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LA FIABA DEL NOSTRO CIRCOLO

Post n°24 pubblicato il 27 Febbraio 2010 da legambientelomellina

Un giorno nella foresta scoppiò un grande incendio. Di fronte all’avanzare delle fiamme, tutti gli animali scapparono terrorizzati mentre il fuoco distruggeva ogni cosa senza pietà.

Leoni, zebre, elefanti, rinoceronti, gazzelle e tanti altri animali cercarono rifugio nelle acque del grande fiume, ma ormai l’incendio stava per arrivare anche lì.

Mentre tutti discutevano animatamente sul da farsi, un piccolissimo colibrì si tuffò nelle acque del fiume e, dopo aver preso nel becco una goccia d’acqua, incurante del gran caldo, la lasciò cadere sopra la foresta invasa dal fumo.
Il fuoco non se ne accorse neppure e proseguì la sua corsa sospinto dal vento.
Il colibrì, però, non si perse d’animo e continuò a tuffarsi per raccogliere ogni volta una piccola goccia d’acqua che lasciava cadere sulle fiamme.
La cosa non passò inosservata e ad un certo punto il leone lo chiamò e gli chiese:
“Cosa stai facendo?”. L’uccellino gli rispose: “Cerco di spegnere l’incendio!”.
Il leone si mise a ridere: “Tu così piccolo pretendi di fermare le fiamme?” e assieme a tutti gli altri animali incominciò a prenderlo in giro. Ma l’uccellino, incurante delle risate e delle critiche, si gettò nuovamente nel fiume per raccogliere un’altra goccia d’acqua.
A quella vista un elefantino, che fino a quel momento era rimasto al riparo tra le zampe della madre, immerse la sua proboscide nel fiume e, dopo aver aspirato quanta più acqua possibile, la spruzzò su un cespuglio che stava ormai per essere divorato dal fuoco.
Anche un giovane pellicano, lasciati i suoi genitori al centro del fiume, si riempì il grande becco d’acqua e, preso il volo, la lasciò cadere come una cascata su di un albero minacciato dalle fiamme.
Contagiati da quegli esempi, tutti i cuccioli d’animale si prodigarono insieme per spegnere l’incendio che ormai aveva raggiunto le rive del fiume.
Dimenticando vecchi rancori e divisioni millenarie, il cucciolo del leone e dell’antilope, quello della scimmia e del leopardo, quello dell’aquila dal collo bianco e della lepre lottarono fianco a fianco per fermare la corsa del fuoco.
A quella vista gli adulti smisero di deriderli e, pieni di vergogna, incominciarono a dar manforte ai loro figli. Con l’arrivo di forze fresche, bene organizzate dal re leone, quando le ombre della sera calarono sulla savana, l’incendio poteva dirsi ormai domato.
Sporchi e stanchi, ma salvi, tutti gli animali si radunarono per festeggiare insieme la vittoria sul fuoco.
Il leone chiamò il piccolo colibrì e gli disse: “Oggi abbiamo imparato che la cosa più importante non è essere grandi e forti ma pieni di coraggio e di generosità. Oggi tu ci hai insegnato che anche una goccia d’acqua può essere importante e che «insieme si può» spegnere un grande incendio. D’ora in poi tu diventerai il simbolo del nostro impegno a costruire un mondo migliore, dove ci sia posto per tutti, la violenza sia bandita, la parola guerra cancellata, la morte per fame solo un brutto ricordo”.

 

 
 
 

Vacanze di Natale: post di marco ns socio.

Post n°23 pubblicato il 06 Gennaio 2010 da legambientelomellina

Pensiamo con il corpo (con la testa o col cuore?)

 (in classe nell’ultima ora di scuola prima delle vacanze)

Veronica. Prof non vorrà farci lezione l’ultima ora dell’ultimo giorno di scuola?

Flavio. L’ultima ora del 2009!

Prof. Per carità, volete fare una festa?

Rita. L’abbiamo già fatta nell’ora precedente e.. mi spiace non abbiamo avanzato niente.

Prof. Mi avete escluso dalla festa.

Ivonne. Anche me, sono arrivata solo adesso perché prima sono andata in questura per il permesso di sogiorno e anche se avevo l’appuntamento mi hanno fato aspetare.

Prof. E adesso sei a posto?

Ivonne. Per ora sì, ma tra sei mesi devo già rifare le carte.

Flavio. Davanti ai funzionari siamo tutti precari.

Prof. Per noi non hanno avanzato neppure le briciole...

Ivonne. Come fanno sempre con i paesi poveri...

Conti. A proposito ha visto prof a Copenhagen che flop?

Ivonne. Anche Cina, Brasile e India hanno fatto il voltafacia rispeto noi.

Conti. Volevi che ci legassimo le mani adesso che si intravede una ripresa?

Veronica. Ha sentito prof? Parlano con il corpo, anche Ivonne: voltafaccia, legare le mani...

Prof. Sì, brava, sei diventata un’osservatrice acuta, ma lascia continuare la discussione.

Giacomo. Lei che giudizio dà della conferenza?

Prof. Secondo me c’è stato un colpo di mano finale, forse anche per salvare la faccia, così hanno indorato la pillola ma alla fine la montagna ha partorito il topolino.

Veronica. Ma prof, tutte metafore corporee e fisiche.

Prof. Sì ci sarebbe da rodersi il fegato, ma sentiamo voi, se volete cimentarvi nella discussione anche nell’imminenza delle vacanze.

Ivonne. La testa non va in vacanza, si dice in Costa d’Avorio.

Flavio. Ma un po’ di spensieratezza ci vuole, del doman non c’è certezza, neanche sul clima, e allora cogliamo l’attimo.

Giusy. Flavio non parli più in rima?

Flavio. Ma non hai notato che mi son servito di citazioni e frasi fatte?

Veronica. Io non me ne sono accorta, anche se il prof dice che sono una osservatrice.

Conti. Allora apri gli occhi, anzi le orecchie. Comunque io sono contento del vertice: si sono  raffreddati i bollenti spiriti dei fanatici del clima, si è usata la ragione e non ci si è fatti prendere dai mal di pancia.

Giacomo. Invece secondo me si è persa un’occasione, speriamo di non rimpiangerla in futuro. Se non diminuiamo le emissioni di CO2, non abbiamo una soluzione B .

Rita. E neppure un pianeta B.

Conti. Guarda che l’anidride carbonica è solo uno dei gas e quello che contribuisce di meno all’effetto serra.

Giacomo. Sì, ma è quello più abbondante e quello su cui possiamo agire di più.

Ivonne. Anche il mare è fato di goce d’acqua, e l’acqua buca la rocia.

Conti. Non capisco questi esempi strampalati. Secondo me non dobbiamo rinunciare allo sviluppo perché produce inquinamento ma evitare l’inquinamento perché rallenta lo sviluppo.

Veronica. Prof ha sentito? Conti ha fatto un chiasmo.

Prof. Sì, la forma è buona, ma vorrei chiederti ti sei convertito alla green economy?

Conti. Dove c’è profitto io mi ci ficco.

Veronica. Rima imperfetta...

Flavio. Ma con l’assonanza anche se all’apparenza.

Conti. Quale apparenza?

Giacomo. Non per la rima ma per lo sviluppo: non puoi investire nel sole e nel nucleare, favorire il risparmio e il consumismo, l’inquinamento e il disinquinamento.

Giusy. Quello si può e tutto fa PIL, l’abbiamo detto la scorsa settimana, non vi ricordate?

Prof. Ivonne, avevi capito cos’è il PIL?

Ivonne. Sì ma non mi ricordo cosa vogliono dire le letere.

Giacomo. Paesi Inquinanti Ladri.

Flavio. No PIL significa Puzza Infernale Libera

Veronica. Ma non era Prodotto Industriale Lurido?

Conti. Prodotto Interno Lordato... Lordo, Veronica, dove vivi?

Veronica. Perché te la prendi solo con me, anche gli altri hanno scherzato.

Conti. Ma tu dicevi sul serio. Vede prof certe campagne di stampa hanno effetti deleteri sugli spiriti deboli.

Veronica. Spero che vuoi fare dello spirito, spiritoso.

Prof. Raffreddiamo il clima, per favore.

Giacomo. Come si fa con gente come lui?

Prof. Nel senso di gente con le sue idee?

Conti. Siete voi teste calde.

Giusy. Ma tu non hai a cuore l’ambiente?

Conti. Io non sputo nel piatto dove mangio, come voi, io sono per scelte equilibrate, razionali, non per i colpi di testa.

Giacomo. Ma se abbiamo quasi l’acqua alla gola...

Conti. Eccolo qui l’irrazionale, l’oscurantista, devi aver fiducia nella scienza, che ha sempre risolto i problemi dell’uomo.

Prof. Tema da un miliardo di euro! Siete d’accordo con Conti?

Veronica. Adesso basta prof, mi fate venire il mal di testa, oggi non ci divertiamo neanche un po’ e poi è Natale...

Conti. Sì in questo do ragione a Veronica, continuare a discutere è stressante, lasciamo decidere a chi sa più di noi, tanto noi non contiamo.

Flavio. Tu Conti o non conti? This is the question.

Giacomo. E’ il pianeta che è stressato e da parte dei paesi ricchi.

Ivonne. Che cosa vuol dire stresato?

Prof. Spiegatelo voi.

Veronica. Come quando devi essere interrogata o fare un compito in classe.

Rita. O il ragazzo che ti piace non ti caga neppure.

Giusy. O un altro che non ti fa né caldo né freddo l’hai sempre tra i piedi.

Prof. Metafore un po’ colorite ma ti hanno fatto capire cosa vuol dire stressato Ivonne? O come diceva Giacomo pianeta stressato?

Ivonne. Penso sì, come quando al mio paese c’è la sicità e si dice che la pianta odia il sole e ama la nuvola.

Conti. Ma senza il sole le piante morirebbero, non hai studiato la fotosintesi clorofilliana?

Ivonne. Sì, la so, ma non puoi continuare a mangiare se non hai da bere.

Veronica. Che tristezza, per favore.

Flavio. Nella cartella ho nascosto dello spumante e dei bicchieri, se il prof. non è contrario... a infrangere i regolamenti, direi di toglierci la sete che tutti quei salatini di prima ci hanno stressato lo stomaco.

Prof. Ma sì, non è la giornata giusta per affrontare certi temi.

Giusy. Allora un bel brindisi.

Giacomo. E c’è da bere per tutti?

Rita. Se i primi saranno onesti.

Ivonne. Io non bevo.

Conti. Sei proprio una guastafeste.

Rita. Sei mica astemia?

Ivonne. Non so che cosa vuol dire ma io non ho mai bevuto alcolici, noi non li avevamo.

Conti. Perché siete mussulmani?

Ivonne. No, perché costava già tropo l’acqua.

Veronica. Uffa, che stress, allora questo brindisi?

Rita. A chi brindiamo?

Prof. Facciamolo dire a Ivonne che non beve.

Ivonne. Non so come si fa.

Giusy. Devi augurare qualcosa per qualcuno, se viene detto durante il brindisi porta fortuna.

Ivonne. Allora auguri di tuto cuore a chi ragiona col cuore e fortuna per i diversi per un pianeta diverso.

 

 

 

 
 
 

la scoperta dell'acqua: da marco ns socio una piece teatrale in cerca d'autore

Post n°22 pubblicato il 06 Gennaio 2010 da legambientelomellina

 

La scoperta dell’acqua calda spiegata a mia nonna

 

Nipote. Nonna sono venuto a farti gli auguri di buon anno.

Nonna. Grazie caro, un altro anno... nel 2010 ne ho già ottanta, parliamo d’altro non voglio pensarci se no divento triste.

Nipote. A proposito hai visto che triste spettacolo al vertice?

Nonna. Non mi è sembrato molto al vertice, piuttosto al minimo...

Nipote. Ma io intendo la conferenza di Copenhagen...

Nonna. Lo so, sei tu che non hai capito la mia risposta.

Nipote. Adesso giochiamo con le parole?

Nonna. L’esempio viene dall’alto, dicono che hanno trovato un accordo, ma dove? La Casa Bianca ha concordato con alcuni paesi emergenti di rinviare gli impegni, che però si dichiarano urgenti.

Nipote. L’hai detto è la Casa bianca, non verde!

Nonna. Allora giochi anche tu con le parole, hanno cercato di salvare capre e cavoli.

Nipote. Forse perché faceva freddo, nevicava. E’ difficile lavorare contro il riscaldamento futuro in mezzo al ghiaccio attuale.

Nonna. Gli interessi si sono fatti sentire più del clima. A loro il clima esterno non fa né caldo né freddo. Pensano tutti alle prossime elezioni...

Nipote. Ma no. Per esempio Obama ha fatto un semplice ragionamento: contano più gli operai dell’Illinois o l’ambiente? Meglio curare il PIL che i cambiamenti climatici, scusa!

Nonna. Guarda che la crisi economica è anche ambientale. Cosa serve salvare l’occupazione, gli stipendi o il PIL se poi andiamo tutti sott’acqua?

Nipote. Non è detto. Voi catastrof-ambientalisti pensate subito di andare a mollo, ce l’avete proprio con l’acqua.

Nonna. Fa osservazione, si misura tutto con l’acqua: diminuzione delle piogge, siccità, oppure inondazioni, uragani, scioglimento dei ghiacci, innalzamento dei mari...

Nipote. Tu scopri l’acqua calda nonna. Ma studi scientifici seri, non falsificabili, dicono che è una cosa ciclica. E poi se aumenta il caldo aumentano le nubi e filtrano meno i raggi del sole, quindi fa meno caldo. Sono gli effetti retroattivi nonna, cioè...

Nonna. Non conosco la parola, ma ho capito, non sono mica rimbambita: se stai male smetti di fumare e quindi stai meglio. E’ così?

Nipote. Possiamo dire che è quasi così. Allora sei d’accordo?

Nonna. Ti ricordi il mio vicino Alfredo? Beh quando sono andata a fare le analisi in ospedale, l’ho incontrato. Era ricoverato per un infarto, ma stava bene.

Nipote. E allora?

Nonna. Stai a sentire la sua storia. L’anno scorso l’hanno messo in cassa integrazione e sai che lui è sempre stato un forte fumatore...

Nipote. Cosa c’entra?

Nonna. Lui non ce la faceva più coi soldi, ma di smettere neanche a parlarne, è passato a sigarette meno care e le ha calate di due al giorno per dare un contentino alla moglie.

Nipote. E quindi?

Nonna. Sai che bello, stressato perché è rimasto senza lavoro, sedentario, fumatore gli hanno trovato la pressione alta e il colesterolo cattivo alle stelle.

Nipote. Perciò?

Nonna. Gli hanno detto di troncare con il fumo e gli hanno consigliato una dieta. Ma lui figurati: “Sono sempre stato bene, sono mica una donna che deve guardare la linea. Io non ho problemi, sono forte come un toro”... e tutte quelle belle idee lì. Poi, crak, gli è venuto l’infarto. Ma l’infarto aiuta a cambiare le abitudini. Niente di meglio per smettere di fumare e per passare a una alimentazione più sana.

Nipote. Sempre se sopravvivi. Ma cosa c’entra con quello che stavamo dicendo... con Copenhagen?

Nonna. Ah, mi ha detto che adesso gli hanno dato una dieta molto più rigida, dicendogli che resterà debole per un bel po’, ma poi potrà riprendere l’attività di prima, cioè una vita normale senza però le sigarette e gli eccessi e... le corride.

Nipote. Sono contento per lui.

Nonna. Non era meglio se preveniva, se quando gli hanno trovato un livello troppo alto dei grassi nel sangue e la pressione si dava una calmata?

Nipote. Nonna, scopri l’acqua calda te l’ho già detto, e allora?

Nonna. Ma non hai ancora capito, la stessa cosa vale per i capi degli stati. I medici, pardon gli scienziati, hanno fatto la diagnosi dei mali, hanno trovato un livello troppo alto dei gas nell’atmosfera, ma loro imperterriti: preferiscono andare dall’estetista per mostrarsi in TV.

Nipote. Fai anche la moralista nonna? Devi sapere che l’immagine è importante nella nostra società, e poi dietro l’immagine c’è sempre qualcosa...

Nonna. Anche la cosm-etica ha dentro l’etica.

Nipote. Come?

Nonna. Sì nella parola: ma è tutta un’altra cosa. Ho ragione o no?

Nipote. Sì ma c’è una bella differenza tra un caso individuale, dove c’è una casistica ben chiara, e cose futuribili come le previsioni climatiche, che non sono mica sicure. ‘Sti scienziati dell’ONU devono anche loro guadagnare la pagnotta, li capisco, ma i capi di stato sono mica scemi.

Nonna. Lo diceva anche Alfredo che l’infarto era una cosa futuribile. “Se ti deve venire ti viene lo stesso”, diceva, “i medici sono uomini e sbagliano anche loro, anzi hanno interesse a metterti paura, dire che corri dei rischi, per poterti curare”.

Nipote. Ti ho appena detto che in quel caso era chiaro, ma sul clima del pianeta c’è ancora incertezza, magari ‘sti apprendisti stregoni pitturati di verde esagerano.

Nonna. Anche Alfredo diceva che quegli spaventapasseri con il camice bianco esageravano. D’altra parte pure il Titanic era inaffondabile.

Nipote. Ci risiamo con questa immagine del Titanic, non è nuova, l’ho già letta da qualche parte, nonna, non è originale. Lo sappiamo tutti che non era inaffondabile: te lo dico per la terza volta, nonna, scopri l’acqua calda.

Nonna. Forse qui poveretti lì del transatlantico non hanno scoperto l’acqua proprio calda. Però i signoroni si sono salvati, preoccupandosi di fare suonare l’orchestra per gli sfortunati, prima di occupare le poche scialuppe. Ma si sa, non c’è mai posto per tutti, bisogna rispettare la gerarchia. Chi ha costruito, investito, progettato (magari causando la catastrofe) non può essere messo nella stessa barca di un poveraccio o di un clandestino, no?

Nipote. Nonna, per caso hai rivisto il film con Di Caprio? Adesso sai che è diventato un eco-vip?

Nonna. Sì vede che gli è servita l’esperienza del Titanic, anche se la sua era solo una fiction. Qualcun altro invece preferisce i reality, come il mio vicino Alfredo.

 

 

 
 
 

Progetto di una “mnemoteca” (archivio della memoria) degli anziani della Lomellina

Post n°21 pubblicato il 19 Dicembre 2009 da legambientelomellina

 

 

Le motivazioni del progetto sono essenzialmente tre:

La prima quella di documentare la vita e la cultura della gente comune, normalmente esclusa dalla produzione di documenti, talvolta oggetto di citazione, ma sempre attraverso fonti indirette, che filtrano e adattano ai loro fini le testimonianze dei “senza voce”.

La seconda è più che un’esigenza, un’urgenza, cioè quella di arrivare in tempo a documentare e quindi salvare il patrimonio folklorico locale, ormai non più in funzione, e quindi destinato a scomparire con la morte degli anziani depositari di quella cultura, non più trasmessa alle generazioni più giovani.  Infatti i fenomeni di acculturazione esterna hanno instaurato forme di egemonia sui meccanismi di inculturazione tradizionali.

Infine è importante un’opera di valorizzazione del territorio, che vi realizza ovviamente anche salvaguardando la memoria di chi lo abita e lo ha abitato. Anche la memoria  dei contadini, è un “ambiente da conservare”, perché è ricco di esperienze, di diversità, di rapporto con la natura e con i cicli naturali, specie nelle generazioni più anziane che, anche per necessità, erano ecologhe ante-litteram. Bisogna imparare dal passato, senza ritorni nostalgici, ma con la consapevolezza di dover lasciare un ambiente il più possibile conservato alle nuove generazioni.

Per raccogliere fedelmente il racconto della propria vita e del proprio patrimonio linguistico e folklorico non si può fare a meno della registrazione.

Scriveva Gianni Bosio nel lontano 1970: “L’ingresso del magnetofono sembra coincidere con il momento di trapasso tra la cultura di tradizione orale a quella di tradizione scritta (...) Il registratore è strumento di molti e diversi confronti, pegno di nuove possibilità anche nell’ambito delle tradizionali discipline culturali. Accumula in maniera netta enormi quantità di materiale (realtà) e le fissa in modo permanente così come appaiono nel momento della fissazione (...) il magnetofono restituisce alla cultura affidata ai mezzi di comunicazione orale lo strumento per emergere”.

Ci si porta l’informatore “a casa”, non si può aggiungere nulla a quello che ha detto, ma lo si può risentire svariate volte, trascrivere le sue parole, fare un montaggio, ecc.

Con la possibilità attuale delle video-camere si aggiunge valore, anche didattico alle registrazioni.

La registrazione visiva aumenta la fissazione di particolari essenziali dell’intervista. La mimica del volto e la gestualità del corpo rimangono anch’esse “agli atti” e permettono successivamente di apprezzare la quantità di informazioni non verbali che fluiscono in doppio senso tra intervistatore e intervistato. Inoltre fissa particolari dell’ambiente che è opportuno registrare: mobili, suppellettili, le fotografie, i quadri appesi alle pareti contengono un’informazione comunque valida. Permette di incrociare il codice verbale con quello visivo per ottenere un supplemento di informazione. La stessa cosa vale per le immagini di mediatori, familiari o amici spesso presenti silenziosi o loquaci ma sempre importanti per l’attenzione giudicante che prestano al racconto di chi parla.

Consente di intervistare più persone contemporaneamente perché l’immagine permette di identificare i parlanti che spesso si interrompono l’un l’altro e che si sovrappongono. Se registrato solo audio il documento rimane dopo l’intervista quasi sempre inutilizzabile perché lo studioso non riesce a identificare la provenienza di molti racconti ed ancor meno le sovrapposizioni di voci.

La video-registrazione infine rende possibile l’uso dell’immagine fotografica nell’intervista.

Le vecchie immagini permettono a chi fa le domande di farlo partendo da un passato individualizzato e non astratto, permettono al testimone di essere “in contesto”, lo aiutano a superare la barriera che lo separa dal passato, le foto gli pongono domande che l’intervistatore non saprebbe neppure formulare. Gli stessi informatori anziani rivivrebbero così un momento collettivo per comunicare il patrimonio di cultura popolare a loro tramandato, che oggi trova sempre meno occasioni per poter essere trasmesso alle nuove generazioni. Ecco il mio progetto che attende un segnale istituzionale di interesse  per poterlo realizzare.

 

 

 

 
 
 

La storia di Filippo: il racconto di Sara

Post n°20 pubblicato il 19 Dicembre 2009 da legambientelomellina

Sono appena rientrata dal giardino, ho controllato se Anna sta bene.

Si, sta benone, ha mangiato anche i pezzettini di anguria. I vermi invece li ha spazzolati subito stamattina, sei grosse succulente camole, per la precisione.

Se fosse una persona la invidierei… le direi ma come fai a restare in forma, con quel che mangi!

 

Anna è un pulcino di gallinella d’acqua; l’ho trovata domenica, che per l’appunto era il 26 luglio, Santi Gioacchino e Anna… di chiamarla Gioacchina neanche a parlarne, per cui ho optato per Anna.

A dire il vero sarebbe più corretto dire che lei ha trovato noi (Fausto, Monica e me, di ritorno da un week end in Val Curone ad osservare le stelle); correva all’impazzata sulla via, spaventata a morte dalle auto. Lì vicino scorre un fossetto piccolo e poco pulito, forse veniva da quelle parti. Abbiamo prontamente fermato il traffico (gli altri automobilisti non ci hanno amato molto) e ci siamo dati all’inseguimento; c’è voluta molta maestria per riuscire a prenderla, perché la piccola corre veloce sulle lunghe zampette, che la fanno assomigliare ad un incorcio tra Calimero e una specie lillipuziana di gru.

Di altre gallinelle nel fossetto neanche l’ombra; niente genitori o fratellini, o almeno parenti di secondo grado… vista la sua tendenza a gettarsi sotto le auto, ho pensato bene di portarmela a casa, almeno per un paio di settimane se ne starà nel recinto che le ho preparato nell’ex orto, ben soleggiato al mattino ma in ombra nelle ore più calde, erba sia alta che bassa, piscinetta, cibo in abbondanza, insomma tutti i comforts.

Sono qui nel mio ufficio al piano terra di casa, ma mentre lavoro mi capita di interrompermi, esco e vado a controllare se sta bene, ma di soppiatto, senza farmi vedere; quando mi avvicino scappa a nascondersi tra le foglie, il che è un bene, significa che non si è abituata alla presenza dell’uomo.

Tra qualche giorno la porterò in un luogo più tranquillo e la lascerò libera… l’oasi Bosco del Vignolo a Garlasco magari, oppure l’Agogna Morta tra Borgo Lavezzaro e Nicorvo, una zona umida bellissima in cui troverà certamente un gran numero di suoi simili con cui iniziare la sua nuova vita.

 

La piccola Anna mi riporta inevitabilmente alla memoria suo “fratello maggiore” Filippo.

Me lo portò il 3 maggio di qualche anno fa l’impresario edile signor Casabona (“Luigi, mi chiamo Luigi” mi diceva, è un tipo pratico e quel “signor Casabona” gli andava stretto).

In quel periodo Luigi stava ristrutturando una vecchia cascina. Esce dall’edificio e trova Filippo sul parabrezza del suo camion. Era caduto dal secondo piano, quando gli operai avevano demolito il tetto e, probabilmente indeciso tra lo shock e il terrore, si era addormentato.

Luigi mi dice: <<Architetto, so che lei è di Legambiente, ho trovato quest’uccello, può portarlo a qualcuno che sa cosa fare?>>

E io: <<Si si certo! Lo porto senz’altro alla LIPU!>>

… poi apro la scatola, lo guardo e scatta la scintilla dell’amore.

Un minuscolo piumino con grandi occhi neri, zampette artigliate, un piccolo becco adunco; un pulcino di gufo.

Un gufo, piovuto letteralmente dal cielo, un animale che adoro, affascinante, misterioso, inafferrabile… e io ora ne ho qui uno… ma siamo sicuri che lo voglio portare alla LIPU? Nooo…. Non ne sono poi tanto sicura, anzi… per niente…

Mi rimorde la coscienza, ma dove sono finiti i miei principi? Beh guardalo lì, che meraviglia… potrei crescerlo io, finchè non ha le penne adatte a volare… Ma senza tentare di farne un animale domestico, non sono mica una criminale, no! Lo crescerò per essere libero! Ma intanto ci penso io a lui, tesoro, me lo tengo per un po’ … un gufo, santo cielo, ma quando mi ricapita?

<<Eh no, quale gufo!>> fa Fausto (si, lo stesso che mi ha aiutato a inseguire la gallinella Anna) <<questo è un piccolo di allocco!>> con questo dimostrando la mia ignoranza nel campo delle specie animali.

Eh si, un allocco, come li chiamiano noi perché, da bravi rapaci notturni, dormono tutto il giorno e non hanno certo un’aria intellettualmente brillante mentre se ne stanno appollaiati a ronfare… come se qualcuno osservasse noi, di notte, stesi nei nostri letti, con l’espressione ebete persa nei sogni, e dicesse: beh questo qui non mi pare troppo intelligente.

Contrariamente ai gufi e alle civette, amano fare il nido negli edifici abbandonati o poco frequentati (ecco cosa ci faceva nella vecchia cascina in ristrutturazione).

Mia madre e mia sorella diedero in escandescenza non appena varcai la porta di casa con quello che definirono “l’uccello del malaugurio”. Vista l’accoglienza ostile, decisi per un’altra sistemazione e lo portai al Casello delle Acque, una bellissima costruzione in mattoni rossi a cavallo tra due canali, vicino alla chiesa di Sant’Anna a Cilavegna; quella era allora la sede del mio circolo Legambiente. Nel giardino sul retro della costruzione c’è un vecchio rustico, dotato di posatoio per galline: l’ideale. Vi depositai il piccolo Filippo e me ne andai. Avevo molto da fare: dovevo documentarmi a fondo sulla vita, le abitudini e l’alimentazione degli allocchi.

 

Il piccolo rapace si rivelò un animale robusto, di carattere gagliardo e facilissimo da allevare.

Ogni sera andavo a Cilavegna per nutrirlo e controlare che tutto andasse bene. Su internet avevo trovato una quantità di informazioni sulle abitudini di comportamento e di alimentazione della sua specie.

Filippo, nei suoi rapporti con me, era molto ostile e sapeva per istinto di essere un dominatore. Ogni volta che mi avvicinavo per nutrirlo, spalancava le ali, gonfiava le piumette per mostrarsi più grosso e schioccava il becco… voleva che fosse chiaro da subito che, tra noi due, il predatore era lui! Poco importa se mi stava in una mano.

Le commesse del supermercato mi conoscevano ormai come “la mamma del gufo”; il reparto carne e pesce fresco erano le mie mete preferite. Per lui solo carne sceltissima, pollo e anche un po’ di pesce azzurro (gli allocchi normalmente non mangiano pesce, ma a quanto pare solo perché non sanno pescarlo, perché quando se lo ritrovano servito in tavola lo gradiscono eccome).

Mescolavo la carne trita con le piume tolte dal mio cuscino, lasciavo le ossicine al pollo e le lische e al pesce, triturandole con il pestacarne perché non si soffocasse. Infatti la mamma di solito li nutre con brandelli di piccoli animali, inclusi pelle, peli e ossa, e poi i piccoli rigurgitano tutti gli “scarti” poco nutrienti. Anche Filippo aveva imparato a fare il suo bel rigurgitino; ogni sera, quando andavo a nutrirlo, controllavo se per terra c’era una palletta compatta, lo scarto del pasto del giorno precedente.

Per nutrirlo indossavo guanti di pelle e occhiali protettivi, perché anche se piccolo aveva pur sempre dei begli artigli, e lo imboccavo con una comune e banalissima forchetta. Lui se ne stava posato sul trespolo per galline, a un paio di metri da terra, mangiava ma mi osservava circospetto, con l’aria enigmatica di chi non sa se considerarti un amico, una seccatura o una preda troppo cresciuta.

 

Andavo a trovarlo solo una volta al giorno, il tempo strettamente necessario a dargli la pappa, venti minuti, mezz’ora al massimo, poi molto a malincuore mi costringevo ad andarmene.

Avrei trascorso con lui ore e ore, ma si sarebbe abituato a me, e con me alla presenza dell’uomo in genere. Ben presto si sarebbe verificato quel fenomeno del comportamento animale noto come “imprinting”, che ogni cucciolo ha nei confronti di chi lo accudisce.

Quasi sempre le figure di riferimento sono i genitori, ma in questo caso Filippo avrebbe identificato me come un suo simile, smarrito la propria identità credendosi un essere umano, e non avrebbe mai più potuto essere liberato in natura.

Certo, desideravo essere io a crescerlo, non volevo rinuciare all’emozione di quel breve contatto quotidiano con una creatura così speciale. Ma non avevo certo l'intenzione di trasformarlo in un patetico surrogato di animale domestico. Lui mi permetteva di vivere un’esperienza meravigliosa finchè rimaneva se stesso, un animale selvatico destinato alla libertà.

Mi ritrovai ad avere le lacrime agli occhi mentre lo imboccavo, a raccontargli favole di luoghi che neanch’io avevo mai visto, di cose che non avrei mai potuto fare.

Gli raccontai di com’è bello trovare un buco accogliente nel tronco di un albero, in un bosco antico e frondoso, sonnecchiare tutto il giorno per poi uscire silenzioso in una notte stellata, cercare la preda, e planare infine micidiale su un succulento topo di campagna.

Gli raccontai persino di com’è bello volare.

 

Non ci volle molto perché la dieta iperproteica cui l’avevo sottoposto desse i suoi frutti.

Dopo quasi due mesi, il pulcino aveva più che triplicato le proprie dimensioni e molte, belle e lunghe penne spuntavano dalle ali e dalla coda. Era sempre più nervoso, svolazzava da un capo all’altro del capanno… Non era certo un adulto, ma era diventato un adolescente, e si sa, gli adolescenti vogliono i loro spazi.

Una sera di giugno gli diedi la pappa, e mi azzardai ad accarezzargli le penne (qualche schiocco del becco mi ricordò che non dovevo prendermi troppe confidenze).

Feci finta di niente, non mi piacciono gli addii, e poi perché doveva essere un addio? Ci saremmo certo rivisti. Lasciai la porta del capanno aperta, e gli raccomandai di volare bene e non finire dritto nel canale. Il giorno dopo non c’era più.

Ciao Filippo!

 

 
 
 

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