Creato da marino.giannuzzo il 08/10/2009
Lidia
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Solo
Solo
nella quiete misantropica
più nera
sono in questa via
e se taluno
esser vuole
compagno nel mio viaggio
indifferente resto
o indisponente.
Bramo l’amico
che tutto dia per nulla,
che amico sia
solo per me stesso,
come Cristo in croce.
Ma io non ho un amico
che meco s’accompagni
in questa via.
Sorriso Sorriso d’una madre col bambino in braccio con bambino brutto mostriciattolo piangente nella piazza vidi frutto della donna dal sorriso beato. Rischiara quel sorriso il volto dell’infante che le labbra schiude tenere alle brutture della vita. Il sorriso d’una madre ho visto. Illuminava il volto del piccolo alla vita e il piccolo sorriso d’un bimbo neonato illuminava il volto d’una madre bella dai tratti brutti su volto emaciato. Stelle Nella sera limpida di stelle pieno era il cielo nero e senza luna: solitario andavo mio compagno un cane. Nella sera illune silente rimbombava l’infinito. Fu mio il paradiso. Tra una stella e un’altra io vagai privo d’amori d’odi e di rancori. Era una sera tacita di giugno senza sussulti senza amori e odi e navigavo con un cannocchiale tra i mondi vari lucenti ed infiniti. Le stelle variopinte e a mille luci brillanti nella notte io scoprii. Eran le stelle delle notti insonni eran le stelle dei viandanti scalzi degli antichi Maja e dei novelli Egizi eran le stelle che vedranno i figli dei secoli futuri. Eran le stelle vigili ed eterne sulle vite brevi dei miseri mortali. Suore Dietro il cancello luminoso e puro saliva in alto il coro delle suore. Voci sonore, squillanti, argentine, s’intrecciano tra loro, si sciolgono nell’aere pregno d’incenso nell’angusta chiesa, calice terso di cristallo. Musica è la voce soave priva di strumenti che diano impulso al coro arcano e dolce delle suore. Preghiera è il canto che s’innalza al cielo ardente di passione di donne innamorate d’un Essere Divino.
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Silenzio
Datemi il silenzio
il mio silenzio muto
con Bach e con Vivaldi
con Puccini e Verdi.
Datemi il buio
senza bei colori
suoni e realtà
viventi.
Bramo la calma
dei mari tropicali
bramo la vita
di esseri sperduti
su pianeti
incontaminati.
Bramo la pace
degli esseri viventi
solitari e muti.
Soffio
Novità che l’uomo
a natura apporta
durerà in eterno
nella mente sua.
Dura talvolta
più di cento vite
dura talvolta
una notte sola.
Ciò che la vita
o natura detta
solo illusione pare
effimera e discreta.
Soffio divino
soffio dell’Eterno
momentaneo e vago
l’esistenza.
Eterno è l’uomo
in vita imperitura
vita senza soste
che in altra si tramuta.
Sogni Non ricordo più i sogni miei. Sono svaniti e vita più non hanno. Eran gagliardi possenti ed infiniti: sono scomparsi di vita nei meandri. Sono scomparsi volatili chimere. Nati son altri sogni senza vita vane illusioni che spingono nel vuoto senza confini come i sogni vani come i sogni vuoti sogni senza vita e gloria.
Sogno
Lo giri e lo rigiri
quasi a piacimento
senza lo sforzo
della volontà.
Logica non ha
il sogno:
cambia faccia a tutto
in gioia o in tormento
seguendo alfin l’istinto.
Sognai stanotte
un’avvenente donna
distesa nel mio letto.
Era un’amica
e abbracciai mia moglie.
Ebbi una casa
che non fu più mia
ma dell’amica
che non fu mia moglie.
Ebbi il possesso
di cose mai inventate
che ebbi in uso
col corpo o con la mente.
Ora vagavo
tra mille cose tristi
che vegliando
sospese aveo lasciato.
Realtà novelle
altre dimensioni
sconosciute a tutti
eran le mie
e ne fui sommerso.
Era il mio sogno
il sogno come un sogno
vago e nudo
senza la logica
che mi assilla il giorno.
Sola Gli amici se ne vanno e tu rimani sola col dolore e nel rimpianto di chi ti fu compagno fino a ieri per spingere il carretto della vita. Ma quel carretto con forza e con coraggio sola spingerai, fermandoti talvolta per la battente pioggia, tal altra accelerando nei giulivi giorni che pur la vita serba a chi dinanzi a sé il fantasma ha solo della morte. Alfin vedrai le luminose stelle. T’aiuterà colui che il cammin dei figli guida da lontano.
Solitario Solitario resto nella notte scura. Si spengono le luci una ad una.
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Salto
Io me ne andrò
senza salutare.
Nella bisaccia
non avrò un pane.
Non avrò acqua
che disseti il cuore
non il ricordo
d’un sincero amore.
Il salto io farò
dal buio nel bagliore
e ciò ch’io vissi
non avrà più vita.
O forse il buio
sarà di là dal salto
ed è luce
ciò che mi circonda.
Eterno dubbio
che c’è oltre la morte.
Sasà
Sasà per tutti
lo scemo è del paese,
sempre vagante
per le vie del borgo
tra diruti muri
di tuguri
abbandonati e muti.
Parla con essi
Sasà lo smemorato,
parla con Tutto
e nulla gli risponde.
Sasà ha ragione
ragione in quel che dice
ad animali e cose
ad uomini saccenti
che sorridendo ammiccano
allo scemo del paese,
che i comizi al palco
declama a nulla e a tutti.
Nessun lo contraddice
per non fargli torto
e Sasà gioisce
quando le mani
battono i bambini.
Egli è felice
di tutti il più felice
pur se per tutti
lo scemo è del paese.
Scirocco
Vento caldo d’Africa
scirocco
sulla spiaggia d’Alcamo
infocata
nell’umida foschia
giunge mortale
per gli esseri viventi
a luglio.
Segesta Brillano lontane le luci sul teatro nella nebbia fosca della sera. Rivivono gli antichi echi d’oltretomba di tragici a Segesta di comici e drammatici di greci e di latini ignari d’altri popoli che nell’universo civiltà irradiavano silenti. ( La gran muraglia e il mare i popoli divisero ed all’umanità negarono utili conquiste per millenni.) Tornano le luci faro nella notte e il dramma antico, linfa riciclata, rivivrà ancora nella nebbia fosca questa sera. Sensazioni Un ribollir di sensi indefiniti è lo spirto mio nel buio della sera. Gioia e dolore tu vedresti misti andar per mano o in lotta e tristi. Un uragan talvolta scuote i sensi miei; poi la bonaccia l’affanno mio cancella. Il sonno alfine vince ogni mia stanchezza ed ogni ambascia mutasi in torpore. Nel sonno mi si scioglie la gioia ed il dolore: nel buio tutto tace e tutti i sensi han pace. Sesso Poso la guancia sulle tue mammelle candide e sode come neve al sole. T’accarezzo il corpo e l’anima in osmosi mia nella tua lieve si transuma. Le labbra e gli occhi i fianchi e il seno tutto le natiche e le gambe tutte di velluto tra le mie braccia tendi. I sensi miei e la fantasia nella notte accendi nella notte pregna di fulgida allegria. Ardono i sensi: arde il corpo mio arde il seno tuo e in deflagrante scoppia fuoco d’artificio l’essere nostro dentro il ventre tuo. Sicilia È il paese dove le rondini pur d’inverno stanno. Sicilia bella succo d’arancia rossa e saporita. Questa la terra fertile e benigna che figli ha dato raminghi all’universo. Amore e gioia amore e fantasia in questa terra sempre troverai o emigrante che lontano vai. Amore e gioia amore e fantasia tra le brune zolle e nel mare azzurro la natura tutta d’intorno tu vedrai. Della Sicilia splendida succo d’arancia rossa e saporita amore innato in te porterai. .
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Realtà
Unica e sola
la realtà vivente.
È il nostro umor che detta
gli attributi a lei
in tempi e luoghi
che al sentire nostro
il mondo adattano
e gli eventi suoi.
Il vero d’uno
non è il vero altrui
e il grande e smisurato
dell’essere formica
è il piccolo e ristretto
d’elefante.
Infinita e una
per ognun che osserva,
diverso dal vicino,
pure da se stesso,
tra un momento e un altro.
Ognun l’adatta e limita
perennemente a sé:
unica realtà
la realtà dei sogni.
Resurrezione Come l’aratro, nella terra nera, che rinnova l’aria alle radici delle dormienti piante così la fanciullezza tormentata e triste i dolci frutti dà in primavera. Tormento e pioggia di giornate grigie dànno la vita a giovani virgulti. I sudor nei solchi rinnovano la vita ad ogni chicco che ha sete di rugiada.
Ricchezza
Al possesso
dei terreni beni
è necessario
che ognun si dica:
basta.
Sono nemici
sono prigionia
quando ci hanno
in forma smoderata.
Sentimento insulso
attaccarsi ai beni.
Non aver paura
che te li portin via.
Colui che è saggio
distribuisce a tutti
quel che lascerà
per l’eterna via.
Non è cristiano
questo ragionare
ha solo nome
di buon senso umano.
Sarà lieve
dei poveri il fardello
d’eternità al casello.
Il poco basta
il molto è maledetto.
Rimembranze
Tra gli eucalipti
ombrosi del viale
che porta al monte
la brezza di maestrale
io m’assisi
sulla panchina
dai secoli consunta.
L’adolescenza
gli amori ormai perduti
ivo seguendo
sugli amati poggi.
Rivedevo Bina
gli occhi stralunati
tra l’erba e i fior dei prati.
Più in là Pinuccia
nell’arsura e al sole
aprir le braccia
ed anelare amore.
Erano i tempi,
i tempi ormai lontani,
della giovinezza.
Erano i tempi
infelici e duri
che la vecchiaia
rende cari a tutti.
Tra gli eucalipti
all’ombra del viale
passano i giovani,
ignari degli amanti
dei passati tempi,
che di poggio in poggio
lasciano i segnali
dei focosi giorni
e delle notti ardenti.
Io resto qui,
sulla panchina
dai secoli consunta,
a rimembrar Pinuccia,
Bina e Rosalinda
tra gli eucalipti
ombrosi del viale.
Roccia
La roccia frastagliata
ricadente a picco
sull’acque azzurre
nel mare dello Zingaro
in pieno giorno vidi
al solleon di luglio.
L’espandersi leggero
dell’onda senza schiuma
nel profondo incavo
vecchio di mill’anni
giungeva dolce
ai sopiti sensi
in incavata roccia
nell’estate ardente
siciliana.
Furono i sensi
alfine in gran tripudio
abbarbicati alle membra tue
dolce fanciulla
sorta dalle acque
che gli anni miei rendesti
amabili e sospesi
tra il Nulla e il Tutto.
Con la risacca
rotolando l’onda
ora impetuosa e nera
dall’incavata roccia
nei profondi abissi
anima e corpo
risucchiati ci ha
e divisi.
Contro la roccia
frastagliata e bruna
la battente onda
di spumeggiante schiuma
nel vecchio incavo
vecchio di mill’anni
con fragor si schianta.
La fanciulla dolce
sorta dalle acque
e dai profondi abissi
eterna è diventata.
Rose Ladro di rose fui nel mezzo del giardino comunale. Colsi la rosa nera che altrove non trovai, mi punsi con la gialla e le rose porpora con quelle strinsi. Profumate e vive nella notte candida sotto la luna piena sul finir di maggio di tanti anni fa. Eran le rose che non potei comprare, rose per l’amante che placida dormiva. Con le rose rosse e nere di velluto all’alba la svegliai. Nell’abbraccio tenero mi punsi e il labbro dolce il sangue mio leccò. Leccò il mio sangue il petto e l’ombelico. Giacemmo tra le rose giacemmo tra i profumi con l’amante mia respirando amore sul finir di maggio di tanto tempo fa.
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Petalo
Era scritto “t’amo”
sul petalo di rosa
secco da trent’anni
per la fanciulla
che ora non c’è più,
per la ragazza bionda
dagli occhi verdi e vergini
e teneri che fu.
Il petalo di rosa
viva ha conservato
tra i colori scritta
l’antica giovinezza
tra i versi di Rimbaud,
dimentico del tempo
che pure è scivolato
tra gli ingialliti fogli.
Che scivola sui fogli
che scivola su noi.
Il petalo è rimasto
come il primo giorno,
un po’ mummificato.
I capelli biondi
gli occhi verdi e dolci
di vergine fanciulla
tenera che fu
sono scomparsi
con l’età più bella
di color che scrissero
sul petalo di rosa
secco da trent’anni
un po’ mummificato
tra i versi di Rimbaud:
un ardente “t’amo “.
Pianto Romano Pianto Romano detto fu quel colle ove la pugna fu cruenta e forte ove i Borboni dispongono alla morte gli infelici villani di borgata, ove son giunte le camicie rosse di sangue degli eroi. Sui petti corre il sangue e sulle mani, sangue glorioso di garibaldini che alla morte vanno sconosciuti eroi. Pianto Romano detto fu quel colle che immoto guarda or Calatafimi oscuro borgo ma non più per noi. Sacrario austero di ossa degli arditi mira lontano il mare e i monti neri, ricorda ancora il grido degli alpini che eco fanno all’avventuriero: qui facciam l’Italia, l’Italia degli eroi.
Piccoli visi Cento visi piccoli di bimbi rosei e ridenti tutti affascinanti. Piccoli e belli pelle vellutata guance di rosa di pesca han le labbra. Scompariranno dei bimbi i rosei visi. Andrà via con gli anni la felicità dei bimbi rosei come fior di pesco.
Pioggia Goccia d’acqua che dall’alto scende sulle foglie a rinfrescar l’arsura dell’estate. Acqua piovana acqua senza sale tra le zolle scende la terra a rinfrescare.
Era un pupazzo
era alto e grosso
era di paglia
e detto fu paglino.
Era minchione,
minchione a tutto tondo,
era vigliacco
vigliacco sopra e sotto.
Era un buffone
si comportò da matto.
Volle darsi vita
ma restò pupazzo.
Restò di paglia
e detto fu paglino.
Quassù Tornato son quassù tra le bianche nubi rotonde e a pizzi frastagliate o tenui del cielo. Vorrei schivarle per tuffarmi in mare tra salatini e bibite di un’hostess ridente che rallegra il cuore in questo cielo immenso inesistente e vero.
. Quiete Sereno l’esser mio volteggia in cielo. Soffice nuvola ove lo spirto posa spinge vento leggero oltre la luna tra mondi infiniti incontaminati e muti.. Momento di quiete anche nel corpo che sereno posa sul divano. Odo voci lontano vedo luci nel buio: un immenso sentire. Poi giacciono spirito e corpo sereni.
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Inviato da: giorgia19.90
il 06/12/2009 alle 01:22