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مراكش
E' l'ultima tappa del classico tour delle città imperiali del Marocco.
Ci arrivo al termine di un trasferimento massacrante: 12 ore di pullman su strade tortuose e spesso dissestate.
Il primo approccio con la città non è dei migliori: Marrakech non ha il mare di Djerba o di Rabat, non ha le suggestioni legate al mito di Casablanca, non ha nemmeno la raffinatezza e i colori di Fez.
Marrakech è monocromatica: Marrakech è rossa!
Rossa la terra polverosa della campagna circostante, rosse le mura un po’ barbariche che la circondano, rosse le case, rossa la Kutubiya, il minareto quadrato che ne è il simbolo.
La polvere onnipresente, rossa pure quella, mi infastidiscee e l’emicrania che mi tartassa non migliora di certo il mio umore.
Devo ammettere che la prima impressione non è stata particolarmente incoraggiante, tanto da farmi pensare:“vabbè ancora due giorni qui e poi si torna a casa. In fondo il resto del viaggio è stato splendido”
La mattina dopo tutti in piedi sul presto per il tour del souk.
E’ prassi consolidata che a Tarek, il nostro accompagnatore ufficiale, si affianchi in ciascuna città un’altra guida che, molto più che a illustrare le bellezze locali, è interessata a pilotarci nei “negozi convenzionati”.
Purtroppo per lui, essendo l’ultima tappa del nostro viaggio, abbiamo tutti, chi più chi meno, completato gli acquisti di souvenir e di pacottiglia varia e così il nostro accompagnatore, indispettito dalla nostra scarsa collaborazione, dopo un veloce giro turistico, decide che è inutile perdere altro tempo con noi e ci abbandona al nostro destino.
Tutto, insomma, sembra indicare che il soggiorno a Marrakech resterà l’esperienza più deludente di quel viaggio; tutto fino al tramonto…
Verso le 18,00 Tarek ci viene a prendere e ci conduce in piazza Djem el Fnaa, il cuore pulsante di Marrakech.
La piazza è delimitata su due lati da alcuni edifici dai quali si aprono delle terrazze riservata ai turisti che, comodamente seduti sorseggiando un drink o un the alla menta, vogliano godersi lo spettacolo senza “sporcarsi” con quell’umanità allegra, chiassosa, rissosa e a volte dolente che invade lo spazio sottostante Dichiariamo senza esitazione che non siamo disposti a vivere una simile esperienza da lontano e così Tarek, con evidente compiacimento ci conduce in mezzo a quella folla multicolore ed eterogenea.
Volute di fumo si alzano dai bracieri dove si preparano cibi di tutti i generi: brochettesm mechoui, cous cous, dolci di mandorle, ciambelle fritte e Dio sa cos’altro.
L’aria è satura di odori che si sovrappongono e si mischiano tra di loro dando luogo ad una sorta di nuvola aromatica che ci avvolge e ci stordisce, e dalla quale emerge di tanto in tanto l’unico profumo riconoscibile, quello dell’onnipresente cumino.
Tarek ci indica una lunga fila di neri ombrelli aperti e appoggiati e ci spiega che si tratta dell’area riservata agli scrivani che per pochi dirham, offrono ai molti analfabeti i loro servigi.
Più oltre uno stupefacente mucchio di denti, posato a terra su una coperta, indica lo “studio” del dentista locale.
Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare , costui più che a curare i denti, sembra impegnato a convincere i potenziali clienti a farsi estirpare i denti.
Al posto di quella che lui sembra considerare e di certo descrive come una fonte inesauribile di problemi, offre all’attento pubblico che lo circonda, una modernissima, si fa per dire, dentiera, di cui non si stanca di magnificare i vantaggi.
Ancora oltre l’immancabile incantatore di serpenti col suo cobra ondeggiante, talmente abituato al suo numero da rivolgere tutta la sua attenzione a me per lucrare sull’eventuale foto che intendo fargli.
Ci spostiamo, attirati da un clangore infernale : è gruppo di danzatori vestiti di bianco con in testa un fez nero sul quale è fissato un cordone di una cinquantina di centimetri dello stesso colore.
I ballerini stringono in mano uno strumento di metallo, una via di mezzo tra nacchere e cimbali, con cui scandiscono i tempi della loro danza che consiste in una serie ininterrotta di salti sul posto con il contemporaneo movimento del capo che provoca il roteare vertiginoso di quella sorta di “coda di cavallo”
Lo spettacolo, evidentemente particolarmente apprezzato, ha richiamato un gran numero di persone che si sono assiepate attorno al gruppo di danzatori accompagnandoli con il battito ritmato delle mani.
Subito a fianco di questo centro d’attenzione scorgo un uomo, abbigliato con un suntuoso un abito femminile che imita, con sospetto languore, le movenze tipiche di una danzatrice del ventre.
A differenza di quanto accade lì accanto, qui non c’è nessuno che lo applauda o lo incoraggi, solo alcuni ragazzini che imitano sguaiatamente le sue movenze e lo scherniscono con quella crudeltà che solo i piccoli sanno avere.
E’ solo un attimo, sono trascinato di nuovo via da quell’umanità ricca e multicolore che ti sfiora, ti sollecita a comprare, ad assistere ad uno spettacolo, a seguirla chissà dove in quel caos di bancarelle.
Tutto è avvolto dal vociare degli astanti, dalle grida dei venditori, dal suono degli strumenti musicali che creano una sorta di “placenta” sonora nella quale abbandonarsi e perdersi con un senso quasi ipnotico di estraniamento dalla realtà.
Un’esperienza davvero unica e coinvolgente che rese quell’ultima notte in terra d’africa la più intensa e magica tra tutte quelle che avevo passato.
...peccato che tutto cambi...ecco com'è ora quel posto fantastico...
Inviato da: winnysilly
il 13/04/2019 alle 21:18
Inviato da: chiarapertini82
il 05/02/2016 alle 19:28
Inviato da: scampipercena77
il 01/02/2016 alle 12:00
Inviato da: sagredo58
il 11/11/2013 alle 18:32
Inviato da: logan10
il 07/01/2013 alle 16:42