Il_Colore_oro

L'anestetico del dolore

L’anestetico del dolore ha un nome specifico,
si chiama DIPENDENZA.

Il subconscio registra ciò che ci ferisce,

 ciò che è sbagliato (ma che comunque insegna).
Le ferite che ne conseguono provocano dolore,

quando il dolore diventa insopportabile la parte di noi

che è istintiva, e agisce per la sopravvivenza continua

ed estrema, ci spinge a cercare “qualcosa” capace

di annientare il dolore e la prima cosa che fa è rifiutarlo.

Il problema peggiore sorge quando quel “qualcosa”

si rivela essere soltanto un blando sedativo:

una volta passato l’effetto il dolore si ripresenta.

Di solito prendiamo coscienza di questo effetto illusorio

quando ormai si è creata la DIPENDENZA da quel “qualcosa”.

Forse ce ne accorgiamo dopo pochi mesi oppure ce ne

accorgiamo dopo anni e anni quando il nostro corpo

è ormai distrutto mentre “quel” dolore (lo stesso di sempre)

resta là imperterrito, imperturbabile, pronto a riaffiorare

appena l’effetto sedativo svanisce con l’aggravante

di averci resi dipendenti dal “sedativo”.

I sedativi in questione si chiamano: cibo, fumo, alcool,

tradimenti, stupefacenti, gioco, truffe, pendere dalle

decisioni di altre persone, atti di violenza (scippi, furti,

raggiri, pedofilie, stupri, ecc.).

Tutto quello che agisce sulla persona dando un effetto

sedativo, cioè addormentando ulteriormente una parte

di noi che si chiama Coscienza, ha il nome generico di DROGA.

Si può uscire dalla dipendenza?
Si può uscire dalla droga che ha tanti nomi?
Sì, se ne può uscire.

Come?

Chiedendo aiuto a chi ci sta accanto
con l’impegno di spostarci in avanti, esponendoci, di due passi:

1) AFFRONTARE IL DOLORE CHE CI STRAZIA.

2) AFFRONTARE LA PAURA DI AFFRONTARLO.

Accettiamo il dolore dicendogli <<Eccomi, sono qui, parliamo>>,

diciamo alla paura di affrontarlo <<Eccomi, sono qui, parliamo>>.

Regaliamo a questi due stati d’animo una concretezza,

diamo loro un “corpo”, vuotando le stanze del cuore.
Non tutti si possono permettere delle sedute di psicoterapia

perché costano tantissimo e possono durare per anni,

ci sono i consultori ma non si può dire che funzionino

a dovere. Non tutti, tra l’altro, sono disposti

ad accettare d’intraprendere un percorso del genere

a prescindere dalle spese da sostenere. Non tutti hanno

qualcuno con cui parlare dei propri problemi o non vogliono

parlarne con nessuno e ammesso che possano e vogliano

farlo magari si rendono conto che, col passare del tempo,

non sentono giovamento. Che fare allora? Scrivere.

Si prende un quaderno e si scrive pari-pari TUTTO il nostro

dolore, annotando (se ce lo ricordiamo) a quando risale,

in quale occasione si è manifestato, da quanto tempo

lo abbiamo “dentro”,  come abbiamo reagito a esso.

Insomma scriviamo una sorta di diario in cui parliamo

di tutte le nostre sensazioni, anche delle più nascoste,

inerenti al proprio dolore. Ogni volta che si è finito di

scrivere alcune pagine ritenendo, per il momento,

esaurito quello che si voleva esprimere si prende il

quaderno e lo si ripone in un posto segreto. Si lascia

passare qualche giorno poi si riprende il quaderno e,

se c’è necessità, si continua scrivere fino a esaurimento

di tutte le nostre sensazioni e motivazioni quindi

si legge con attenzione, e con molta calma, tutto quello

che abbiamo scritto osservando cosa succede nella

propria interiorità, nel cuore. Poi si rimette il quaderno

nel posto segreto e lo si lascia ancora per un po’ di giorni

prima di rileggerlo. È bene fare questi passaggi per tutto

il tempo

che servirà al cuore di capire dove sta il “nodo”, quando

si arriverà al nodo si sarà pronti per bruciare quei fogli

o per farli in mille pezzettini e gettarli nel wc. Mentre si

guarderanno bruciare o macerare nell’acqua fino a scomparire

si starà vedendo il proprio dolore dissolversi. Subentrerà

un senso di liberazione, ci si sentirà sollevati, liberi ma se

questo non dovesse accadere del tutto vorrà dire che

sono rimaste ancora delle tracce di quel dolore però ci sarà

meno sofferenza, si avrà capito che compiere il percorso

ci ha permesso di crescere e di comprendere che cosa viveva

dentro di noi cibandosi dell’energia negativa prodotta da

noi stessi. Acquisire questa consapevolezza porta luce

al nostro Essere. Se quindi resteranno tracce di quel dolore

dovremo imparare ad accettarle e a conviverci attraverso

la comprensione che si sarà sviluppata nel percorso.

È un bel lavoro da fare su stessi e darà sicuramente un esito

positivo. In fondo non esiste opera d’arte più bella di quella

che ognuno sarà riuscito a “scolpire” e “dipingere” su di sé.

Affrontare la paura e il dolore è un atto d’Amore verso

se stessi. Compiere degli atti d’Amore verso se stessi vuol

dire prendersi cura di sé, Amarsi, vuol dire accettare le proprie

debolezze e capire che amare se stessi equivale ad amare

gli altri e l’ambiente in cui viviamo.