Creato da poverotroviero il 07/10/2006

Il gioco

delle schegge di vetro

 

 

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Eros Alesi

Post n°158 pubblicato il 30 Aprile 2011 da poverotroviero

Mamma Morfina

Cara, dolce, buona, umana, sociale mamma morfina. Che tu solo tu dolcissima mamma morfina mi hai voluto bene come volevo. Mi hai amato tutto. Io sono frutto del tuo sangue. Che tu solo tu sei riuscita a farmi sentire sicuro. Che tu sei riuscita a darmi il quantitativo di felicità indispensabile per sopravvivere. Che tu mi hai dato una casa, un hotel, un ponte, un treno, un portone, io li ho accettati, che tu mi hai dato tutto l’universo amico.
Che tu mi hai dato un ruolo sociale, che richiede e che dà. Che io a 15 anni ho accettato di vivere come essere umano "uomo" solo perché c’eri tu, che ti sei offerta a ricrearmi una seconda volta. Che tu mi hai insegnato a muovere i primi passi. Che ho imparato a dire le prime parole. Che ho provato le prime sofferenze della nuova vita.
Che ho provato i primi piaceri della nuova vita. Che ho imparato a vivere come ho sempre sognato di vivere. Che ho imparato a vivere sotto le innumerevoli cure, attenzioni di mamma morfina. Che non potrò mai rinnegare il mio passato con mamma morfina. Che mi ha dato tanto. Che mi ha salvato da un suicidio o una pazzia che avevano quasi del tutto distrutto il mio salvagente.
Che oggi 22-XII-1970 posso strillare ancora a me, agli altri, a tutto ciò che è forza nobile, che niente e nessuno mi ha dato quanto la mia benefattrice, adottatrice, mamma morfina. Che tu sei infinito amore infinita bontà. Che io ti lascerò soltanto quando sarò maturo per l’amica morte o quando sarò tanto sicuro delle mie forze per riuscire a stare in piedi senza le potenti vitamine di mamma morfina.

***

O cara. O padrona morte. O serenissima morte. O invocata morte. O paurosa morte. O indecifrabile morte. O strana morte. O viva la morte. O morte che è morte. Morte che mette un punto a questa saetta vibrante.

 
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L'Altoparlante

Si dice che dell'impianto hi-fi, tardi anni '70, ereditato da suo cugino, ormai più di vent'anni fa, Andrea abbia conservato un solo  altoparlante: stromento idoneo alla diffusione d'intrattenenti alchimie sonore.

Sembra, però, che tale dispositivo, smarrita presto la propria attrattività, sia a lungo rimasto inoperoso, adagiato su una mensola, seducente polveri dalla stanza.

Si dice, inoltre, che due cavi elettrici pendenti dagli elettrodi dell'altoparlante, animati da una misteriosa tensione magnetica, abbiano trovato agio, di volta in volta, di collegarsi all'antenna della radio, alla presa del telefono - insolenti, capaci per sino di raggiungere il web.

Sembra che sì furbescamente intercettate voci maligne e ingiuriose, chiacchiere e commenti maliziosi, il diffusore acustico, frustrato dal lungo oblio, scuotendo l'annosa polvere dalla propria membrana, abbia cominciato a parlare; riferendogli chiacchiere e pettegolezzi, raccolti via telefono, radio e internet.

Si dice che Andrea, ascoltata la gracchiante voce del vecchio apparecchio, abbia deciso di restituire alla erratica lettura dei blogger la sintesi di tali mormorazioni.

Sembra che in Trastevere, in luogo abitato da voci poetiche, egli stesso le abbia bisbigliate, leggendole per non doverle ricordare.

 

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Suggestione Campaniana

Morta parte da me

la mia voce,

per approdare alla deriva

dei sensi scolpiti

nelle candide rocce;

ove il tuo viso m'apparve,

ombra d'un sorriso sterile,

solido velario

d'una scena tragica.

 

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Quando l'orizzonte di riferimento non è più in ordine a ciò che è "permesso", ma in ordine a ciò che è "possibile", la domanda che si pone alle soglie del vissuto depressivo non è più: "Ho il diritto di compiere quest'azione?", ma "Sono in grado di compiere quest'azione?"

Umberto Galimberti.

 
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