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Citazioni nei Blog Amici: 3
 

 

di arenili e rientranze, crepe schiuse

Post n°83 pubblicato il 18 Marzo 2013 da imagomentis

 

 

e penso al tempo
che scorre spudorato
nella memoria

in questa notte impeciata

 

così per celia

e per dimenticanza
 con mani oblique

voglio centellinare
due calici inondati

di zibibbo

 

(uno affrescato in fretta
dalla mano destra
sarà per me che oscillo
su una luna impudica
l’altro scolpito a caso
sulla mano sinistra
sarà per te che all’alba

ti protendi

sul profilo del sole)

 


poi nell’ebbrezza

dopo il secondo cincin
ascolterò rossini

oppure mozart
o forse sarà un bluesman

a raccattarmi
 

così ti voglio bene
tardivo come sempre
reso più lento dai passi
di una storia disancorata

 

ed è forse apparenza

di un eros senza appoggio

quasi mistico in tralice

ed è forse improvviso

dischiudersi di un fiore
primaverile in inverno
 nella sua dedizione
 al digradare

 

 

(ma non ho voglia

né vaghezza

di disquisizioni

stanotte che mi abbevero

con questo vino dolce

della mia terra e ricordo

il sapore antico

dal giallo chicco ondulato

sotto quel sole caldo

che spostava

una bionda fragranza

nei campi arati percorsi

da me adolescente

incontaminato)

 

eppure ogni mattina

l’ammiccare sorpreso

all’ennesimo sole
lo faccio inutilmente rimbalzare

sopra vetri spruzzati e inumiditi

dal brusio di un abbaglio

 

e sento l’alito non visibile di un’aura
che si accartoccia in se stessa
al di là del transitare sboccato
della sua notte di rugiada nuda
nei riflessi di una prima luce

accastellata sull’iride

ci mancherebbe anche
un soffio tiepido di tenerezza
tra il  cielo concavo di pece azzurra
e questa terra di lava zollosa

 


(qui nell’etereo è assente
la sporgenza spinosa del toccarsi appena
la concavità soffice del guardarsi negli occhi
la solidità fragile della concretezza)


per me che insisto
nell’esistenza impura
questa tua pura assenza
 sarebbe un disastro

 

(niente mano di bianco
sul soffitto ammuffito

dagli occhi stanchi

quelle macchie sul muro
hanno odore di cose

che mi incanta)


l’immaginario è fatto

di suoni e segni

assiepati nel nulla

ed è persino

prendersi cura di memoria

viziosa sregolata


per fare a pezzi

la dimenticanza

e ricomporla

mentre il reale è altrove

anche se vortica
nei dintorni del corpo

e nel cervello
in cerchio forsennato

come uno sciame
di vespe di farfalle di nottole

in viluppo confuso

ma sai di cosa sto parlando

e in ogni caso esisti

 

 

(ti immagino

allettante
nei tuoi pezzetti esistenziali che si dissolvono
disincantata
nel tuo incanto fitto di foglie croccanti di zolla
delicata
nella tua conflagrazione sminuzzata di frasi
smarrita
nelle distanze oscene del richiamare alla memoria
sfacciata
nei gesti duttili contratti dai sensi scollati in un giaciglio

 

e in un sogno)


ho però tra le dita

uno schizzo irreale

di immagini e di suoni
che fermentano

sui polpastrelli

e non si decidono


potrei tuttavia offrirlo

alla tua forma dell’occhio

in cambio di niente

farla sgorgare piano
da lineamenti accennati

dentro una goccia rossa

o bianco neve pestata

 


(eppure so
che le parole iniziano
nella traccia di segni
 e da inclinate apparenze
si mutano in cose

trapuntate

 nella danza di suoni)

 

 

così nel buio aspetto

il prossimo tramonto
per bere altro mescal

col verme lì sul fondo

a galleggiare
come ad una fontana

intimidita dalla bocca


(occasione di approdo

impreciso su scogli
in un languore adiacente

solido di sinonimi
nel suo tergiversare poetico)


e tu emotiva e logica

zigzagante femmina inzuppata

a pelle viva sbucciata
giochi con gli aggettivi
in solidi geometrici colati
nella tua follia che mi diletta

 

 

(a catinelle e zampilli

in una notte virata seppia)

 

oltre la via della seta

a ricercarsi

nei paraggi increspati

di una luce di luna

in scontro di nitore

e di vaghezza

con un bagliore lontano

di finestre

 

 

riscritto

23 ottobre 2004

 

 
 
 

sole doppio al crepuscolo

Post n°82 pubblicato il 26 Dicembre 2011 da imagomentis

 
Cerco con occhi chiari
tra il presente e il passato
il tuo profilo estetico
che si muove nel luogo
secolare e liturgico
dell’esistenza sciolta,
dove si snuda tremula
la parola sbrecciata
di forzatura e sfida,
che non confida mai
il suo suono tangibile
e si raffina gocciata
nella luce sommessa,
intenta, un po’ per celia,
nel pregare in effigie
divinità dissolte,
incise proprio alla base
di una piramide egizia
o sulla sommità
di uno ziggurat antico,
quando appare improvviso
quel bagliore pagano
messo a dimora a forza
nel territorio incluso
della rocca tra i templi
di venere e di marte,
o nel basalto duro
di una basilica gotica
nella foresta nera
o vicino ad un tempio
nella giungla piovosa.

Eppure nel tratteggio
di quel profilo incompleto
vedo elevarsi da una profezia
un minuzioso essere
che ti è simile in tutte
le sue parti profonde,
un po’ alla volta schiuse
nelle schegge interrate
del mio avvertire occluso
da segni antichi in rito
di alcova e di sacrario,
che questo corpo assurdo
lascia andare lontano,
indifferente al tempo,
mendicante o patrizio,
essenzialmente avvolto
in luminosi intrecci
tra le mani smembrate
di un io diviso e libero
che non toglie né prende.

Povera cosa è l’anima
spoglia del tocco pieno
che sfiora appena i corpi
in un talamo rosso
intrecciato di gesti
e di labbra corrose
dalle mani agitate
al calare di luna
sui raggi sostenuti
dalla costa di notte:
fumo nero su roccia
abbagliata da un’onda
e sabbia calda sparsa
per lambire le stelle
a picco sul respiro
che ti giunge disteso
se scuoto in me le lamine
del tempo e del ricordo.

In questi miei pensieri
fuggitivi tra i cenni,
seguo, sospeso al giogo
dei nostri sensi accesi,
la tua immagine lieve
in me che resto vuoto,
tra la penombra priva
della presenza pura,
vaga nella mancanza
e nell’assenza nitida.

 

 

 

 
 
 

in un bocciolo fragile di albore

Post n°81 pubblicato il 22 Agosto 2011 da imagomentis

 

 

è una notte bislacca

che s’accartoccia ai sensi,

imbambolati all’alba

da un dormiveglia ruvido,

di congiunzione fragile al torpore,

scarnito al sole in bilico sui vetri

che si farfugliano specchi

 

da qualche parte

un corpo a conca

nudo di femmina

forse rimasto incavo

sgombro, impalpabile,

sgusciante, acceso

in un rimando di sogni

da mente a mente

 

perché nell’aria c’era

un buon odore di eros,

chiaro al suo occhio

che si scriveva a margine

voci di cose e gesti,

quasi a cornice

di uno scorcio pittato

da mani inquiete,

indocili, arruffate

sul giaciglio e sul muro

 

così,  sorpreso

da quel sentire vago

d’inconsistenza,

ha preso a meditare

coi chakra mossi,

uno alla volta,

dal suo respiro lento

sparso nel corpo,

 

reminiscenze magiche

con un soffio a convergere

sul terzo occhio, quasi

pura energia mentale

a percepire il vortice

di luci sparpagliate

fino all’imago, tenue

 

come si fa in poesia,

intaglio di un mosaico

d’inconsistenza

sorto dal nulla

e rigettato al mondo,

in forma di parole,

forse di versi,

ma in questo caso

in foggia di pensieri,

sbrigliati all’essere

e dalla mente sciolti

d’immaginario

 

qualcosa ha visto,

in quelle docili anse

del meditare a cuore

riconciliato e pieno,

ed ha pensato

che era il tuo tornare,

spirituale, incorporea

nella sua anima monca,

troppo legata ancora

alla mancanza, all’assenza

sciocca dimora all’esistere,

senza di te che adesso

evanescente, eterea

gli parli dentro e canti

e danzi e ridi e voli

dal tuo altrove vicino

al suo qui ed ora,

quando nella sua mente

ti fa accorrere

 

e la scrittura salmodia

su questa terra a pezzi

un po' di roba imperfetta,

da ricercare

nel suo tao divagante

coi sensi vigili ai tratti

d’impermanenza

o nella testa docile

dove il silenzio

si addice, quieto,

immenso, sconfinato

come in un mantra muto,

senza vocaboli,

parafrasando il logos,

che a lui lemmi inesatti

ridanno simboli e segni,

a volte prodigiosi, noncuranti

del nostro dire

approssimato, incerto,

chiuso nella caverna

che proietta l’ombra

d’impermanenza alle idee,

confuse, rischiarate

da torce fioche ai dorsi

e tremolanti in aura,

che le riflettono

dalla parete all’anima

di roccia e vento

 

e fino all’alba insistere,

ad incalzare il vuoto,

con gli occhi chiusi e immobili,

ammonticchiando immagini di fiato,

con il respiro a cerchio del suo corpo,

costante, esteso all’attimo, all’eterno

 

poi il primo sole,

timoroso e sobrio,

con i suoi raggi tiepidi,

in un bocciolo fragile di albore,

porta i pensieri sminuzzati al vivere,

con un salto nei sogni,

di rimbalzo all’esistere,

fino al crepuscolo

ed alla prima luce,

 

figlia del sonno a togliere

materia e forma,

in questa veglia stramba,

che s’accartoccia ai sensi

 

 
 
 

abbiamo già dato, compagni, abbiamo già dato

Post n°80 pubblicato il 19 Agosto 2011 da imagomentis

 

 

come sarebbe bello

sbatacchiare insieme

l’aria scheletrica

di questa nuova mattina

tra il fumo confidente

di una pipa accesa

e il fiato appiccicoso 

di un sonno impreciso

 

un demone cromatico

occultato tra  muri

ingarbuglia grovigli

pettinati dal tempo

 

non  dimezzare

i rumori e le voci

tra le scalfitture

dei gesti

resta  appoggiata

alla mia finestra

in rivoli di pioggia

immaginata

 

senza avvenire

un punto incustodito

tra i nostri corpi

è la cuna del sole

 

gorgogliano

di giustizia e di verità

i vecchi compagni

 

non saprei  recitare

la ragione del mio silenzio

 

poesia e musica

si sovrappongono

nel dormiveglia

 

le idee boccheggiano

in una boscaglia

di foglie gialle

e mucchi di memoria

si accatastano nelle piazze vuote

 

 

da lontano

sulla cima di un monte

rosso un vessillo sventola

e lo sguardo si inumidisce

al ricordo

 

eppure

questo bicchiere 

dall’alba

ha soltanto le tracce

delle mie labbra

perciò continuo a scrivere

questi schizzi affrettati

 

frugare tra le parole

è una fatica inutile

 

puoi metterti controluce

solo di spalle?

 

nel portacenere

di terracotta azzurra

bucce di arancia e cicche

si ammonticchiano

 

e  non parlatemi

di una rivoluzione in occidente

perché probabilmente non saprei

come abbigliarmi

 

questa musica intanto

mi si appiccica agli occhi

e non c’è spazio

per l’immaginazione

 

ma claudio monteverdi 

mi riconcilia col mondo

e mi accompagna

tra i rumori del giorno

a puntellare

 

non so nemmeno

se la sua musica

t’incanterebbe

 

 

posso nel frattempo

preparare un caffè senza difetti

con una sola goccia di liquore

lasciata negli anfratti

della mia cute spoglia

di ideologia non di passione

mentre nel disincanto immagino

il tuo scrollarti irrequieto 

in questo giorno disabitato e lento?

 

 
 
 

e in quella crepa dei sensi prima dell'alba

Post n°79 pubblicato il 02 Agosto 2011 da imagomentis

   

e tra le mani scorre il dhammapada

sotto gli occhi inattesi della mente

che vagolava inquieta tra le cose

di una memoria generosa al tatto

prima dell'eremo

 

rompono gli argini pensieri d'arrembaggio

su ciò che fui per farne una poltiglia

d'inconsistenza e sciogliere gli ormeggi

di questo luogo di ponente sconfortato

detto occidente almeno nel pensiero

e togliersi dagli occhi ipocriti e usurai

di libertà non vera e consumista

 

restano i libri a togliere

muffa allo sguardo

e un po' di musica

manda via la canaglia

 

il bicchiere è in esilio

nel repulisti ideologico

e troppa calma in giro tra le idee

che a nulla servono

prive del referente

appiccicato all'essere

che è sempre altrove

a masticare anime irrequiete

 

oh sì l'amore o il sesso

in un contesto essenziale

che mitiga l'assenza

d'intelligenza al bivio dottrinale

con sinonimi a coda

come quel piano vecchio sopra il  palco

della mia pantomima

 

ed è un persino divertissement  loquace

guardare i polpastrelli zoppicare

sul corpo docile che ti ricopre l'incavo

della coscienza e quella luce a tratti

dalla finestra sembra l'occhio bislacco

di una divinità che si diverte a sfotterci

 

 

ma quando chiudo gli occhi nel mio sogno

tornano i pezzi sparsi del passato

tra le parole che scrivo

come missiva all'aria del crepuscolo

fitto d'immaginario e di reale

 

e in quella crepa dei sensi

prima dell'alba

la geometria del tempo

come i pezzetti a colori

di un calembour dentro l'iride

si suddivide al tocco dello sguardo

 

e tutto il resto se ne va a ramengo

giocherellando

 

 
 
 

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