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con gli occhi recintati dagli dei

Post n°88 pubblicato il 11 Luglio 2013 da imagomentis

 quello sguardo che si distoglie, intagliato e diviso, 

nell’alcova sospesa da segni di grafia e preludi di sensi,

 

include spruzzi di eros colorati e brulichii di compattezze

disgiunte, quasi come celate nel segreto di una bolla umida,

soffiata nel cristallo infrangibile dell’illusione e del gesto

 

è uno scrivere urgente di follia seppiata di paradossi,

picchiato a sangue da una sintassi apicale in frammenti,

che fa a brandelli le chiose ingannate da verità e  simbiosi 

 

e mischia magnetismi, immagini e gemiti flautati in pretesti,

mossi come sospinti da labbra appena accese dal tocco

 

è un modo audace di timore e di panico inanellato

nel frantumare il verso che opprime e libera in accuse,

scaraventando asserzioni su negazioni azzerate,

disancorate dalle certezze e dagli assiomi annerite

 

su una sponda immutata dal passo obliquo in contraddanza

piccole pietre rosse si scompigliano come efelidi fatte

da un sole imburrato al punto licenzioso, di castità e di cura,

 

quasi sulla linea increspata dal guizzare scomposto al limite

della penombra ondulata irta di adagi mossi sa soffi e fughe

e sciolta tra le crepe di un’incognita prossima e  separata

 

con i frammenti che restano a ben cercare tra i bulbi

aguzzi e morbidissimi di un apparire sbucciato ai  lati,

stuzzicando le cosce in transumanze oscene liquefatte,

 

chiuse come persiane con gerani sporgenti dagli spifferi,

sbattute all’incontrario dalla furia innocente e terrosa

dello scirocco ansioso che rassicura e dalla forza

caotica di canti e danze in moviole lentissime

sui contorni esagerati di monsoni oceanici,

 

si allestiscono altre frasi, altri vagiti rumorosi e solenni

che sono irrequieti richiami spezzettati e appesi obliqui

 

sopra il filo spinato di una voce infedele, muta e velata

tra le parole che frugano senza ritegno o colpa d’antichità,

 

al di là di un affiorare poco ortodosso, in compendio brulicante,

seminuda dall'acqua, quasi sirena dal canto seducente in eco,

 

tra le alghe toccate appena dalla pelle cerulea in abissi,

nelle strisce  turbinose di un mare scorrevole e gremito,

attratto dalla luna folle di lame affilate e agitato nell’onda,

 

proprio sopra il ginocchio immerso fino allo spigolo, cieco

nell’acqua fredda e  puro margine fatto di sale e di sole,

ad un millimetro esatto dalla battigia scorrevole che si ritira e

avanza nell’ansimare e lambire con gli occhi chiusi dagli dei

 

a due passi iperbolici dal seno che sul filo dell’acqua serpeggiata

mostra la sua tangente rossa come una palpebra schiusa

al primo mattino da un sole indiscreto e turgido di gradazioni

 

potrei toccare il nodo multiforme dell’anima se solo vagheggiassi

le antinomie di feste in costume  nell’io diviso e derubare un gesto

sparso di seme, languido, sottinteso, spinto da mani acerbe,

che si raggruma imperfetto sul giaciglio ossidato di clamore umido

 

e rarefatto da corpi carnivori nei segni arborei che si ricordano a tratti

le discordanze degli amplessi variegati con tinte primitive e spingere,

in ultima analisi, tra le mie mani schiave e padrone nel discorrere

 

e spremere, fino all’urlo ingoiato, questo nodo di rame e di offesa

che rassicura il cielo sulla sua consistenza indecifrabile e udibile

nel gorgoglio umettato tra le parole grattate sul soffitto e sui muri

 

(strane forme dell’essere si delineano nascondendo l’esistere

in un monogramma smezzato, dissipato tra vicoli equivoci,

e spalmano unguenti su lame affilate e profumi indecisi,

pigiate a forza da visioni improvvise di cupidigia e ghiaccio)

 

in un corpo ancillare, solo nel suo profilo alla sprovvista colto,

eccelso nel misticismo e nella bestemmia verso un dio accoltellato,

ancorato e dissolto come fumo di incenso in cima ad uno ziggurat,

in quel turbine erotico fatto di vento e pioggia che mostri impudente

 

è una sfida, compiuta nella dolcezza e nella dimenticanza, e un urto rapido

nella collera senza incanto,  smisurata e oscena come il tirso divino

 

accostato alle membra di danzatrici calve in una piazza acclamante,

c’è un sussistere in gabbia che non dissimula l'orma passeggera

del tempo manicheo e feroce e sterminandolo vive o sopravvive

urlando in liturgia denudata dal tempo e dallo spazio nei veli carnosi,

 

al limite estremo esposti negli angoli ombreggiati delle figurazioni

e delle effigi di caverna terrosa e di cielo annuvolato, di campo dissodato

 

e cima di monte antico multicolore di erbe tenere e rocce compatte,

che erutta fuoco o raggela l’ansimare e l’attesa, e scivola freddo e rovente

 

tra gli uomini camuffati da dei, in un gioco di specchi allontanato,

per scagliare sopra un foglio bianco nel suo pallore di malattia o innocenza,

pergamena, papiro, tavoletta d’argilla da incidere con uno stilo affilato,

 

se l’argilla è l’antinomia del corpo e la pergamena l’ossimoro della pelle

 

(non saprei cosa dire del giunco del nilo intrecciato da dita meridiane,

ma credo condensi i solchi dello stilo tra gocce  piene di bruma, colate

nel deserto e nell’oasi, se quella sabbia è rossa, caliginosa e bronzea

nel suo apparire improvviso come sembianza nuda in un castello pietroso)

 

per scagliare, scrivevo, frasi che schiumano onde di promiscuità primitiva,

senza redimere incosciente quella coscienza estrema di languore e silenzio,

 

che cede tenebre tumefatte, gesti immobili per tropo sentire o vivere,

proprio come noi offesi nell'isola di costa turchese e di sabbia corrosa,

 

presi dal panico senza scelta incisa, dell’essere ancora viventi porosi,

inquieti nella nostra crosta cerulea di violenza, irta di paradossi e di sale,

 

pensiamo e siamo vivi, alla maniera antica di spagnoli e di turchi,

con il coltello infilato nella mente oscena e farisea di sete e fame,

supini e alteri tra le mani intimidite dall’occhio, quasi lambendoci i corpi

 

nella fusione illogica d’amore o morte spianata o muta in dissolvenza,

 

perché poco ci importa quel rintracciare gocciato ai margini estremi

da sublimi creature esiliate da pietre nere  per atti osceni incompiuti.

 

quel che ci importa invece è la metafora del narrarci succosi,

il simbolo e l’allegoria del riprodurci identici,  inalterati, in forme

accostate alle immagini, tracotanti e superbe, nel peristilio intarsiato

 

da un’ombra che si scioglie imperfetta nel disincanto di ironia e disfatta

 

24 dicembre 2003

 
 
 

atto secondo: omissis - atto terzo: non sono solo pagine di libro

Post n°87 pubblicato il 01 Luglio 2013 da imagomentis

 

 

atto secondo: omissis



l’uomo beve

piange ride piange

guarda davanti a sé

rimane seduto

a volte pare voglia urlare

apre la bocca ma non esce suono.

luci di molti colori rimbalzano attorno a lui

un fascio di luce chiara è fermo sul suo viso


(voce dietro le quinte,

quasi un sussurro metallico un po’ alticcio,

forse un urlo)



Siamo spiacenti, ma non è più possibile recitare il testo immaginato. Nessuno è in grado di interpretare i ghirigori. Ci vorrebbe un mimo, ma è ubriaco nella cavea. Lo spettacolo, signori, continua.

 

 

 

 

atto terzo: non sono solo pagine di libro



l’uomo è alterato

ha dei fogli in mano

che legge in silenzio mentre cammina

e ogni tanto poggia un foglio sul tavolo

barcolla ma non cade

mette una cassetta in un registratore

e preme un tasto

la sua voce proviene dagli altoparlanti

c’è una musica blues che fa da sottofondo alla voce

l’uomo non dice nulla

ha la faccia dipinta di bianco


Forse dovrei chiederti scusa se il mio assurdo reale che aggredisco con le parole ti ha offeso. Tu non eri la causa, eri la conseguenza. In un crescendo improvviso, di fronte al tuo silenzio rinnovato, il mio scrivere inclinato e il mio parlare sono saltati in aria con le frasi che hai sentito e che hai letto, che ho sentito e che ho letto. Avevo i polpastrelli consumati come pietra pomice strisciata su granito e tu non potevi vederli calpestare i tasti, con la furia degli occhi lucidi nel disincanto incantato, per il disastro annunciato dell’immaginario. E avevo la gola rasoiata dal whisky che urlava di letteratura e di scrittura e non di innamoramento o di sesso. Nella notte mi sono avvicinato alla botola buia, che avevo scavato in poche ore con furia, e sono entrato.

 

apre una botola


Una mia poesia scassinata, scritta di rabbia in fretta, ha sbattuto il coperchio ed una mia risposta l’ha serrato.

 

l’uomo barcolla

non cade. si avvicina alla botola

guarda nel vuoto dell’apertura

ficcando dentro la testa.

pare voglia entrare

non entra

cammina ancora

la voce nell’altoparlante continua a dire

l’uomo appoggia ogni tanto

un foglio sul tavolo


L’avrei anche accettato nel reale, il tuo scioglierti per scomparire, ma non nell’immaginazione, nella scrittura aderente,  dissimile nel suo estuario eppure affine nella sua foce. Perciò avevo costruito con pazienza e in silenzio questa trama impeccabile per raccontarla a voce e t’aspettavo tra le mie frasi e le tue, senza tradirmi. Ma tu non ci sei stata ed il mio io, non il mio io reale di carne e sangue ma quello fatto da anni di letteratura, ha raso al suolo un bastione di immagini e tolto il respiro ad un sentimento che soffiava mitigato dalle parole e mite mi scaldava, impropriamente forse, il sogno e la follia che non ho mai scansato. Ora sono smarrito, ma so che la solitudine cura il male osceno dei segni. E guardo il mio soffitto basso che ti sarebbe piaciuto, e brucio una gran quantità di ms dure sulla lingua. Mi verso anche un bicchiere di bourbon popolare, bruciabudella, ma a fine mese è sempre così. Non urlerò di letteratura e di scrittura stavolta. Stai tranquilla, non lo farò con te. E non temere, il mio delirio è innocuo. Puoi dimenticarlo facilmente. Torno al reale, tra le donnette allegre e il buon vino, e lascio l’etereo e la sua poca luce, ma non scordo quel sogno e da qualche altra parte, all’improvviso un giorno, mi arrischierò a rifarlo. Ti porgo le mie scuse se ho leso l’aura con un sobbalzo assurdo. E ti assicuro, donna fragile e forte, frivola  dai denti d’acciao mai incontrata né vista, per me Ionesco e Artaud non sono solo pagine di libro.

 



La voce si interrompe. Il blues porta avanti i suoi suoni. L’uomo raccoglie i fogli sul tavolo. Li mette in una busta che piega e ripone in tasca. Raccoglie dal pavimento una bottiglia piena, una stecca di sigarette e un libro a caso. Trascina con sé un altoparlante che continua a mandare musica. Entra nella botola aperta e la chiude. Soffia dentro la stanza, improvviso e forte, un vento caldo di Siria.

 


cala il sipario

 applausi e fischi

 silenzio

 si sbaracca

domani si ricomincia




(riscritto in prosa il 16 luglio 2003)

 

 
 
 

atto primo: tutto è disteso sulle frasi eppure

Post n°86 pubblicato il 23 Maggio 2013 da imagomentis

 

 

 l'uomo parla


Minchia però, questa stanza anche stanotte è un bordello. Passano i giorni rattoppati e non cambia, o meglio cambiano i pezzi delle cose che lascio in giro in forma di parole tra la gente distratta, che va e viene e si sgola per dire e si affatica per fare, mentre prima dovrebbe inabissare l’occhio nel bicchiere e poi palparsi l’anima a vicenda con le mani sulla pelle in rilievo.

 

si altera un poco

la voce è ironica


Tanto non cambia niente dopo troppo reale in croste di memoria. E cambia tutto nell’immaginario dove alture tra cime nevose e fredde diventano passerelle bianche su fiumi caldi, e dove parole e cose di te che appari nuda e ti accartocci e gemi sono pause poggiate tra tuoi seni ed in file asimmetriche sono formiche rosse ubriache tra le tue cosce caramellose.

 
getta una bottiglia vuota sullo specchio

che va in frantumi ma non cade

 

alza la voce

 Occazzocazzocazzo! Prestami la tua cipria! Oggi non ho voglia di separare gli specchi e non ho nemmeno voglia di uscire, ma ho quasi finito le sigarette e il vino e qualcuno deve andare fuori a comprarli, perciò mi serve un po’ del tuo makeup da spalmare sul viso, a dita chiuse come un selvaggio in guerra. Due strisce orizzontali sulla fronte e tre distese a piombo sulla guancia.

(mette le dita nel bicchiere e ripete il gesto)

beve d’un sorso

e sussurra alzandosi in piedi

Al mio rientro, per caso, tornerò a pensarti sparsa nel mio bicchiere e dentro il fumo, come una folata acre di vento tiepido e liquido che si attorciglia agli occhi in mulinello spaiato.

guarda nel bicchiere

soffia il fumo della sigaretta davanti a sé

e lo osserva mentre si dirada.

ha un'espressione di stupore sul viso

si sposta dal tavolo.

si piega sui ginocchi.

tiene la testa tra le mani

che si muovono sul viso.

come carezze.

la voce è monotona

Certo tra noi succederà qualcosa perché è scritto persino su questo soffitto basso. Se chiudo gli occhi lo leggo anche sui muri che tu sarai, probabilmente in chiosa oasi di pioggia e luna sgocciolata nel tuo cerchio. Ed io forse sarò, in triangolo e delta, scudo e sentiero di questo divenire lento nel raggrumarsi.


torna a sedersi.

ricomincia a bere.

la voce è alterata

 Stanotte aspetterò l’alba del quotidiano per insultarla sorpreso nell’assurdo e nel mio sguardo arrossato d’azzurro. E sarò senza appoggio in una lacerazione di preghiera e di guerra. Rito dissennato come quel pane mistico spezzato nel vuoto bianco del cielo. Imbevuto nel vino strizzato a sangue in una vaga memoria del sacrificio di un palestinese, biondo con gli occhi azzurri, che resta sempre un’effige erotica come le madonne del quattrocento.

 

 al centro dello sfondo

appare il quadro del giambellino

e ai lati fotografie in bianco e nero

di volti e corpi di palestinesi dell’intifada

in successione casuale.

si alza

indica l’immagine del quadro

con l’indice delle mano destra.

con la sinistra beve dalla bottiglia

Hai mai guardato il viso della donna che porge quel bimbo ai saggi, nella presentazione al tempio del Giambellino, cognato di Andrea Mantegna? E' puro eros appiccicato al muro. Eros e Tanathos nel loro fatto sacro.

 

si siede

prende dei fogli formato A4

li guarda uno ad uno

parla e continua a bere.

la voce è dolce

E leggerò i tuoi fogli per poggiarli sparsi sul fianco sgombro del mio letto disfatto, prima del sonno ed al di là dell’assenza. Ed alla fine avrai la tua leggerezza brumosa di un sussurro di foglie di castagni nel bosco, in quel tramonto impastato di terra e di pioggia. E in un estroso spumeggiare di onde, in un mare d’inverno sotto la prima luce, avrai la tua consistenza di battigia schiumosa.


si alza

in una mano ha la bottiglia

e nell'altra i fogli

si sposta continuamente

parla e beve

 La verità è che non me ne strafotte una minchia! E le parole sono solo un pretesto perché la realtà non è parola e il tuo gesto non è che un suono di sillabe su questa carta che leggo.


getta i fogli per aria.

si siede

accende una sigaretta

beve

 

Stanotte c’è uno strano sciabordio di sensi. E noi della ciurmaglia del buon buk, di notte sbronzi, con una tastiera e i sensi all’erta, siamo pericolosi. Sfidiamo l’ira del buon dio dei credenti e tocchiamo persino il culo al diavolo.


si calma.

la voce diventa normale

smette di bere

 Forse dovrei trovarmi una compagna, perché da troppo tempo insisto nel rifiutare sinestesie di donnette, che sono facili facili. Ma una donna è quasi un tatuaggio indelebile, proprio sul terzo occhio che si schiude su quel delta di venere istoriato da uno schizzo tracciato sopra un segno.


si alza.

va fino al centro dello spazio.

si siede sul tavolato.

si agita mentre parla

 Perché penso alla tua bocca indolente che si raggomitola in un risucchio di ombra? Perché mi lascio andare alle visioni di un estetismo instabile nell’alcool? Per quale scopo la maledetta inquietudine ritorna in un contesto astratto e si fa immagine di concretezza?


torna a sedersi al tavolo

parla senza sgomento

scandisce la parole con foce ferma

 La mia realtà è linguistica. Insopportabile se ci pensi bene. E nel reale, quella parte di me che si disloca tra cose e persone, non ha l’essenza inutile del dire, ma la sostanza cieca dell’apparire.

 beve

chiude gli occhi

ride piange ride

 

E infine so che il mio essere inquieto, dopo tanto reale rimasticato crudo, è nei frammenti dell’immaginario e nelle tracce di un disastro che annuncia un sentimento fatto di parole.


si calma

si alza

guarda i libri sparsi

ne raccoglie alcuni a caso

e li ammassa alla sua sinistra

guarda le bottiglie vuote

le raccoglie ad una ad una

le sistema alla sua destra una accanto all’altra

prende lo specchio in frantumi

dal basamento in marmo

lo mette davanti a sé

lo guarda.

raccoglie un frammento.

si specchia e parla


Nel mio caos esistenziale, quotidiano e ossessivo, non reggeresti per una settimana. Perciò lasciamo che tra di noi ci sia solo un fatto di lessico.


guarda la maschera

torna a sedersi al tavolo

ricomincia a bere in silenzio

 
 
 

monologo in tre atti prologo

Post n°85 pubblicato il 10 Aprile 2013 da imagomentis

si apre il sipario. silenzio


Un uomo è seduto ad un tavolo di legno in un angolo della scena. Su un foglio bianco senza cornice, appeso al muro, quasi alle sue spalle, è disegnata, con pennellate rosse e spesse, una maschera precolombiana o africana. Sopra la sua testa c’è una tettoia bassa che sembra un soffitto. Basta alzarsi in piedi e allungare un poco le braccia per riuscire a toccarla. Alla sua sinistra c’è uno specchio antichissimo, poggiato sopra un basamento di marmo bianco. In un angolo c'è un tavolinetto e una piccola sedia vuota. Sul ripiano, pieno di polvere, una vecchia olivetti e un vaso si ceramica azzurra con dei fiori appassiti, una scatola di tabacco e tre o quattro pipe di varie forme. In una poltrona, acciambellato, riposa un vecchio gatto tigrato. In una piccola gabbia due piccole scimmie, legate ad una catenella, si agitano e fanno smorfie. Il maschietto ha un cappellino di plastica verde sulla testa e al collo, intonata, una farfallina di stoffa. La femminuccia indossa una gonnellina fucsia e due orecchini di vetro scintillante, agganciati ai lobi. Molti libri sono sparsi per terra, come gettati a caso e con furia. Alcuni senza copertina, altri scompaginati. La musica, che varia di genere, proviene da due altoparlanti poggiati sul pavimento e ai lati della stanza. Ci sono fogli di carta, scritti a mano o stampati, e bottiglie dappertutto. Sul suo tavolo, una bottiglia di JD e un bicchiere, tanti pacchetti di sigarette e un portacenere ampio pieno di cicche. C’è anche un pc portatile e una stampante.  L’uomo sta bevendo e fumando. Alle sue spalle una libreria con pochi libri e alcuno cd. In alto c'è uno striscione da corteo illuminato da un faro. Contiene, su uno sfondo bianco, alcune parole scritte a mano col colore rosso spruzzato da una bomboletta spray. Forse non è uno striscione. È un lenzuolo tagliato a metà che racchiude il titolo dell’atto. E ogni volta cambia. Lo scenario resta lo stesso. Immobile. Si muovono solo le pagine, che ogni tanto strusciano, e le bottiglie vuote, che ogni tanto cozzano. E qualche volta si muove anche l’uomo.



 
 
 

ti voglio bene aspettami

Post n°84 pubblicato il 21 Marzo 2013 da imagomentis

a togliere le inesattezze

del quotidiano stolto

il tuo pensiero soffia

tiepido e lento

nella mente sfrangiata

dalla poesia

 

dalla soglia dell’anima

zufola un sogno

nell’aria mite

di questo tempo monco

 

il barbaglio dell’iride

cerulea all’apparenza

si frammenta

in spicchi rossi di luce

 

dentro e fuori si mischiano

insolenze e premure

ed i sinonimi scrosciano

tra le parole e le cose

simboli e segni

a mitigare lo iato dell’esistere

 

ti penso e nel pensiero

parlo con te di me

e mi sorrido solo

nel mio silenzio orpello 

del ciarlare

 

 

e so che queste frasi

in forma zoppa di versi

fino al tuo altrove giungono a narrarti

ciò che succede al mondo

che m’appartiene

 

perciò le scrivo ancora

mischiate ai cenni

di questo sfogo poetico

che ti fa tratto

 

e sulla prima luce

di questo giorno sciolto al mio stupore

d’essere ancora vivo

rinnovo la promessa di mischiare

i tuoi coi miei pensieri

 

di leggere i miei libri

per te con miei occhi

e di parlare e scrivere

con le nostre parole

 

di guardare il creato ed odorarlo

per te con il mio naso

udendo tutti i suoi suoni

per te con le mie orecchie

e di toccarlo per te con le mie mani

e rispettarlo nella sua essenza

sacra all’esistere

 

per raccontarti il mondo

di questi sciocchi uomini che azzannano

sé stessi e la natura

come se fossero divinità immortali

 

così anche tu t’arrabbi

piccolo sole mio

 

ti voglio bene aspettami

lì nel tuo altrove

perché saremo insieme

anime uguali in corpi differenti

nel tempo circolare

della rinascita

 

 

23 ottobre 2007

 

 
 
 

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