« Eros Alesi | Alessandro Piperno » |
Fedor Michailovic DostoevskijL'idiota Gli venne in mente, tra l'altro, che la sua malattia dava luogo a un fenomeno che precedeva quasi immediatamente l'accesso epilettico (se quell'accesso non si verificava durante il sonno), quando, a un tratto, tra la tristezza, il buio e l'oppressione, il suo cervello sembrava accendersi di colpo, tendendo in un estremo impulso tutte le proprie energie vitali. in quell'attimo, che aveva la durata di un lampo, la sensazione della vita e il senso dell'autocoscenza sembravano decuplicare di forza. Il cuore e lo spirito si illuminavano di una luce straordinaria. Tutti i dubbi, tutte le ansie e le agitazioni sembravano acquietarsi di colpo, si risolvevano in una calma suprema, piena di armonica e serena letizia, di speranza, di ragionevolezza e di penetrazione suprema. Ma quei momenti, quegli sprazzi di forte luce non erano che il presentimento dell'attimo decisivo (mai più di un solo attimo) col quale cominciava l'attacco stesso. Quel momento era, in verità, insostenibile. meditandoci sopra in seguito, quando si sentiva ristabilito, il principe diceva spesso a sé medesimo che tutti quegli sprazzi e barlumi di suprema penetrazione e di intima consapevolezza, e quindi di "vita superiore", non erano altro che i sintomi del suo morbo, uno squilibrio dello stato normale; se così era essi non erano dunque affatto una manifestazione di vita superiore e dovevano anzi essere annoverati fra le più infime manifestazioni dell'essere. Tuttavia giunse a una coinclusione oltremodo paradossale: " Che importa se è una malattia? Che importa se questa tensione è anormale, quando il suo stesso risultato, l'attimo delle supreme percezioni, ricordato e analizzato in un momento di lucidità, con l'effetto che esso produce, risulta sommamente armonico e sublime, comunicandomi un senso mai prima provato né presunto di pienezza, di equilibrio, di pace e di fusione, in uno slancio di preghiera, con la più alta sintesi della vita?" Queste nebulose espressioni gli sembravano molto chiare, sebbene ancora assai deboli. Egli non dubitava affatto, non ammetteva nemmeno la possibilità del dubbio che le sensazioni descritte realizzassero effettivamente "la bellezza e la preghiera", con un' "alta sintesi della vita". Non poteva darsi, infatti, che le visioni di delirio che balenavano in quei momenti davanti a lui fossero identiche a quelle provocate dall'oppio, dall'hashish, oppure dal vino, che avviliscono la mente, deturpano l'anima, sono anorali e inesistenti? Una volta cessati i fenomeni morbosi, egli poteva ragionare con piena lucidità di mente a questo riguardo. |
AREA PERSONALE
L'Altoparlante
Si dice che dell'impianto hi-fi, tardi anni '70, ereditato da suo cugino, ormai più di vent'anni fa, Andrea abbia conservato un solo altoparlante: stromento idoneo alla diffusione d'intrattenenti alchimie sonore.
Sembra, però, che tale dispositivo, smarrita presto la propria attrattività, sia a lungo rimasto inoperoso, adagiato su una mensola, seducente polveri dalla stanza.
Si dice, inoltre, che due cavi elettrici pendenti dagli elettrodi dell'altoparlante, animati da una misteriosa tensione magnetica, abbiano trovato agio, di volta in volta, di collegarsi all'antenna della radio, alla presa del telefono - insolenti, capaci per sino di raggiungere il web.
Sembra che sì furbescamente intercettate voci maligne e ingiuriose, chiacchiere e commenti maliziosi, il diffusore acustico, frustrato dal lungo oblio, scuotendo l'annosa polvere dalla propria membrana, abbia cominciato a parlare; riferendogli chiacchiere e pettegolezzi, raccolti via telefono, radio e internet.
Si dice che Andrea, ascoltata la gracchiante voce del vecchio apparecchio, abbia deciso di restituire alla erratica lettura dei blogger la sintesi di tali mormorazioni.
Sembra che in Trastevere, in luogo abitato da voci poetiche, egli stesso le abbia bisbigliate, leggendole per non doverle ricordare.
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Morta parte da me
la mia voce,
per approdare alla deriva
dei sensi scolpiti
nelle candide rocce;
ove il tuo viso m'apparve,
ombra d'un sorriso sterile,
solido velario
d'una scena tragica.
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Quando l'orizzonte di riferimento non è più in ordine a ciò che è "permesso", ma in ordine a ciò che è "possibile", la domanda che si pone alle soglie del vissuto depressivo non è più: "Ho il diritto di compiere quest'azione?", ma "Sono in grado di compiere quest'azione?"
Umberto Galimberti.
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