambe.
Penso che una reale Dominazione presupponga la sottomissione, ma non preveda né gradisca il servilismo.
Mi spiego meglio: dato che quando si parla di Padrone e di schiava si adottano termini tutto sommato impropri, essendo la schiavitù fortunatamente bandita dal consesso civile, un rapporto Dom/sub non può che essere il frutto di una adesione spontanea e gratuita delle persone che la vivono in quanto parte più o meno integrante di una personale visione del rapporto o, semplicemente, come una modalità che lo vivacizza e lo completa.
Se ciò è vero, e ripeto io cerco questo tipo di relazione, la persona che vive con me questa esperienza, non ha motivo alcuno di sentirsi inferiore, anzi mi auguro sia orgogliosa di vivere qualcosa che ha per lei motivazioni e significati radicati profondamente nella sua natura.
E’ da quando mi sono accostato al BDSM che continuo ad imbattermi nell’annosa questione del “chi domina chi”.
Ovviamente i Dom affermano di essere senz’altro loro ad esercitare il controllo, cosa che i sub spesso contestano insinuando che siano proprio loro a dirigere “dal basso” le operazioni.  Il mio intento, invece, è quello di realizzare una sorta di necessità reciproca che fa sì nessuno eserciti un reale dominio sull’altro (se per dominio intendiamo prevaricazione), ma semplicemente che ciascuno dia il suo contributo, per la parte che gli compete, alla realizzazione di un progetto comune.
In tale ottica, è  evidente che la sottomissione, che la mia schiava mi tributa, rappresenta una sorta di riconoscimento del mio valore e della mia capacità di soddisfare le sue aspettative e che mi gratifica tanto più alto è il valore che a mia volta riconosco a chi me lo tributa.
La sottomissione, per me, è una sorta di accettazione, spesso “obtorto collo” di una necessità di piegarsi a me. Per contro il servilismo mi sembra nascere dalla volontà di compiacere, di dimostrare un’appartenenza che, nei fatti, si radica prevalentemente nel ruolo e non nella persona.

Voglio dire, se una donna si sottomette, lo fa perché non ne può proprio fare a meno, la donna servile, invece, adotta uno schema comportamentale che non sembra tanto determinato dalla persona a cui viene rivolto questa attenzione, ma, più semplicemente, a dare una risposta, chiamiamola “preconfezionata” a quelle che lei ritiene siano le aspettative del partner.
Un tale comportamento ha, di norma due possibili motivazioni: da una parte c’è una banale interpretazione di un ruolo al quale si aderisce solo formalmente, ma che, nel profondo è estraneo o non percepito, dall’altra, ed è la condizione peggiore, tale atteggiamento viene messo in atto da persone con un così basso livello di accettazione e stima di sé da convincerle che solo una totale mancanza di dignità e di decoro possa renderle degne di una qualsiasi attenzione.
Va da sè che nessuna delle due fattispecie testé illustrate rientra nella sfera di interesse.

 
 
 
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