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LA VITA ..........

Post n°242 pubblicato il 16 Maggio 2012 da cavallo140
 

Se la vita ha un senso

 

 

Scrive Dostoevskij: «L’uomo è un mistero che deve essere districato e se noi diamo la vita per questo fine, potremo dire di non averla sperperata; io mi voterò a questo mistero, perché voglio essere un uomo». E da queste parole fa emergere tutta l’inquietudine di chi, svegliandosi dall’ipnosi di un quotidiano trito e abitudinario, scopre la vita.

La vita, sì, ciò che abbiamo di più prezioso. Un mistero affascinante da abbracciare mentre si dispiega dinanzi a noi in tutta  la sua complessità: gioie e dolori, speranze e delusioni, successi e perdite; un intreccio che tuttavia non può e non deve essere districato; deve invece rimanere tale per essere chiamato ancora vita ed essere gustato, respirato, contemplato in tutta la sua bellezza.

È infatti il chiaroscuro che definendo luci ed ombre dà risalto all’immagine di un dipinto ed ha il potere di trasformarlo in un’opera d’arte.

No, la vita non è tanto un enigma da districare quanto piuttosto un      mistero da significare.

Perché è proprio di significati e di senso che ci nutriamo. E definiamo insensato, malato di mente, pazzo chi compie azioni senza un perché, senza uno scopo, senza un senso.

La nostra vita nell’ipnosi quotidiana passa giorno dopo giorno, anno dopo anno.

Nella norma tutto ha il suo posto e il suo ordine, tutto ha il suo perché. Ma ecco, il crollo delle torri gemelle, il terremoto in Abruzzo, la malattia, la morte di un tuo caro, un incontro o semplicemente l’inspiegabile senso di vuoto che ti attanaglia dopo l’ennesima serata passata in discoteca e nasce il fatidico interrogativo: ma che senso ha?

Quando questa domanda accade, dilagano dirompenti tutti i nostri perché: che senso ha la vita? Esiste davvero la felicità? Perché il dolore di tanti innocenti? Può esistere davvero un Dio? C’è qualcosa oltre la morte? Perché esiste il male?

Mille perché a cui però la vita risponde solo a patto che siano state soddisfatte altre domande che lei stessa pone: «Tu chi sei veramente e dove stai andando? Cosa vuoi farne della tua vita? Cosa desideri veramente? Chi e cosa ti può far felice? Per che cosa ti stai sacrificando? Cosa rimane di ciò per cui ti stai impegnando?». Domande chiamate “esistenziali” non solo perché cercano di penetrare il significato profondo dell’esistenza ma perché sono capaci di stravolgerla pur lasciandoti esattamente dove sei.

La domanda circa il senso della vita è basilare per ogni essere umano. È ciò che fa la nostra grandezza, che ci distingue da ogni cosa e da ogni essere vivente presente sulla terra: la consapevolezza di esistere e di essere liberi di dare una direzione alla nostra vita.

Proprio in nome di questa libertà possiamo o no rispondere ad essa. Tuttavia farlo o non farlo non è la stessa cosa. La differenza è quella che passa tra una vita piena zeppa di significati ed una vita significativa. La prima è costellata di tante giustificazioni ai nostri modi di fare, alle nostre scelte alle nostre attività, ai nostri hobby; motivazioni che permettono di farci sentire a posto e coerenti in quel pezzetto di tempo che viviamo, in quel posto e in quell’ambiente, con quelle persone. Esse tuttavia riducono la vita ad una somma di frammenti di esperienze che difficilmente sono in grado di resistere alla prova del tempo, del sacrificio e della sofferenza.

Una vita significativa è invece una vita in cui tutto può lasciare un segno verso quell'unica direzione scelta. È una vita mossa da una grande meta, un valore o una rosa di valori capaci di motivare tutto ciò che siamo e facciamo; un unico senso per cui vale la pena gioire e soffrire, impegnarsi e godere; un criterio ed uno sguardo per vedere noi e il mondo, in base al quale dirigere le nostre scelte.

 Questa meta ci  attrae e ci sostiene perché più grande della nostra stessa vita; è in grado di fornire sempre nuove energie e motivazioni anche nelle situazioni più difficili e sofferte; di indicare la direzione  giusta anche quando si smarrisce la via.

Nel nostro mondo, che fa della razionalità il suo idolo e della funzionalità l’unico criterio di scelta, che considera la libertà soprattutto come diritto e premessa per una realizzazione personale basata su un falso concetto di dignità dell’uomo, molte sono le possibilità di fuga alla domanda di senso. Si viene quasi ipnotizzati dal moltiplicarsi di bisogni indotti, dalle frenetiche attività che si susseguono l’una all’altra: il lavoro, lo sport, il divertimento, l’impegno in parrocchia, i circoli culturali, la scuola di informatica…

Ma quando non c’è un’unica grande motivazione a giustificare questa frenesia, quando ci si sveglia dall’ipnosi a causa della piccola risposta che non regge più alla fatica, alle richieste di chi ci sta intorno o semplicemente al bisogno del momento, ecco insorgere la sensazione di frammentarietà, la delusione, il vuoto, la confusione.

E nella società dell’opulenza, dei comfort, dell’esaltazione dell’uomo, della verità, della libertà, dilagano depressione e noia ed il numero di suicidi cresce paurosamente.

Dare un senso alla vita permette invece di rispondere al desiderio più vero e profondo che ci abita. Tale meta è capace di farci sentire in una unità di cuore mente volontà; e ci permette di godere  anche se non la si raggiunge mai completamente; goderla solo per il fatto che essa è il centro di noi, è la nostra verità e ci sentiamo vivere (non sopravvivere) mentre siamo ancora in cammino verso di lei.

Chi decide di rispondere al grande perché della vita scopre che essa e un dono ma anche un compito, una responsabilità e che con essa il senso non ci viene regalato automaticamente. Si tratta invece di un lungo e a volte faticoso cammino, indispensabile se si vuol “vivere e non vivacchiare”.Ci vuole buona volontà, disponibilità, umiltà ma anche competenze e persone capaci di fornire aiuto nella ricerca, in  questo percorso di verità.

 

 

 

 
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