Creato da: MICHELEALESSANDRO il 15/07/2012
PREISTORIA UMANA E TRADIZIONALISMO INTEGRALE

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L'UMANITA' PROTOTIPICA

L’esegesi biblica si è spesso soffermata sul significato della formazione di Adamo con polvere della terra, descritta nel secondo capitolo del Genesi.

Significativamente – come concludevamo nel precedente post – da più parti si è sottolineano come tale plasmatura non debba essere intesa (non ancora, almeno) nel senso dell’elemento corporeo dell’uomo, evidenziando come siano piuttosto precisi i riferimenti all’utilizzo non della parte grossolana e “spessa” della terra (’adamah), ma del suo stato più leggero (‘afar): a quell’elemento, cioè, più puro e “meno materiale” della materia stessa che secondo il Talmud fu preso dal Centro del mondo, sul monte Sion. Per Jakob Bohme, a costituire la parte sostanziale di Adamo, “uomo virginale” plasmato a perfetta immagine di Dio, fu infatti la “terra paradisiaca” che in lui assume un valore “quintessenziale”, tradizionalmente associabile all’elemento “Etere”. Anche per Schuon è l’etere stesso – quinto elemento – che di fatto rappresenta l’uomo primordiale, l’uomo come tale, e questa “protomateria sottile” costituisce il punto di partenza del mondo corporeo, che si estende senza soluzione di continuità dagli stati più sottili ed impalpabili a quelli più opachi, densi e pesanti. Renè Guenon ricorda come l’etere, elemento nel quale l’azione del guna Sattwa si estrinseca al massimo grado, rappresenti, nel suo ordine, la “non-manifestazione” principiale e cosmologicamente l’idea del Centro, mentre, nei confronti del mondo corporeo, ne costituisca il principio più immediato per il tramite degli altri quattro elementi classici (Aria, Fuoco, Acqua, Terra); nello stato di indifferenziazione primordiale, Guenon segnala inoltre come l’etere contenga in potenza tutti i corpi e la sua stessa omogeneità lo renda capace di ricevere tutte le possibili forme nelle loro varie modificazioni.

Ma il metafisico francese ricorda anche come l’etere corrisponda, in ambito indù, alla casta primordiale Hamsa (il cui nome è analogo a quello del cigno e del soffio divino, già più sopra incontrati), ovvero la prima “razza” unitaria, che anche Julius Evola riconosce essere anteriore ad ogni successiva differenziazione. Le caratteristiche chiaramente auree di tale super-entità originaria, collegata al primo grande anno del Manvantara – e della quale nessuna delle attuali popolazioni umane può considerarsi erede diretta – erano tali che Hamsa, dal punto di vista delle caste tradizionali, presentasse una situazione di perfetto equilibrio dei tre gunas, sintetizzando nel contempo, a livello superiore, le funzioni delle due più importanti caste sottostanti, ovvero quella sacerdotale (brahmana) e quella guerriera (kshatriya).

Questi due poteri, nell’ambito mitologico della Tradizione Romana, vengono ancora da Guenon ricordati e riassunti nella figura unitaria di Giano che, come  notavamo, regnò in un periodo antecedente a quello di Saturno; emblematizzati nei simboli del cinghiale (sacerdoti) e dell’orso (guerrieri), anche secondo altri autori furono dominati ed armoniosamente conciliati dalla divinità bifronte, prima della loro separazione / polarizzazione che ebbe luogo in un momento sicuramente posteriore (ed il cui significato verrà approfondito in seguito).

Nel mito ellenico un analogo ricordo di tale fase primordiale ed unitaria, oltre al già citato Androgine platonico, è rappresentato dalla prima delle cinque razze riportateci da Esiodo, ovvero quella aurea, beata ed immortale, che al termine del suo ciclo venne mutata in una compagine di demoni epictonii (ma non nell’accezione negativa veicolata dal Cristianesimo); furono entità che, divenute invisibili per gli uomini delle ere successive – ma non costrette ad un soggiorno sotterraneo – sono descritte con caratteristiche sicuramente benigne e, in qualche modo, “protettive” nei confronti di una più recente umanità “ordinaria”. Julius Evola le identifica ai già incontrati Veglianti, evidentemente anch’essi considerati non nel loro aspetto “infero”, ma in quello positivo.

Il ricordo di questa prima umanità esiodea si sovrappone e si avvicina, secondo vari studiosi tra cui Ugo Bianchi, a quella menzionata nel filone mitologico facente capo al Titano Prometeo, che secondo alcune versioni ne sarebbe anche il plasmatore, assumendo quindi quelle caratteristiche pienamente demiurgiche più sopra descritte. E’ stato notato come l’umanità prometeica appaia informe, prototipica e “non terrestre”, risultando sottoposta a delle condizioni di esistenza diverse da quelle attuali; ma sarà proprio Prometeo, intermediario-separatore con gli Dei superiori, che per mezzo dei suoi atti, spesso maldestri e fraudolenti, creerà tutta una serie di conseguenze che finiranno con il condurre quell’umanità ancora mitica alla situazione attuale. Da un’esistenza indistinta ed una vita in comune con le entità divine, si arriverà quindi alla separazione ed alla definizione dei rispettivi ruoli nell’incontro di Mecone; dopo questo cruciale evento, come punizione per i sotterfugi del Titano, le divinità superiori invieranno all’uomo Pandora – la prima donna – ad ulteriore conferma del fatto che l’umanità prometeica viveva in una condizione probabilmente analoga a quella androginica già altrove descritta.

In definitiva, sulla base degli elementi raccolti, quali conclusioni possiamo trarre in merito al primo Grande Anno del nostro Manvantara ?

A nostro avviso, la più importante è che raffigurazioni quali l’Adamo plasmato di polvere sottile, la casta Hamsa sostanziata di etere, la prima razza immortale di Esiodo, l’informe umanità prometeica, ecc... rappresentano diverse immagini per definire una stessa realtà di fondo: quella di un’umanità – se così possiamo già definirla – non ancora fisicizzata secondo i canoni odierni e quindi praticamente impossibile da rinvenire sotto forma di resti fossili. Resti che infatti, nel periodo tra  65.000 e 52.000 anni fa, o latitano del tutto, o sono fortemente controversi.

Dall’unità primordiale, prototipica ed androginica del primo Grande Anno si passerà quindi alla dualità maschio-femmina: ciò costituirà indubbiamente uno degli eventi di maggior discontinuità nella storia arcaica dell’Uomo, contrassegnando il passaggio al secondo Grande Anno del nostro Manvantara come, più nel dettaglio, avremo modo di vedere nei prossimi post.   

 

 

 
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