Creato da poverotroviero il 07/10/2006

Il gioco

delle schegge di vetro

 

 

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Martin Amis

Post n°173 pubblicato il 27 Agosto 2013 da poverotroviero
 
Foto di poverotroviero

L'Informazione

Guardandosi allo specchio adesso, la mattina del suo quarantesimo compleanno, Richard ebbe l'impressione che nessuno meritasse quella faccia.
Nessuno in tutta la storia del pianeta. Per quanto nefande fossero le sue azioni. Che cosa era successo? Che cosa hai fatto, ragazzo mio? I capelli, sparsi sul cranio in spire e ciuffi assortiti, facevano pensare che avesse appena concluso un lungo (e vano) trattamento di chemioterapia. Poi gli occhi, ciascuno appollaiato sulla sua piccola ventraia orlata di sangue. Se gli occhi sono la finestra dell'anima, allora questa finestra era un parabrezza dopo un viaggio transcontinentale; e la sua tosse aveva lo stesso suono di uno strofinaccio passato sul vetro asciutto. In quei giorni Richard fumava e beveva soprattutto per consolarsi dei danni dell'alcol e del fumo - ma il fumo e l'alcol gliene avevano fatti parecchi, così lui beveva e fumava a più non posso. Inoltre, provava praticamente ogni droga su cui riusciva a mettere le mani. I suoi denti erano tutti schegge di ceramica e colla prebellica. In ogni istante, qualunque cosa stesse facendo, almeno due dei suoi arti erano irremovibilmente intorpiditi. Su e giù per il suo corpo correvano incontrollati sussurri di dolore. Di fatto, sul piano fisico, Richard si sentiva epifanicamente tragico.

Gina era diventata adulta. E lui no. Adeguandosi al modello della sua generazione (o meglio dell'ala bohémien della sua generazione), Richard avrebbe conservato il suo aspetto fino alla morte. Un aspetto sempre più deteriore, ma uguale a se stesso. Erano stati i bambini, il lavoro, l'amante che Gina, ormai, doveva sicuramente avere? (Nei suoi panni, nel suo matrimonio - se Richard fosse stato sposato a Richard - lui l'avrebbe avuto). Richard non poteva fare obiezioni Chiamando in causa l'etica o l'equità. Perché la scrittura è infedeltà. Perché tutta la scrittura è infedeltà.

 
 
 
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L'Altoparlante

Si dice che dell'impianto hi-fi, tardi anni '70, ereditato da suo cugino, ormai più di vent'anni fa, Andrea abbia conservato un solo  altoparlante: stromento idoneo alla diffusione d'intrattenenti alchimie sonore.

Sembra, però, che tale dispositivo, smarrita presto la propria attrattività, sia a lungo rimasto inoperoso, adagiato su una mensola, seducente polveri dalla stanza.

Si dice, inoltre, che due cavi elettrici pendenti dagli elettrodi dell'altoparlante, animati da una misteriosa tensione magnetica, abbiano trovato agio, di volta in volta, di collegarsi all'antenna della radio, alla presa del telefono - insolenti, capaci per sino di raggiungere il web.

Sembra che sì furbescamente intercettate voci maligne e ingiuriose, chiacchiere e commenti maliziosi, il diffusore acustico, frustrato dal lungo oblio, scuotendo l'annosa polvere dalla propria membrana, abbia cominciato a parlare; riferendogli chiacchiere e pettegolezzi, raccolti via telefono, radio e internet.

Si dice che Andrea, ascoltata la gracchiante voce del vecchio apparecchio, abbia deciso di restituire alla erratica lettura dei blogger la sintesi di tali mormorazioni.

Sembra che in Trastevere, in luogo abitato da voci poetiche, egli stesso le abbia bisbigliate, leggendole per non doverle ricordare.

 

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Suggestione Campaniana

Morta parte da me

la mia voce,

per approdare alla deriva

dei sensi scolpiti

nelle candide rocce;

ove il tuo viso m'apparve,

ombra d'un sorriso sterile,

solido velario

d'una scena tragica.

 

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Quando l'orizzonte di riferimento non è più in ordine a ciò che è "permesso", ma in ordine a ciò che è "possibile", la domanda che si pone alle soglie del vissuto depressivo non è più: "Ho il diritto di compiere quest'azione?", ma "Sono in grado di compiere quest'azione?"

Umberto Galimberti.

 
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