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27/10/2009 BAIA (NA): DELUSIONE PER L'APERTURA-FLOP DEL MUSEO

Post n°36 pubblicato il 02 Novembre 2009 da sergius65

 

Museo chiuso per lutto. È successo domenica al castello Aragonese di Baia dove ben trentotto, delle cinquanta nuove sale del Museo Archeologico dei Campi Flegrei, non hanno potuto aprire per mancanza del personale di sorveglianza. Nella notte era morto un collega e così l'altra mattina al lavoro erano in tre su dieci, Troppo pochi per consentire anche l'espozione dei reperti di Cuma, Baia, Misenum e Liternum ai trecento visitatori che, ignorando il richiamo del mare nella giornata praticamente estiva, avevano partecipato alla prima delle cinque due aperture straordinarie autunnali del castello. E che in alcuni casi hanno anche protestato chiedendo la restituzione del costo del biglietto. Uno spiacevole incidente o un'altra brutta figura per una città e una regione che hanno un bisogno disperato di rifarsi gli occhi, e le tasche con il turismo, la storia, la cultura? «Concordo con lei. Un'altra brutta figura». Maria Rosaria Salvatore, da due mesi alla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei è in ferie da qualche giorno ed ha appena appreso nessuno del suo ufficio ha provveduto ad informarla della sgradevole domenica dell'arte andata in scena al Castello. «Rimborsare il prezzo del biglietto mi sembra doveroso ma non serve certo ad attenuare la brutta figura. Anzi». E però. Però non ci sta la Salvatore a veder sparare addosso ai suoi dipendenti. E a chi le riferisce che per l'assessore regionale al Turismo Riccardo Marone «c'è un problema di eccessiva tutela del personale dei siti monumentali» risponde decisa che il personale di custodia è «sufficientemente tutelato», che la tutela di un lavoratore non è mai «troppa». Troppo pochi, rilancia il sovrintendente, sono invece i sorveglianti: «quello che è accaduto domenica non fa che dimostrare che il personale non è sufficiente. Se si continua così, meglio chiudere». Chiudere? Possibile che dopo tutto quel parlare, e fare, per valorizzare i siti negati basti davvero un lutto per mandare all'aria tutto? Non c'era modo, per esempio, di sostituire il personale assente?» Chi domenica non era a lavoro ha rinunciato ad una prestazione straordinaria e come tale retribuita. Nessuno, quindi è autorizzato a pensare che ci possa essere stato, da parte dei custodi, un accordo per assentarsi tutti insieme. Sostituirli era impossibile: cosa avremmo dovuto fare, chiamare del personale da Pompei e spostarlo a Baia? La verità - risponde il sovrintendente - è che se la coperta è corta c'è sempre qualcuno che rimane scoperto. Anzi, proprio Pompei è la punta dell'iceberg di una situazione che in Campania è disastrosa ovunque: nell'arco di trent'anni il personale si è più che dimezzato e sarà sempre peggio perché chi che va in pensione non viene e non verrà sostituito». «I siti museali sono una risorsa fondamentale per la Campania» ha detto ieri Marone: come si può pensare di chiuderli? «Io direi che se non c'è personale sufficiente, forse non andavano proprio aperti. Ma la soluzione - conclude la Salvatore - era stata trovata con l'accordo di programma che prevedeva per alcuni siti, tra cui proprio il museo archeologico dei Campi Flegrei il passaggio di gestione alla Regione. Perché questo passaggio non è mai stato fatto?».

Se non se ne avesse la prova provata, il disservizio di domenica, in occasione della riapertura del Museo di Baia, sembrerebbe frutto della fantasiosa vena ironica del più classico «feuilletton» in salsa napoletana. Gli ingredienti ci sono tutti: l'attesa per l'evento culturale di spicco, la concitazione di autorità e organizzatori, la folla di visitatori ansiosi di varcare la soglia del Castello-Museo lungamente negato al pubblico, la partecipazione dei custodi alla cerimonia funebre per un collega. Si, proprio in coincidenza con la riapertura, da tempo annunciata, Così, di necessità virtù, la direzione non ha potuto fare altro che improvvisare un'improbabile giustificazione per circoscrivere a meno di un terzo il percorso museale. Con delusione, dispetto e, affatto malcelata rabbia dei visitatori gabbati. Fin qui la cronaca di una realtà, tutt'altro che straordinaria, di un modello di gestione del bene collettivo, che colora di precarietà diffusa l'anomalia napoletana; a conferma di un'esperienza ricorrente nei più svariati settori dei pubblici servizi. Avrà pur ragione l'assessore regionale al ramo a prendersela con un genere di sindacalismo strisciante, attento ai particolarismi di categoria, quanto distratto nei confronti del più generale interesse collettivo, che presupporrebbe da parte dei fortunati titolari del celebrato «posto fisso», efficienza e produttività nei servizi resi al pubblico. Non c'è dubbio alcuno, poi, che la stessa dirigenza, il gestore pubblico del bene museale, finisca per possedere armi spuntate per reagire, tempestivamente, all'insorgere di inattese emergenze, privo di autonomia concreta, poverissimo di mezzi finanziari adeguati. E, se lo Stato, nel tracollo delle proprie finanze, non trova che pochi spiccioli per la gestione ordinaria, ed assolutamente nulla per quella straordinaria, lasciando musei ed ogni altro bene culturale indifesi dal rischio di degrado e nell'impossibilità di assolvere il proprio ruolo, perché mai la tanto declamata intesa con la Regione, per il decentramento della gestione di alcuni fondamentali siti di preminente interesse turistico-culturale regionale, continua a languire? Osservando i fatti concreti, riflettendo su tempi e procedure, c'è tuttavia da chiedersi se siano i soldi, l'indispensabile coordinamento, oppure l'inerzia politica, nell'assunzione di decisioni efficaci, a costituire l'effettivo ostacolo ad una riorganizzazione del settore che possa effettivamente garantire che i siti museali e le risorse storico-archeologiche svolgano il ruolo di straordinari attrattori di flussi turistici crescenti, di cui posseggono l'indubbia potenzialità. Invero, tuttavia, se si pensa che la Società campana per i Beni culturali (Scabec), costituita dalla Regione nel 2003 in forma azionaria, a capitale misto pubblico-privato, con lo scopo di «valorizzare il sistema dei Beni e delle attività culturali quale fattore dello sviluppo della Campania», in ben sei anni non ha prodotto granché (l'iniziativa più interessante resta il ticket Artecard), non è che l'aspettativa di una regionalizzazione del sistema museale possa proprio entusiasmare. Il nodo della questione, probabilmente, può dipanarsi solo attraverso una più efficace ed aggressiva «governance» dei settore. Ciò che urge, infatti, ancor più di un decentramento, la cui efficienza sarebbe tutta da dimostrare, è una volontà politica e una rigorosa pianificazione delle attività da sviluppare, in coerente coordinamento tra tutti i rami dell'amministrazione, statale e regionale, coinvolti nel processo di efficace razionalizzazione del ruolo che compete ai beni culturali nello sviluppo locale. Più che di nuovi carrozzoni, più che di ulteriori consigli d'amministrazione, in cui imbarcare amici e decotti politici di lungo corso, la vera rivoluzione da compiere deve fondare su di un'etica virtuosa dell'interesse collettivo, cioè su di una politica intesa come strumento coesivo di democrazia partecipata.

(Fonte: Il Mattino)

 
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