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Una certa idea dell'Italia

Post n°81 pubblicato il 16 Gennaio 2016 da single_sound
 
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Parlare di Repubblica significa certamente riconoscere a Repubblica stessa un'importanza. Importanza che Repubblica ha, volenti o nolenti, nella storia del nostro Paese, quantomeno nella storia del giornalismo italiano e della cultura nazionale.

Si tratta di un'importanza oggettiva, anche se soggettivamente l'esperienza di alcuni con Repubblica è finita da tempo per quanto riguarda il cartaceo, mentre per quanto riguarda l'informazione via web oltre a Repubblica esistono anche altri siti interessanti da consultare.

Tuttavia, pur non volendo parlare di Repubblica, l'editoriale di Ezio Mauro apparso ieri impone qualche riflessione. 

All'apparenza, quello scritto da Mauro sembra un bell'editoriale, ma se andiamo a sezionarlo alcune cose che non vanno o che, almeno, non sono condivisibili emergono. 

In primo luogo, Ezio Mauro scrive che sono scomparsi partiti centenari. Quando sono esistiti in Italia partiti centenari? Forse se prescindiamo dall'Inghilterra, per limitarci all'Europa continentale, non sono mai esistiti partiti centenari. Neanche i giacobini sono arrivati fino a noi. Per quanto riguarda l'Italia, il Partito Comunista non aveva neanche cento anni quando si è sciolto. Altrettanto dicasi per la Democrazia Cristiana, che comunque non era il Partito Popolare. Forse l'unico partito arrivato a 100 anni è stato il socialista, ma mi domando se il Partito Socialista del 1992 fosse lo stesso del 1892. E comunque ha a mala pena varcato la soglia.

Si tratta di un mero errore letterale da parte di Mauro? Assolutamente no. Qui sta la critica. Aver scritto così significa sostanzialmente credere, e voler far credere, che la storia umana in termini politici si sia svolta da secoli tramite la forma partito. Ma la forma partito, quantomeno in Europa continentale, nasce con la Rivoluzione francese. E si tratta di una forma politica che almeno in Italia già vive una sua crisi, rispetto alla quale si potrebbe molto discutere. Ma l'analisi della storia ci dice qualcosa di diverso da quello che dice Ezio Mauro.

In secondo luogo, Ezio Mauro ci dice che Repubblica ha creduto in una società politica dell'alternanza, in cui una sinistra europea moderna si confronta con una destra conservatrice e liberale (ma non europea? Mauro non dice molto a questo proposito, ma forse sarebbe stato interessante avanzare un'analisi sulla destra e le destre europee). Si tratta di un progetto fallito. Fallito perché semplicemente non si è avverato. Ma soprattutto fallito perché la conformazione politica italiana richiedeva altro (altri post descrivono il fallimento del sistema maggioritario in Italia e il bisogno di tornare al proporzionale).

Mauro da "liberale gobettiano" ci parla delle minoranze, ma ha sostenuto un progetto che quelle minoranze non le voleva valorizzare. Diciamo che se proprio non le voleva schiantare, quantomeno le voleva inglobare.

E non è stato un bene per il nostro Paese, che purtroppo ha alcuni seri problemi anche in termini di cultura politica a partire dal fatto che comunemente si pensa che la maggioranza in Italia abbia sempre ragione, mentre invece la maggioranza dovrebbe governare. Sono due cose alquanto diverse. La maggioranza in Italia può avere le sue ragioni ed essere ovviamente legittimata a governare, ma ciò non significa che abbia ragione.

Mauro ci parla, in terzo luogo, di una sorta di tavolo di lavoro in cui il capitalismo, il welfare e la democrazia si combinano. E' sfuggito però a Mauro che il capitalismo produce quanto lui auspica in una condizione in cui il capitalismo percepisce di essere minacciato, cioè quando esiste un soggetto anticapitalista che funge da limite e lo spinge a misure, come il welfare, che costruiscono il consenso intorno a simili soluzioni. In assenza di soggetti politici di quel tipo, il capitalismo da solo non ha il senso del limite e diventa iperaggressivo, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

In quarto luogo, Mauro dice che in Repubblica non si è mai trovato un partito, ma un giornale. Ciò è falso. Repubblica, al pari del Corriere e oggi del Fatto Quotidiano, è un partito che non si presenta alle elezioni. Ma che svolge funzioni assimilabili a quelle dei partiti, indirizzando del resto il consenso dei lettori. Si potrebbe discutere se sia un bene o un male, se sia evitabile o inevitabile. Ma così è.

Da ultimo, Mauro fa un riferimento a Gobetti che dà molto da pensare. Certo, non esiste una sola interpretazione di una persona. Possono esistere diverse visioni per esempio con riguardo a Gramsci e ancora con riguardo a Gobetti. Ma non è pensabile che Gobetti volesse far transitare la sinistra (post) comunista nell'area dell'azionismo e non solo per il motivo, invero assai semplice da comprendere, che all'epoca (e certo si potrebbe obiettare che oggi la situazione è diversa) c'era il Partito comunista e non si era ancora formato il Partito d'Azione, ma per un motivo molto più profondo che Mauro dimentica. Gobetti aveva vissuto, di fronte all'avanzare del fascismo, il fallimento dei liberali italiani e si era reso conto, a quel punto, che altri erano i soggetti che dovevano far avanzare l'Italia su un percorso che sarebbe storicamente spettato, più propriamente, ai liberali. 

Oggi non ci sono più né il PCI né il Partito d'Azione e, soprattutto, i liberali come partito di massa non si sono mai riformati. E' allora proprio da quest'ultimo aspetto, dal fallimento dei liberali e dalla loro impossibilità di riformarsi, che bisogna partire.

Partire per concludere, rimanendo a oggi, che bisogna trovare appunto un soggetto politico che sappia svolgere dei compiti liberali e di liberazione, in assenza dei liberali, a cui avvicinarsi. Come  pensava Gobetti e non come pensa Ezio Mauro. D'altronde fu lo stesso Gobetti a scrivere che egli sarebbe stato vicino a quella parte capace di dimostrare religiosità e spirito di sacrificio. 

Molto realisticamente Gobetti sapeva che avrebbe dovuto avvicinarsi lui, semmai, alle masse e che il percorso inverso era un'illusione. 

La stessa illusione fallita, e per di più dopo 40 anni di lavoro, di Repubblica. 

 
 
 
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