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Alcune riflessioni sul Partito Democratico

Post n°10 pubblicato il 08 Maggio 2015 da single_sound
 
Foto di single_sound

L'abbandono da parte di Giuseppe Civati del Partito Democratico, altrimenti definibile come "cronaca di una morte annunciata", impone ormai alcune considerazioni sul PD (anche se in linea di principio sarebbe forse meglio evitare di riferirsi a questo Partito onde evitare l'ingenerarsi di ossessioni che offuscano il cervello e quindi l'analisi...), sulla sua natura e infine su Civati e la sinistra.

In primo luogo, bisognerebbe ricordare alcuni elementi, sia pure sinteticamente. Un conto è il PD, tutt'altro conto era l'Ulivo (di Prodi). Anche se un'esperienza deriva dall'altra, non è affatto detto che esse si identifichino (più). Non si identificano, in primis, per gli uomini (Prodi e Renzi ad esempio, due caratteri e stili del tutto diversi). In secundis, non si indentificano, quantomeno oggi, anche per le modalità di conduzione della "ditta", stando al vocabolario di Bersani.

Tanto si è parlato in passato di fusione tra tradizioni diverse, tra culture politiche differenti, ma diciamo la sincera verità: il PD nasce per un fattore "strategico" di lungo periodo e per un fattore "tattico" di breve periodo (di cui ormai ci siamo scordati). Quanto al primo aspetto, è da evidenziare che, non diversamente ad esempio dall'esperienza di SEL, il PD nasce per dare un futuro a oligarchie ormai stantie e senza prospettive, che non a caso sono in seguito deflagrate, formalmente con la c.d. "rottamazione" e sostanzialmente a causa della crisi degli ultimi 7 anni, per essere poi sostituite da una classe dirigente, si fa per dire, persino peggiore della precedente.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, non bisogna dimenticare che il PD nasce in condizioni difficili per il Governo Prodi (2006-2008), che aveva al Senato pochissimi voti di maggioranza. Lo scopo era dunque di provare ad aggregare un'area che avrebbe dovuto fungere da polo di attrazione per i gruppi minori, sia per tenere dritta la barra del Governo in Parlamento sia per cercare di attrarre il più possibile al suo interno le forze minori del centrosinistra (qui poi bisognerebbe ricordare il famoso dibattito sul centro-sinistra e il centrosinistra, col trattino o senza; la formula seguita è stata la seconda, il PD è un partito di centrosinistra, senza trattino, ormai diventato un calderone indistinto; mentre il centro-sinistra col trattino avrebbe dovuto presupporre due forze culturalmente radicate, una di centro e una di sinistra, ma è lampante che questo secondo progetto non era nemmeno perseguibile perché la sinistra era in netta ritirata).

Come si vede, entrambi i progetti, di lungo o di breve periodo che fossero, non sono andati in porto. Di qui, in definitiva, il fallimento del progetto a dispetto della narrazione (magari divulgata anche da Repubblica) e a prescindere dal successo elettorale del 2014 che meriterebbe un discorso a parte specificamente dedicato.

Queste premesse conducono all'oggi e, pertanto, è essenziale mettere in rilievo, in secondo luogo, un aspetto centrale relativo a quel partito, reduce peraltro dalla sfortunata esperienza, apparentemente contronatura, del Governo Monti.

Viene da dire che siamo di fronte a un partito che, alla luce delle modalità costitutive iniziali, non ha un programma politico di base, né lo può avere. In altri termini, si tratta di un partito che è sì contendibile tramite le primarie (intorno alle quali, poi, regna una confusione senza pari), ma in cui è il leader a dettare la linea, naturalmente la sua.

Come si fa a stare a lungo in un partito con queste caratteristiche negative, acutizzate per di più dalla gestione Renzi? A quest'ultimo proposito, si rammenti il programma con cui Renzi si presentò alle primarie di fine 2013. Il documento programmatico era praticamente vuoto, non c'era alcun contenuto, così da permettere a Renzi di concentrare il voto sulla sua persona, oltreché di dire tutto e (fare) il suo contrario.

Il discorso, peraltro, è parzialmente estendibile a Bersani, giacché egli, su indicazione irresistibile di Napolitano, ebbe a sostenere il Governo Monti per poi tentare di andare a elezioni su una base programmatica diversa. Segno, questo, che in realtà la base programmatica non c'è o, comunque, saldissima proprio non è.

Relativamente al punto che si riferisce al programma, si potrà dire, forse, che l'esempio che sto per fare è banale, ma osserviamo un attimo cosa ha detto il Presidente dell'Assemblea del PD (non capisco poi perché si continui a definirlo Presidente del PD...), Orfini, in relazione all'abbandono di Civati: non sono quasi mai andato d'accordo con lui ma spero ci ripensi (vorremmo sapere, anche se non è molto interessante, se Orfini va d'accordo almeno con se stesso, ma lasciamo perdere).

Ma, per prendere sul serio Orfini, come si fa a stare insieme per anni in un partito quando non c'è condivisione praticamente su niente? Anche questo è segno evidente del fatto che il PD non è un partito con idee e programmi, ma solo un vettore che serve per portare a destinazione, come nel caso del nostro Presidente del Consiglio.

Concludo con un'annotazione su Civati. Per carità, sarà anche simpatico, carino e di sinistra, ma onestamente è del tutto evidente che la sua era un'operazione preparata da tempo e che egli aspettava solo il momento ideale affinché lo strappo potesse essere annunciato (peraltro non sembrava così affranto la sera dell'addio, tanto da andare subito in tv dalla Gruber a parlare...). D'altronde, che non vi fosse e che tuttora non vi sia uno spazio per cambiare il PD dall'interno, anche per le ragioni sopra dette, era chiaro da tempo. E lui nel PD ci stava da un bel po' di anni. Strano che non se ne sia accorto prima, no?

Quale sarà il suo progetto? Come al solito, come quando per esempio nacque SEL, tutti si sono affrettati a parlare di nuovo gruppo a sinistra e novità a sinistra. Ma di quale nuovo parliamo? Di Vendola? Cofferati? Landini? Di Civati medesimo? In effetti, non mi pare che si possa parlare di novità... perlomeno sul piano soggettivo.  

Per circoscrivere l'attenzione per ora solo a questo piano, per aversi veramente qualcosa di nuovo occorrono almeno due elementi: 1) persone che tirano avanti la baracca del nostro Paese con il proprio lavoro e che non sono state nel carrozzone politico negli ultimi decenni (per riferirci cioè alla nomenklatura dei vecchi partiti); 2) persone che hanno una testa per pensare e che soprattutto non fanno dipendere il proprio pensiero, sempre ammesso che tale si possa definire (visto il meccanismo che lo determina), da ciò che i mezzi di comunicazione propagano come apparente realtà (per riferirci al M5S).

Igor Di Bernardini

Su twitter: @verso_il_fronte

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