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In ricordo di Federico Caffè

Post n°138 pubblicato il 07 Aprile 2017 da single_sound
 
Foto di single_sound

Tra pochi giorni ricorre il 30° anniversario della scomparsa da Roma di Federico Caffè, che ingenera, anche in chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo di persona, un forte senso di angoscia, affiancato però dal pensiero che egli sarà riuscito, in quei giorni, a riconquistare, con la sua scomparsa, la tranquillità che era venuto smarrendo, forse rendendosi sempre più conto della piega che stava prendendo la società italiana (ma non solo essa) in quegli anni che annunciavano il trionfo del liberismo che oggi amaramente sperimentiamo.

E del resto basta vedere dove sono adesso molti allievi di Caffè per capire il senso della sua amarezza. Allievi che non mancano di ricordare il maestro nelle commemorazioni solenni ma che poi nei loro ruoli fanno tutto il contrario di quello che egli predicava.

Purtroppo, non tutti hanno potuto avere un rapporto umano diretto con Federico Caffè ma devono limitarsi a conoscerlo attraverso i suoi atti e il suo pensiero. Perché i suoi atti e il suo pensiero sono ancora con noi? Perché, molto semplicemente, Federico Caffè è stato il padre della Costituzione economica vigente nel nostro Paese. Caffè fu infatti collaboratore di Meuccio Ruini e, proprio tramite tale rapporto, egli contribuì alla scrittura delle norme della nostra Costituzione in tema di rapporti economico-sociali.

Non è necessario ricordare tutto di Federico Caffè. Tantissime sono le informazioni che possono reperirsi online, con un minimo di curiosità.

Ma alcune cose si possono ricordare, soprattutto i suoi scritti. Cercando in libreria questa sera almeno un po' di consolazione, quella consolazione è arrivata esattamente con una raccolta di saggi di Federico Caffè, intitolata "In difesa del Welfare State. Saggi di politica economica".

Possiamo estrarre alcuni passaggi da un paio di saggi ivi pubblicati.

Il primo si intitola "Diritto ed economia: un difficile incontro". A pag. 105, Caffè fa alcune affermazioni che oggi si potrebbero dire profetiche, se non fosse che esse erano in realtà fondate dal punto di vista della scienza economica. Egli afferma che "l'introduzione, nel processo di investimento, di complessi e articolati metodi di finanziamento rende il sistema economico intrinsecamente instabile... l'indignazione con cui alcuni culturi di diritto del lavoro sembrano reagire ai vincoli che limitano la libertà di azione dell'imprenditore; al pari dell'enfasi che viene posta sull'incremento del capitale di rischio delle imprese, come condizione di una loro più equilibrata struttura finanziaria, non denotano una chiara consapevolezza delle caratterische odierne del capitalismo maturo... E' questa complessità di un capitalismo dotato di istituzioni finanziarie articolate e, in definitiva, destabilizzanti che sembra estremamente remota nelle indagini correnti nel nostro paese sulla crisi dell'impresa in cui tutto sembra ridursi a problemi di rapporti tra forza lavoro e imprenditori e a pesanti interferenze di tipo sindacale".

Le parole di Caffè, con qualche decennio di anticipo, altro non descrivono che la crisi che ci ha colpito, i suoi effetti e i limiti che sia gli economisti sia i giuristi hanno denotato nell'analisi del sistema che a quella crisi ci ha portato. D'altronde, aggiungeva Caffè, la necessità dell'incontro tra giuristi ed economisti sorgeva dalla constatazione di due sconfitte. La sconfitta dei giuristi nel non essere riusciti a imbrigliare la complessità destabilizzante delle strutture finanziarie del capitalismo maturo (che anzi sono spesso favorite). La sconfitta degli economisti che, col loro armamentario tecnico-matematico-econometrico, non riescono a impedire che sia ancora necessario ricorrere alla irrazionale distruzione dei raccolti agricoli all'ingombrante accumulo di scorte invendute dei prodotti stessi, pur se nel mondo centinaia di migliaia di vite umane muoiano per inedia (sono sempre parole di Federico Caffè).

Concludiamo con un passaggio di Caffè contenuto nel saggio "Politica economica della CEE". Alla fine del saggio, a pag. 152, Caffè invitava il lettore a riacquistare la "consapevolezza che il peso ingente e a volte esclusivo, fatto tradizionalmente gravare sulla politica monetaria come strumento di lotta antinflazionistica, è necessaria conseguenza della generale riluttanza riservata all'impiego dei controlli diretti (razionamenti, disciplina dei prezzi, limitazioni amministrative)".

Anche qui peraltro Caffè ci riporta al rapporto tra economia e diritto, con particolare riferimento al diritto amministrativo. Sia pure implicitamente, Caffè ci dice che un bravo economista deve trovarsi a suo agio non solo parlando di tasse, spesa pubblica e moneta, ma deve essere in grado di cogliere l'impatto economico di strumenti di regolazione tipici della gestione amministrativa pubblicistica.

Nonostante la consolazione dovuta all'aver trovato in libreria questa raccolta di saggi di Federico Caffè che illuminano il cammino di chi vuol continuare a pensare con la propria testa, resta tuttavia il dolore per essere stati costretti a iniziare e continuare il rapporto con Caffè solo mediante i suoi libri e senza aver potuto conoscerlo e parlargli.

 
 
 
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