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Irene

Post n°248 pubblicato il 31 Luglio 2008 da Kaos_101
 

Irene cammina nella notte, sola.
Lo sguardo vitreo, fisso, il passo incerto, barcollante.
Incespica sovente sulle asperità di quel tratturo, fiancheggiato da bassi muri di pietra, su cui avanza, come una falena, richiamata dai fari che sciabolano l’oscurità sulla strada che si indovina oltre la linea degli alberi.


E’ scalza.
Tra le dita della mano sinistra penzolano inerti un paio di splendidi sandali da sera con due stiletti al posto dei tacchi: due stiletti di acciaio lucido.
Anche il vestito è da sera: un miniabito aderente che la fascia come una seconda pelle, ma è strappato in più punti, una spallina si è staccata e la stoffa, non più trattenuta, ricade lasciandole scoperto il piccolo seno, ma, in quel momento, lei nemmeno se ne rende conto.
E pensare che l’aveva pagato caro quel vestito Irene: una piccola follia
Tanto si vive una volta sola
 si era giustificata con se stessa.
Si, si vive una volta sola e mai, prima di quella notte, l’ha sperimentato con tanta evidenza.
Alle sue spalle, a qualche centinaio di metri, si staglia la cupa macchia di alberi da cui sta fuggendo e dove è accaduto qualcosa di terribile.
Si qualcosa che non vuole ricordare, a cui si rifiuta ostinatamente di tornare col pensiero, qualcosa di cui, però, i segni evidenti le sono impressi addosso.
Per sua fortuna non c’è uno specchio a raccontarle com’è ridotta: braccia e gambe sono piene graffi e di lividi, l’occhio destro gonfio tumefatto e semichiuso, il labbro superiore spaccato, attorno al collo, quasi come una macabra collana, i segni evidenti di due mani che hanno tentato di strangolarla.
Irene avanza come un automa, cercando di non pensare, ma l’immagine di ciò che è accaduto nel bosco le esplode nella mente come una scarica elettrica.
Barcolla, si accascia, appoggiandosi al muro di sassi taglienti che le si conficcano impietosi nelle carni, senza che quel dolore riesca a superare la barriera di stordimento che l’avvolge.
Come una mano scottata, la sua mente si ritrae di scatto da quel grumo di angoscia e cerca pensieri meno devastanti in cui rifugiarsi.
Sabato sera.
Dopo una settimana di lavoro è il momento del divertimento, dello sballo
Si è preparata con cura per il rito che permette poi di sopportare la grigia vita quotidiana.
Doccia, ceretta, una controllatina all’inguine per accertarsi che non sia ricresciuto qualche pelo indesiderato, smalto.
Le è costato cinquecento euro quello straccetto, cinquecento euro sono tanti per chi ne guadagna mille al mese, mance comprese, ma, per una volta, Irene ha deciso di fregarsene.
Si vive una volta sola, e poi, se non mi coccolo io…
Certo se da bambina le avessero chiesto: “cosa vuoi fare da grande?” non si sarebbe mai sognata di rispondere  “la shampista” , ma con la penuria di lavoro che c’è, mica si può fare tanto gli schizzinosi.


In realtà lei tentava di farsi chiamare “Hair stylist”, ma i suoi amici non si lasciavano certo impressionare da quel titolo così altisonante, e seguitavano impietosamente a chiamarla “la lavateste”
Vita grama la sua, una volta pagato affitto  e bollette è tanto se le rimane abbastanza per mangiare e per le piccole spese e così i pasti saltati
sono a dieta devo perdere qualche chilo
diventano il pratica comune se vuole racimolare quattro soldi per  il superfluo: lo sballo del sabato sera, appunto.
Grande invenzione l’ingresso libero alle donne
Si ripete spesso con una punta di sarcasmo, perché Irene è disposta a rinunciare a tutto ma non al suo “Saturday night fever”.
In quelle poche ore deve scaricare, ballando fino allo sfinimento, tutta la merda accumulata in una settimana di lavoro di merda.
Ilaria, la padrona, che non perde occasione per umiliarla, quelle stronze di Stefania e Katia che con la scusa che sono  più “anziane” di lei le rifilano tutti i lavori peggiori, le clienti poi…
Mezzanotte. Cenerentola all’incontrario, Irene esce di casa per andare al suo Ballo di Corte.
Stasera è sola, Cosetta, la sua migliore, e unica amica, è a letto con l’influenza e così, dato che hanno aperto un locale nuovo a una ventina di chilometri da casa, di cui si fa un gran parlare, decide di andare a verificare di persona.
La Panda, come sempre, dopo aver minacciato di entrare in sciopero, si intenerisce alle sue preghiere e si mette in moto.
Il posto non è facilissimo da trovare ma alla fine, guidata dagli immancabili raggi laser, raggiunge la sua destinazione.
Nemesis,  il nome le sembra noto, ma poi, tratta anche in inganno dall’architettura orientaleggiante del locale, finisce per confonderlo con una divinità egiziana, una di quelle che ha visto nelle foto del viaggio di nozze dell’Ilaria.
C’è ressa all’entrata. Fortunatamente uno dei buttafuori la riconosce.
Ciao Irene
Ciao Paolo, ma tu non lavoravi al Paradise?
Si ma qui avevano bisogno di uno in gamba, mi pagano bene e sono anche più vicino a casa.
Sei sola stasera?
Si Cosetta sta male, ma io sola o non sola a casa il sabato sera non ci resto!
Ahahah, raccontala giusta, sei venuta sola per cuccare eh?
Ma dai! Che dici?
Si, sì, tutte sante voi fino a che non trovate quello che vi tira!
Passa di qua così non ti schiacciano, devo avere anche…sì eccolo: un buono consumazione, chissà che prima o poi non ti intenerisci e la dai anche a me, almeno per riconoscenza.
Che scemo che sei! Comunque grazie per il buono.
Il locale è già pieno di gente. Irene si guarda in giro. Si era aspettata di vedere le solite persone invece, contrariamente alle sue previsioni, le facce note sono davvero poche.


La cosa le procura un piccolo brivido di eccitazione.
Si vede come una spia in territorio nemico, sente che quel sostanziale anonimato la rende più libera di essere se stessa fino in fondo senza la paura dei commenti acidi di qualche “amica”.
La musica è bella e pompa un casino, Irene si lascia trascinare dalla calca, dimentica di tutto.
Dimenticati shampoo e phon, dimenticate le angherie di Ilaria, dimenticate quelle stronze di Stefania e Katia, ora c’è solo la musica e quella ressa di corpi che la circondano, la avvolgono, la nascondono, la proteggono.
Irene si annulla in quella melassa fino a quando qualcosa la fa riemergere da quella sorta i trance e lo vede:  è a pochi metri da lei che si dimena sulla pista non privo di una certa eleganza.
E’ proprio il genere di ragazzo che le piace: biondo, capelli a caschetto, non molto più altro di lei, magrolino.
No! Non se ne parla nemmeno! L’ultima volta, poi ti sei sentita in colpa per una settimana!La vocina della sua coscienza si fa sentire imperiosa.
Ma fregatene! Si vive una sola volta. E’ perfetto! Perché rinunciare?
Anche il Tentatore ha buone argomentazioni, ma Irene preferisce non ascoltarle.
Per non “cadere in tentazione” si allontana dalla pista,  raggiunge il bar e ordina qualcosa da bere.
Trova un posto un po’ defilato dove sedersi e si mette a sorseggiare pensosa il suo mojito.
Ciao che bevi?
Il biondino le sorride un po’ impacciato
Ciao un mojito.
Irene è turbata: le possibilità di ritrovare in quella ressa una persona intravista per un attimo, sono pressocché nulle eppure, in barba al calcolo delle probabilità, lui è lì e le sta parlando.
Ti ho notata in pista e ti ho seguita
Le dice quasi rispondendo alla sua tacita domanda.
Sei con qualcuno?
No sono sola e tu?
Solo pure io, non sono di queste parti, domani rientro a Milano...(continua)

 
 
 
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