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L'esigenza delle riforme costituzionali

Post n°144 pubblicato il 28 Maggio 2017 da single_sound
 

A distanza di quasi 6 mesi da 4 dicembre, è forse giunto il momento di riflettere un po' sull'esigenza delle riforme costituzionali.

In effetti, dopo il 4 dicembre abbiamo quasi completamente abbandonato i commenti all'attualità politica, né soprattutto siamo tornati sull'esito del referendum costituzionale.

Del resto, non ne valeva la pena.

Tuttavia, non parlare dei problemi non significa che essi non esistano. Anzi. La questione delle riforme costituzionali non è più, evidentemente, all'ordine del giorno in Italia. Resta da vedere, però, se l'esigenza delle riforme è sparita.

Per vero, l'idea di fare un post in questo senso è venuta in superficie leggendo un'intervista a Romano Prodi a L'Espresso della scorsa settimana. Sorvoliamo sul complesso dell'intervista, che non vale francamente la pena, per concentrarci sulla solita provocazione di Prodi, cioè quella di abolire Consiglio di Stato e TAR.

Prodi è stato quasi preveggente. Una settimana prima della polemica sui TAR lui ha anticipato tutti. Premesso che Prodi stesso afferma che si tratta di una provocazione, va detto che comunque la provocazione non fa ridere. E se fa pensare, onestamente, viene qualche dubbio sulle capacità politiche di Prodi.

Cerchiamo lo stesso di vedere cosa esprime la frase di Prodi. A parte il disgusto che si prova nel leggere che un politico come Prodi confonde la burocrazia (cioè l'Amministrazione) con la giurisdizione, e quindi ci si domanda come Prodi abbia superato gli esami di diritto all'università, Prodi forse non si è avveduto che nel corso degli ultimi 7 anni è stato varato il codice del processo amministrativo. Sono stati varati i correttivi al Codice. E' stato varato il nuovo codice dei contratti pubblici, che ha modificato il rito appalti. Ora è stato varato il corrrettivo al codice dei contratti pubblici.

Insomma, un profluvio di riforme, ma nessuna di queste pare aver risolto l'esigenza di Prodi.

Verrebbe da domandarsi come mai.

Il problema sembra risiedere nel fatto che, in uno Stato democratico, le esigenze della politica nostrana, ossia di essere svincolati da ogni forma di controllo e bilanciamento per decidere in piena libertà e specialmente arbitrio, non può essere evidentemente soddisfatta.

L'esigenza della politica nostrana è questa. A essa si affianca l'esigenza degli operatori finanziari di non avere di fronte un sistema capace di far muro rispetto alle loro scorribande.

L'insistenza sulle riforme costituzionali si può, in somma sintesi, far risalire a questa esigenza, che in realtà è unica, di politici e speculatori finanziari.

D'altronde, quando il sistema economico è incapace di risolvere i suoi problemi, di prassi, inizia la polemica contro il sistema istituzionale che non è in grado di lasciar liberi di lavorare i destabilizzatori del sistema. E' chiaro che questa non è una logica generale.

Verrebbe da chiedersi: ma se almeno gli operatori economici tornassero, per dirla volgarmente, a far quattrini, lascerebbero perdere e smetterebbero di far polemica contro il sistema istituzionale?

La risposta è banalmente no. Chi ragiona in quel modo, fondando la sua azione sul profitto personale, non smetterà mai. Tutt'al più si darà solo una calmata per qualche tempo. Ora giocoforza se la deve dare per via di un risultato che non lascia dubbi circa il fatto che il nostro popolo non vuole le riforme costituzionali. Ciò non toglie però che tra qualche tempo qualcuno non se ne esca con l'esigenza di una qualche riforma costituzionale da far passare a maggioranza dei 2/3 così da evitare nuovi referendum costituzionali. Ricordiamo che la riforma dell'art. 81 della Costituzione è illegittima perché approvata da un parlamento di nominati (quello eletto nel 2008 con una legge incostituzionale).

Per quale motivo non si darà una calmata? Perché il pensiero del profitto è assoluto. Chi ragiona in quei termini non accetterà mai, ed è un dato che storicamente è ormai dimostrato, che il suo margine di profitto scenda a causa di un livello di tassazione "elevato" finalizzato al finanziamento del welfare.

Per intenderci ancor meglio: la Costituzione italiana ha introdotto una serie di diritti sociali che si finanziano con la tassazione e con la contribuzione. Con questo sistema, il rischio che il capitalista/imprenditore trasferisce al lavoratore, in origine senza tutele (ad esempio l'infortunio sul lavoro), viene assorbito dallo Stato. Ma lo Stato come lo affronta? Lo affronta esattamente gestendolo direttamente attraverso la burocrazia (per usare il linguaggio di Prodi) e ritrasferendolo indirettamente a carico degli interessati attraverso la tassazione e la contribuzione e in questo modo diminuisce il margine di utile del privato.

Poiché però non si può andare ufficialmente contro i diritti, perché non è politically correct, si aggredisce la seconda parte della Costituzione per impedire alle istituzioni di tutelare quei diritti. E' un discorso molto semplice e non lo scopre certo oggi chi scrive.

In questa prospettiva, l'esigenza di riforme costituzionali, per come si configura da parte della destra liberista, è chiaramente un'esigenza semplicemente di un sistema economico oggi fallito ma che se anche  tornasse a macinare profitti non cesserebbe, perché il profitto non accetta di essere diminuito. Deve "antropologicamente" continuare a crescere e valicare e demolire ogni limite.

Questa è un'esigenza distruttiva. E ovviamente non può esser accolta. Le riforme costituzionali che partono da questa esigenza non sono giustificate, né sono collettivamente "utili" al sistema.

Al contrario, il Costituente, proprio con l'art. 138, aveva immaginato che riforme costituzionali fossero doverose per aggiornare il quadro costituzionale, in termini di diritti, doveri e assetti istituzionali così da ammodernarlo ogni qual volta fosse necessario mediante interventi puntuali.

Questa esigenza di fondo non è affatto scomparsa. 

Il paradosso della situazione in cui viviamo è però quello che l'attuazione della Costituzione è finita verso gli anni '70, come si ricordava nel post sull'avanzo primario, per cui la Costituzione è ancora inattuata e siamo finanche in ritardo nella sua attuazione. Prima di fare riforme mirate, bisognerebbe quindi pensare alla sua attuazione, facendo una buona volta, per esempio, funzionare la cogestione delle imprese e, di riflesso, il CNEL.

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