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« Manto nero... su sfondo azzurroBarbarians »

Perché non ci indignamo più.

Post n°227 pubblicato il 20 Febbraio 2008 da Ekainikola

Tutto era cominciato un mattino d'inverno, il 17 febbraio 1992, quando, con un mandato d'arresto, una vettura dal lampeggiante azzurro si era fermata al Pio Albergo Trivulzio e prelevava il presidente, l'ingegner Mario Chiesa esponente del Partito Socialista Italiano con l'ambizione di diventare sindaco di Milano.” Enzo Biagi

In principio fu Tangentopoli. Correvano ruggenti gli anni '90 e fuori dall'hotel Raphael a Roma si tiravano monetine contro le auto blu e contro i governanti che erano anche loro blu come la notte. Craxi balbettava in parlamento strali di indignazione; Forlani (interrogato da Di Pietro) faceva la bava intorno alla bocca a corto di saliva e di parole. Erano gli anni del crollo della cosiddetta “Prima Repubblica”, il paese sembrava risvegliarsi da un torpore mentale durato 40 anni (fatte salve le parentesi del 68 e del 77). Il lessico si modificava: non si parlava di “antipolitica” ma si affacciava la “società civile”. Il Referendum sul maggioritario del 18 aprile 1993 sembrava il passo d'addio dei vecchi partiti: Dc e Psi affondavano negli avvisi di garanzia e piano sparivano dall'agone della politica.
L'indignazione della gente era salita ai massimi livelli, al punto che i Tg davano conto quotidianamente delle cronache politico/giudiziarie. Alcuni indagati non ressero all'infamia: Cagliari si suicidò, Gardini si suicidò, Moroni si suicidò. Altri ressero all'infamia in modo egregio e da li a poco tornarono in politica.
Ma torniamo alla gente. L'esasperazione della crisi economica del 1991 era ancora in piedi. I politici non riuscirono a percepire che la misura era colma e poi vi fu la goccia che trabboccò il vaso. Allora non si parlava di giustizialismo né di garantismo, il clima era da forcone e sia i giornali che le tv soffiavano sul fuoco: così si produssero arresti in diretta con manette e tutto il resto. E quello fu l'inizio della fine. Nel mentre vi furono le stragi di Capaci e Via D'Amelio, le bombe a Milano e Firenze ed infine la “discesa in campo” Berlusconi nel 1994.
Così comincia l’epoca della “Grande Ovatta”.
Gaber cantava che “…Libertà è partecipazione”. Se prendiamo questo come assioma, l’Italia del quindicennio 1994-2008 non è stato un paese libero. Come nel diceva il Gattopardo nel romanzo di Tomasi di Lampedusa: “Tutto è cambiato per non cambiare nulla…”.
L’ondata di rinnovamento che il progetto berlusconiano sembrava prevedere, s’è caratterizzata solo come una fortissima difesa degli interessi personali. Cosi come i periodi di governo di Centro-Sinistra hanno dimostrato solo l’endemica debolezza di un progetto come L’Ulivo, che era già sfibrato alla caduta del I governo Prodi nel 1998. Inoltre, ciò che s’era cacciato fuori dalla porta nel periodo di Tangentopoli è rientrato dalla finestra pochi anni dopo. La Rai è sempre stata lottizzata, così come le Asl e tutte le partecipate pubbliche: sono solo cambiati i sistemi, si sono affinati, ma il succo è rimasto lo stesso. Con una differenza sostanziale: la democrazia partecipativa che ha caratterizzato la storia dell’Italia repubblicana è stata sostituita da una blanda forma di delega politica alla diarchia Berlusconi-Prodi.
Il popolo è bue, quindi? Beh forse sì e, va detto, molte volte merita quel che ha. Tuttavia il menefreghismo generale e l’incapacità all’indignazione hanno molti padri e molte madri. E non c’entra il solito crollo delle ideologie. La gente non partecipa più attivamente perché si fa passare per buona solo la politica che si fa in tv. Da Vespa si decidono le sorti della Nazione! Da Mentana ci si va a scagionare e a lavare le colpe! Per anni da destra e da sinistra (ahimé!) s’è considerata la televisione come il vero fronte di battaglia, con conseguente guerra di posizione, fatta di odio politico e di astio personale.
Si, la tv è importante, ciononostante i Governi di Centrosinistra non hanno fatto nulla per modificarne l’assetto. Come mai? Forse perché accusare il Berlusca di essere solo un tycoon ha fatto comodo per mascherare le magagne interne?!
E’ inutile indignarsi perché la gente non s’indigna più e continua a delegare. E’ stata colpa delle aspettative non realizzate dopo il 1992. Lì si sarebbe potuto far diventare l’Italia un paese moderno. Ed invece s’è scelta la via di una ideologizzazione strumentale neppure fondata su idee, ma su due personalità: Berlusconi e Prodi. Quindi si sono persi 15 anni per fare le riforme. E i problemi sono quelli che già si segnalavano nel secolo scorso: precarietà, pensioni, stato sociale, sanità.
Altro capitolo delicato è il ruolo dell’informazione. Oggi i giornali sono solo sciatte ribattute d’agenzie, colorati di commenti politici. Mai un fatto, tutto gossip e nient’altro. E così interessa di più che Fini abbia lasciato una moglie per una bionda di 30 anni, o che Sircana vada coi trans. Chi se ne frega!
Gli autorevoli opinionisti del mattino che si trovano ad Omnibus o alla sera da Ballarò, parlano da tempo solo a loro stessi e si specchiano nei propri eloqui. I vari Minzolini, Paragone, Facci, Sansonetti, Velardi giocano partite di strategie virtuali su schermi al plasma. Giornali e tv: solo armi di distrazione di massa, nient’altro che questo.
E’ vero, oggi c’è internet, ma solo per una ridotta fetta di popolazione. Per cui i media di massa, nonostante la credibilità decrescente, sono ancora fondamentali nella creazione dell’opinione. Ma c’è un modo per terminare l’era della “Grande Ovatta”. E non è l’antipolitica del “vaffaday” di Grillo, che stimola l’istinto panciuto del popolo, ma che ha ballato una sola estate.
Il modo per riaprire le coscienze è quello di far tornare la gente a credere. In cosa? Beh se non nei defunti ideali, almeno nei fatti concreti. Concretezza e moralità, due motti che sembrano mutuati dal pensiero di Berlinguer, che insieme a Zaccagnini e Moro andrebbero riletti e ripensati. 
Solo se si torna a credere, si possono aprire gli occhi. Solo tenendo gli occhi aperti potremo avere ancora voglia di partecipare, senza ripetere la solita trita filastrocca: “tanto sono tutti uguali, tanto rubano tutti”. Perché sappiamo che non è così.
La scelta (criticata da molti) di Veltroni e del PD di correre da soli è stata la classica “mossa del cavallo”, che ha costretto tutti a fare i conti con la novità. Fini ha repentinamente confluito nel Popolo delle Libertà. Casini, mentre scrivo (ma non si esclude l’ennesimo cambio d’idea) ha scelto di affrancarsi e correre da solo. La Sinistra arcobaleno raccoglie le forze di tradizione comunista e ambientalista, così come Pezzotta e Tabacci stanno cercando di fare con le compagini di centro.
Fin qui tutto bene. Bene l’inizio di una campagna elettorale all’insegna dell’ “understatement”. Bene anche Veltroni che visita le 110 province d’Italia. Male invece la legge elettorale del “porcellum” Calderoni. Ma tant’è.
Occhio però. Perché la sfida comincia dopo il 14 aprile. E non può essere persa. Vale per entrambi gli schieramenti, sia per chi vince che per chi verrà sconfitto. Non è più possibile tornare indietro, perché davvero si rischia di vedere crollare il sistema paese. Quindi dopo il voto, subito sotto con la riforma elettorale che dia stabilità e governo a questo paese: perché gli italiani devono tornare a valere, così come la classe politica che li deve rappresentare.

 
 
 
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