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Post n°334 pubblicato il 01 Novembre 2021 da cavallo140
I cimiteri, normalmente deserti, silenziosi, a volte dimenticati, in questi giorni si animano. Profumano di fiori freschi, le voci rimbombano fra i filari di tombe, tante persone vanno a trovare i cari che non ci sono più. Ma non in tutti i luoghi e per tutte le comunità il rapporto con la morte è la stesso. «Quanto la morte sia protagonista del pensare dei siciliani, o meglio, quanto i siciliani pensino a partire dal sentimento di morte che li abita, nessuno l'ha espresso meglio di Gesualdo Bufalino in una delle pagine più dense del suo libro La luce e il lutto: "Così noi continuiamo ad opporre alle abbaglianti vociferazioni del sole la certezza immemorabile che su ogni cosa trionfa il niente. E che nei nostri occhi, finché non li chiudiamo, sono destinati a combattersi e ad amarsi per sempre la luce e il lutto"». Così in Sicilia, la Commemorazione dei defunti è "la Festa dei morti". Il giorno di Ognissanti «per noi bambini - racconta l'etno-antropologo Ignazio E. Buttitta - era giorno di impaziente attesa. Agognavamo che il tempo si affrettasse verso l'ombra e cercavamo nel cielo i segni del declino. Poiché era la morte del giorno che inaugurava il tempo della festa. Mio padre , appena rientrato dal lavoro, ci chiamava: forza andiamo alla Fiera! Non era la certezza dei doni che egli avrebbe acquistato a nostro diletto che ci aveva fatto fremere. Quelli, lo sapevamo bene, sarebbero comunque arrivati, i morti ci avrebbero donato, così ogni anno doveva accadere, i balocchi e i pupi di zucchero. Era piuttosto la brama di riempirci di colori, di suoni, di odori e di sapori straordinari, di introdurci con nostro padre in una dimensione altra, quella mitica del tempo senza tempo». Tradizioni che resistono e altre che si spengono. Ma non dovremmo mai perdere la consapevolezza - sottolinea ancora Buttitta - che «dimenticare i morti, il loro insegnamento, i riti antichi che ne rammemoravano l'esistenza e il ruolo presentificandoli per simboli, ciclicamente, ai vivi, significa disperdere la propria storia culturale, consegnarsi al nulla, essere nulla. Questo non sapevamo né avremmo potuto comprendere noi bambini. Lo sapeva certo mio padre, che, immancabilmente, anno dopo anno ci accompagnava alla Fiera dei Morti, lo sapeva mia madre che imbandiva la tavola serale con pupe di zucchero, oss'i muortu e frutta martorana. Lo sapevano i morti che ogni anno tornavano a carezzare i loro figli e nipoti».
Post n°333 pubblicato il 19 Maggio 2021 da cavallo140
Torneremo ancora Franco Battiato Un suono discende da molto lontano Assenza di tempo e di spazio Nulla si crea, tutto si trasforma La luce sta nell'essere luminosi Irraggia il cosmo intero Cittadini del mondo Cercano una terra senza confine La vita non finisce È come il sogno La nascita è come il risveglio Finché non saremo liberi Torneremo ancora Ancora e ancora Lo sai Che il sogno è realtà E un mondo inviolato Ci aspetta da sempre I migranti di Ganden In corpi di luce Su pianeti invisibili Molte sono le vie Ma una sola Quella che conduce alla verità Finché non saremo liberi Torneremo ancora Ancora e ancora
Post n°332 pubblicato il 16 Marzo 2021 da cavallo140
Un sorriso dentro al pianto E adesso che dovrei posare per l'ennesima fotografia Sai dirmi tu per caso la migliore inquadratura quale sia? Ormai che con un selfie fai vedere tutto a tutti e così sia Ce la incorniciamo O la butto via? Parole sulle note sono state la migliore compagnia Per affrontare la stupidità abbiamo ancora l'allegria Se il cielo concedesse un po' di grazia ad ogni anima quaggiù Io sarei una santa Anima che canta Che canta in equilibrio sopra un'emozione Che capovolge l'esistenza alle persone Che non si può spiegare fino in fondo ma che resta in fondo al cuore Io sono tutto l'amore che ho dato Tutto l'amore incondizionato L'imbarazzo dietro al vanto Un sorriso dentro al pianto Io sono tutto l'amore che ho dato Mare in tempesta e cielo stellato Poco prima di uno schianto Un sorriso dentro al pianto E adesso che mi chiedi di sorridere vorrei dimenticare Ferite da leccare e grandi amori solo da desiderare Se l'universo scomparisse in un istante e non ci fosse più Io sicuramente resterei per sempre Per sempre in equilibrio sopra un'emozione Che capovolge l'esistenza alle persone Che non si può spiegare fino in fondo ma che resta in fondo al cuore Io sono tutto l'amore che ho dato Tutto l'amore incondizionato L'imbarazzo dietro al vanto Un sorriso dentro al pianto Io sono tutto l'amore che ho dato Mare in tempesta e cielo stellato Poco prima di uno schianto Un sorriso dentro al pianto E adesso che mi chiedi di sorridere vorrei dimenticare "Un sorriso dentro al pianto" segna il ritorno della voce più elegante e dell'anima più sensibile della musica italiana. A 86 anni Ornella Vanoni è pronta a rimettersi in gioco con un nuovo album di inediti dal titolo "Unica", in uscita il 29 gennaio . Questo singolo che anticipa l'uscita del disco e scritto in collaborazione da Pacifico e Francesco Gabbani, è un'elogio alla verità, quella dell'artista. La capacità interpretativa di Ornella, ancora una volta, da vita al talento innato di cantare di sé con naturalezza e semplicità. L'arrangiamento del brano ripercorre l'orchestrazione classica della musica leggera italiana: ogni strumento ha l'obiettivo di interpretare il pensiero dell'artista, rappresentandone al meglio ogni sfumatura. La maestria di Pacifico e la "penna fresca" di Gabbani formano una commistione perfetta di sentimento e immediatezza, raccontando al meglio una storia, o meglio, un'emozione. Dalle prime parole, magistralmente. E' un selfie, infatti, la prima fra tutte: quell'istante in cui ci si ferma per immortalare un sorriso, o una ruga, spunto per tornare indietro con la mente e ripercorrere ogni sentimento. Si ascolta l'ironia grazie a parole delicate ma che lasciano un sorriso, perché "se il cielo concedesse un po' di grazia ad ogni anima quaggiù, io sarei una Santa, anima che canta". L'accettazione dei propri limiti, della "stupidità", si contrappongono alla bellezza di un passato così amabilmente ricamato e prezioso.Il ritornello è un "grido" di gioia nell' aprirsi con sincerità a chi ascolta. Una confessione intima ma aiutata dall'apertura dell'arrangiamento, quella di Ornella Vanoni. "Io sono tutto l'amore che ho dato" è la frase che entra dentro al cuore immediatamente e che racchiude tutta la bellezza di questa canzone. Non è "io sono tutto l'amore del mondo" ma "sono tutto l' amore che ho dato", vale a dire "sono quella che sono, in ogni momento". Disarmante come la più dolce delle verità non si può non ascoltare questa canzone prescindendo dall'artista, dalla persona, e dalla sua età anagrafica che racchiude in sé esperienza ma soprattutto musica, coraggio e verità. Resta sempre vivo in ognuno di noi il momento prima di un'arresa, o prima dello "schianto", come appunto, "un sorriso dentro a un pianto". C'è sempre per Ornella Vanoni il momento in cui passa via ogni tempesta e si smette di aver paura, si guarda un cielo stellato e si sorride, con una lacrima che rigando il volto, diventa speranza. Sono le emozioni che, quando tutto finisce, resteranno per sempre. "Per sempre" come la musica di Ornella Vanoni che ancora oggi è capace di regalarci il meglio. Alla fine però, con quel pizzico di cinismo che la rende unica, "adesso che mi chiedi di sorridere, vorrei dimenticare", conclude questa "grande bellezza" con un sorriso malizioso, il sorriso di Ornella Vanoni.
Post n°331 pubblicato il 30 Maggio 2020 da cavallo140
Morire in solitudine Le immagini delle città deserte, Milano, Bologna, Roma, Venezia "fanno paura", dicono, sono "spettrali", aggiungono. Sembra che questa sia piuttosto la proiezione della paura del vuoto che l'individuo patisce in questo momento è che fa pari con la paura di morire in solitudine. Le città, invece ora appaiono nella loro grande bellezza, quella che confonde, quella originaria, quella che proviene dalla loro storia, e che nel tempo è stata trasfigurata dall'inquinamento e da bisogni costruiti da un impalpabile dictat economico e finanziario che gestisce la contemporaneità. Immagini trasmesse dalla tv e dai social ci fanno entrare nei reparti di terapia intensiva di tutte le città del mondo, prendiamo confidenza con termini mai sentiti prima. I "ventilatori", per la maggior parte di noi, erano quelli che rinfrancavano dall'afa, i "caschi" quelli del parrucchiere. Ma "triage" è il mio preferito, ricorda vagamente un elegante passo equestre nelle gare ippiche o un'armoniosa giravolta di ballo. La parola "terapia intensiva", peggio ancora "rianimazione" è entrata nel nostro lessico quotidiano. "TOT contagiati, TOT in terapia intensiva, TOT morti". Stiamo assumendo l'attitudine di una calcolatrice, la nostra mente procede per somme e sottrazioni e sembra che la piètas sia stata sostituita, in un battibaleno, col calcolo matematico. La "terapia intensiva" è un luogo di confine, nessuno vorrebbe varcare quella soglia, si può facilmente dire che rappresenta un incubo per tutti. I malati vengono isolati, li si può vedere solo attraverso un monitor e neppure il parente più stretto può fargli visita, tenergli la mano, portargli dei biscotti come si farebbe in tutti gli altri reparti, eppure adesso vengono aperte quelle porte, stiamo entrando, abbiamo visto poveretti inermi, intrappolati in "culle" trasparenti o con la testa imprigionata in caschi respiratori che sembrano astronauti sbronzi. Quali vissuti profondi attivano queste immagini? Quale sarà l'effetto sconvolgente ma intangibile che provocano nella nostra psiche? Quali difese l'individuo metterà in gioco? Siamo sottoposti ad un voyeurismo macabro e forse eccitante, perché la paura eccita quando non immobilizza. Il primo segnale di questo scombussolamento non è tanto la paura di morire, (quella è ancestrale), quanto quella di "morire da soli". Le chiamate che arrivano ai centri d'ascolto psicologico attivati dalle diverse comunità di settore, sono infatti di persone che hanno paura di morire "da sole". Questo dato deve far riflettere su ciò che È la "bellezza" e insieme la "forza" dell'individuo: la sua fragilità. Finalmente si entra in contatto con la propria impotenza e, per davvero, adesso siamo tutti uguali, nudi, indifesi, impauriti, dal manager all'operaio, al clochard. Nelle dirette televisive le facce dei giornalisti, dei virologi, dei medici, dei politici, dei tecnici dicono molto di più delle loro parole. Hanno paura, sono confusi. La nostra potenza è la consapevolezza della nostra impotenza. La nostra vitalità stà nella caducità (Freud. "Caducità",1915) Si canta dai balconi Un'occasione da non perdere dunque. Eppure la gente si riunisce in app appositamente scaricate sui cellulari per simulare party e aperitivi il cui risultato, il più delle volte, è patetico e l'eccitazione si sgonfia sotto il peso della consapevolezza dell'inappropriato. Si canta dai balconi, si sbandiera il tricolore, si accendono fiaccole, si scrivono striscioni, manifestazioni cautamente maniacali per stemperare il panico. Amari rimedi che piuttosto occupano lo spazio della riflessione. Era più facile quando il pericolo era "l'uomo nero" comodo da individuare mentre scende dai barconi o annega al largo delle nostre coste, o nei respingimenti alle frontiere. Oggi il nemico è invisibile, ed è minuscolo e senza muscoli, non ha appartenenza politica, di razza o di religione. Alla speranza di essere liberati dalla minaccia del virus e che si riprenda a vivere come prima subentra, in punta di piedi, il timore che tutto finisca e si riprenda a vivere come prima. Alcuni sceglieranno di non tornare alla vita di prima, ma saranno pochi. Intanto i cigni sono ritornati sui navigli, e il nostro cielo è più terso.
Post n°330 pubblicato il 21 Aprile 2020 da cavallo140
I vecchi Claudio Baglioni I vecchi sulle panchine dei giardini Succhiano fili d'aria e un vento di ricordi Il segno del cappello sulle teste da pulcini I vecchi mezzi ciechi, i vecchi mezzi sordi I vecchi che si addannano alle bocce Mattine lucide di festa che si può dormire Gli occhiali per vederci da vicino a misurar le gocce Per una malattia difficile da dire I vecchi tosse secca che non dormono di notte Seduti in pizzo al letto a riposare la stanchezza Si mangiano i sospiri e un po' di mele cotte I vecchi senza un corpo i vecchi senza una carezza I vecchi un po' contadini Che nel cielo sperano e temono il cielo Voci bruciate dal fumo dai grappini di un'osteria I vecchi vecchie canaglie Sempre pieni di sputi e consigli I vecchi senza più figlie, questi figli che non chiamano mai I vecchi che portano il mangiare per i gatti E come i gatti frugano tra i rifiuti Le ossa piene di rumori e smorfie e versi un po' da matti I vecchi che non sono mai cresciuti I vecchi anima bianca di calce in controluce Occhi annacquati dalla pioggia della vita I vecchi soli come i pali della luce E dover vivere fino alla morte che fatica I vecchi cuori di pezza Un vecchio cane e una pena al guinzaglio Confusi inciampano di tenerezza e brontolando se ne vanno via I vecchi invecchiano piano Con una piccola busta della spesa Quelli che tornano in chiesa lasciano fuori Bestemmie e fanno pace con Dio I vecchi povere stelle I vecchi povere patte sbottonate Guance da spose arrossate di mal di cuore e di nostalgia I vecchi sempre tra i piedi Chiusi in cucina se viene qualcuno I vecchi che non li vuole nessuno i vecchi da buttare via Ma i vecchi, i vecchi, se avessi un'auto da caricarne tanti Mi piacerebbe un giorno portarli al mare Arrotolargli i pantaloni e prendermeli in braccio Tutti quanti Sedia sediola, oggi si vola, e attenti a non sudare.
Dedicato a tutti i le persone anziane morti di virus.
Post n°329 pubblicato il 31 Marzo 2020 da cavallo140
Vivere la vita Vivere la vita è una cosa veramente grossa C'è tutto il mondo tra la culla e la fossa Sei partito da un piccolo porto Dove la sete era tanta e il fiasco era corto E adesso vivi... Perché non avrei niente di meglio da fare Finchè non sarai morto La vita è la più grande ubriacatura Mentre stai bevendo intorno a te tutto gira E incontri un sacco di gente Ma quando passerà non ti ricorderai più niente Ma non avere paura, qualcun' altro si ricorderà di te Ma la questione è... Perché??? Perché ha qualcosa che gli hai regalato Oppure avevi un debito... e non l'hai pagato??? Non c'è cosa peggiore del talento sprecato Non c'è cosa più triste di una padre che non ha amato... Vivere la vita è come fare un grosso girotondo C'è il momento di stare sù e quello di cadere giù nel fondo E allora avrai paura Perché a quella notte non eri pronto Al mattino ti rialzerai sulle tue gambe E sarai l'uomo più forte del mondo Lei si truccava forte per nascondere un dolore Lui si infilava le dita in gola... per vedere se veramente aveva un cuore Poi quello che non aveva fatto la società l'ha fatto l'amore... Guardali adesso come camminano leggeri senza un cognome... Puoi cambiare camicia se ne hai voglia E se hai fiducia puoi cambiare scarpe... Se hai scarpe nuove puoi cambiare strada E cambiando strada puoi cambiare idee E con le idee puoi cambiare il mondo... Ma il mondo non cambia spesso Allora la tua vera Rivoluzione sarà cambiare tè stesso Eccoti sulla tua barchetta di giornale che sfidi le onde della radiotelevisione Eccoti lungo la statale... che dai un bel pugno a uno sfruttatore Eccoti nel tuo monolocale... che scrivi una canzone Eccoti in guerra nel deserto che stai per disertare E ora... eccoti sul letto che non ti vuoi più alzare... E ti lamenti dei Governi e della crisi generale... Posso dirti una cosa da bambino??? Esci di casa! Sorrdi!! Respira forte!!! Sei vivo!!!...cretino...
Post n°328 pubblicato il 28 Marzo 2020 da cavallo140
Ora che "abbiamo tempo" chiediamoci che cosa sta cambiando dentro di noi |DI DONATELLA LISCIOTTO Ma che straordinaria coincidenza!... Stiamo morendo soffocati, proprio come i gabbiani paralizzati dai detriti, i pesci intrappolati nella plastica, le foreste nella morsa del fuoco, i ghiacciai che vanno sciogliendosi e le montagne che sprofondano. Avviene davanti ai nostri occhi che, dalla poltrona di casa, guardiamo pigri come se non fossimo della partita. O peggio deridiamo chi va in controtendenza: i Gretini siamo noi! E adesso ci tocca una morte senza respiro. La metafora è d'obbligo. Tutto quello che sta accadendo ha dell'incredibile. Stanno succedendo cose straordinarie che nell'imminenza determinano reazioni più o meno sconsiderate - come l'esodo dal nord al sud o l'assenteismo di alcuni medici e infermieri. Ma soprattutto sono già in corso e in corsa cambiamenti interni all'individuo. Ora abbiamo tempo Al solito, quello che si muove sono i processi inconsci, che procedono a "passi felpati". Durante questa reclusione, molte persone riferiscono di sentirsi "più libere". Addestrati al fare, al produrre, alla competizione dinamica, ora viene raccomandato, e addirittura sanzionato, di "stare a casa". Pensiamo a slogan come "milanononsiferma". Indipendentemente dalla splendida Milano, tali slogan si elevano a costumi, diventano cultura condivisa che impone ritmi di produttività che vengono non solo accettati ma persino difesi e sbandierati come un vanto, una cosa che fa la differenza tra Nord e Sud e che diventa un discrimine. Ma se "Milanononsiferma" adesso, adesso che siamo in pandemia, quando si dovrebbe fermare?.... Adesso invece stiamo scoprendo il Tempo. Abbiamo Tempo. Persino il modo di fare la doccia o di prendere un caffè è cambiato. Abbiamo Tempo. Abbiamo Tempo di conversare col vicino, con l'edicolante. Tempo di ascoltare le proprie paure. Tempo di stare in famiglia, Tempo di desiderare. Abbiamo tempo di avere Tempo. E le immagini?...che ruolo stanno avendo nel nostro cambiamento interiore?... Morire in solitudine Le immagini delle città deserte, Milano, Bologna, Roma, Venezia "fanno paura", dicono, sono "spettrali", aggiungono. Sembra che questa sia piuttosto la proiezione della paura del vuoto che l'individuo patisce in questo momento è che fa pari con la paura di morire in solitudine. Le città, invece ora appaiono nella loro grande bellezza, quella che confonde, quella originaria, quella che proviene dalla loro storia, e che nel tempo è stata trasfigurata dall'inquinamento e da bisogni costruiti da un impalpabile dictat economico e finanziario che gestisce la contemporaneità. Immagini trasmesse dalla tv e dai social ci fanno entrare nei reparti di terapia intensiva di tutte le città del mondo, prendiamo confidenza con termini mai sentiti prima. I "ventilatori", per la maggior parte di noi, erano quelli che rinfrancavano dall'afa, i "caschi" quelli del parrucchiere. Ma "triage" è il mio preferito, ricorda vagamente un elegante passo equestre nelle gare ippiche o un'armoniosa giravolta di ballo. La parola "terapia intensiva", peggio ancora "rianimazione" è entrata nel nostro lessico quotidiano. "TOT contagiati, TOT in terapia intensiva, TOT morti". Stiamo assumendo l'attitudine di una calcolatrice, la nostra mente procede per somme e sottrazioni e sembra che la piètas sia stata sostituita, in un battibaleno, col calcolo matematico. La "terapia intensiva" è un luogo di confine, nessuno vorrebbe varcare quella soglia, si può facilmente dire che rappresenta un incubo per tutti. I malati vengono isolati, li si può vedere solo attraverso un monitor e neppure il parente più stretto può fargli visita, tenergli la mano, portargli dei biscotti come si farebbe in tutti gli altri reparti, eppure adesso vengono aperte quelle porte, stiamo entrando, abbiamo visto poveretti inermi, intrappolati in "culle" trasparenti o con la testa imprigionata in caschi respiratori che sembrano astronauti sbronzi. Quali vissuti profondi attivano queste immagini? Quale sarà l'effetto sconvolgente ma intangibile che provocano nella nostra psiche? Quali difese l'individuo metterà in gioco? Siamo sottoposti ad un voyeurismo macabro e forse eccitante, perché la paura eccita quando non immobilizza. Il primo segnale di questo scombussolamento non è tanto la paura di morire, (quella è ancestrale), quanto quella di "morire da soli". Le chiamate che arrivano ai centri d'ascolto psicologico attivati dalle diverse comunità di settore, sono infatti di persone che hanno paura di morire "da sole". Questo dato deve far riflettere su ciò che È la "bellezza" e insieme la "forza" dell'individuo: la sua fragilità. Finalmente si entra in contatto con la propria impotenza e, per davvero, adesso siamo tutti uguali, nudi, indifesi, impauriti, dal manager all'operaio, al clochard. Nelle dirette televisive le facce dei giornalisti, dei virologi, dei medici, dei politici, dei tecnici dicono molto di più delle loro parole. Hanno paura, sono confusi. La nostra potenza è la consapevolezza della nostra impotenza. La nostra vitalità stà nella caducità (Freud. "Caducità",1915) Si canta dai balconi Un'occasione da non perdere dunque. Eppure la gente si riunisce in app appositamente scaricate sui cellulari per simulare party e aperitivi il cui risultato, il più delle volte, è patetico e l'eccitazione si sgonfia sotto il peso della consapevolezza dell'inappropriato. Si canta dai balconi, si sbandiera il tricolore, si accendono fiaccole, si scrivono striscioni, manifestazioni cautamente maniacali per stemperare il panico. Amari rimedi che piuttosto occupano lo spazio della riflessione. Era più facile quando il pericolo era "l'uomo nero" comodo da individuare mentre scende dai barconi o annega al largo delle nostre coste, o nei respingimenti alle frontiere. Oggi il nemico è invisibile, ed è minuscolo e senza muscoli, non ha appartenenza politica, di razza o di religione. Alla speranza di essere liberati dalla minaccia del virus e che si riprenda a vivere come prima subentra, in punta di piedi, il timore che tutto finisca e si riprenda a vivere come prima. Alcuni sceglieranno di non tornare alla vita di prima, ma saranno pochi. Intanto i cigni sono ritornati sui navigli, e il nostro cielo è più terso.
Post n°327 pubblicato il 18 Marzo 2020 da cavallo140
IL VIAGGIO Viaggio tra il razionale e l'irrazionale, poi... mi rifugio nell'alveare della fantasia. La natura e lo scorrere inesorabile del tempo sono poesia e diventano ricordo dell'infanzia del perduto e ritrovato amore...
Post n°326 pubblicato il 17 Marzo 2020 da cavallo140
La sfida della vita e dello scorrere del tempo è nel dover accettare il rischio dello scacco, come conseguenza delle nostre scelte. Scegliere è la scommessa finale ed anche il vero senso della Poesia. ALI IN PRESTITO Ho chiesto in prestito le ali ad una farfalla, qualcuno ha cercato di tagliarle. Io...... ho continuato a volare.
In questo giorni così particolari impegnamoci ad far uscire le cose belle che abbiamo dentro .Scrivete anche voi delle poesie .
Post n°325 pubblicato il 30 Gennaio 2020 da cavallo140
Desiderio d'amore Lei desiderava un sorriso una musica muta una riva di mare per bagnarsi il suo amore impossibile. I suoi piedi nudi e piagati, i suoi meschini capelli. Lei ignorava che il ricordo è un ferro piantato alla porta, non sapeva nulla della perfezione del passato, del massacro delle notti solitarie non sapeva che il più grande desiderio è un niente che s'inventa stranissime cose, e vola come un'idea verso l'enciclopedia del Paradiso. Sogna su un altare di piombo e frusta strampalati pupazzi che non portano mai allegria. Amore irripetibile Sull'ultima corda del tuo violino avevo già appeso il mio amore pieno di robe vecchie. Però in cima aveva una stella alpina ti giuro ho valicato mille montagne le stelle alpine Dio le pianta così in alto. Ma è così bello il rischio è come suonare su una corda sola senza neanche una cassa armonica esce il trillo del diavolo che sarà anche triste però è un sogno d'amore irripetibile un virtuosismo che non muore mai mai che non muore mai.
Post n°324 pubblicato il 06 Novembre 2019 da cavallo140
Falcone e Borsellino in croce I manifesti apparsi a Palermo 30/10/2019 - C'è scritto San Giovanni Martire e San Paolo Martire e sono firmati Al Fayeth Due manifesti, uno accanto all'altro, che raffigurano i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in croce sono spuntati stamattina su un muro non distante da piazza Pretoria la sede del consiglio comunale, in salita Santa Caterina a Palermo. In alto nelle due croci c'è scritto San Giovanni Martire e San Paolo Martire. I manifesti portano la firma Al Fayeth. Non si sa chi sia l'autore dei manifesti e chi li abbia attaccati al muro. Due manifesti, uno accanto all'altro, sono comparsi di mattina presto sui muri del centro di Palermo: due in salita Santa Caterina, proprio di fronte al Palazzo di città e altri due in via Maqueda. In uno c'è raffigurato Giovanni Falcone e nell'altro Paolo Borsellino. Entrambi sono crocifissi. La città è sotto choc per aver visto due simboli della lotta alla mafia in croce: non si sa chi li abbia prodotti o affissi ma portano la firma "La Fayeth". Nel corso della mattina la polizia ha presidiato la zona non permettendo a nessuno di scattare fotografie e successivamente è intervenuta anche la scientifica. I manifesti sono stati tolti subito dopo il sopralluogo delle forze dell'ordine. Gli inquirenti sono dunque al lavoro per capire cosa si cela dietro a questo gesto dai contorni poco chiari. Non sarebbe a quanto pare da escludere che nelle prossime ore o, nei prossimi giorni, possano apparire altre raffigurazioni simili in città. Nei giorni scorsi più volte i magistrati sono stati chiamati in causa dopo le pronunce della Corte europea dei diritti dell'Uomo e della Corte costituzionale contro l'ergastolo "ostativo". Gli attentati del 1992 vengono spesso collegati al carcere duro per i mafiosi e alcune misure sono state inasprite dopo le stragi.
Post n°323 pubblicato il 26 Agosto 2019 da cavallo140
LA SICILIA DI FICARRA E PICONE! F: Io sono fiero di essere siciliano... P: Io mi vergogno di essere siciliano... F: Io sono fiero di essere siciliano... perché...Europa, Africa, Occidente, Oriente....è proprio la posizione che è comoda... P: Io mi vergogno di essere siciliano...perché...siamo nati....comodi! F: Io sono fiero di essere siciliano...perché...questo mare, queste spiagge...questo sole... P: Io mi vergogno di essere siciliano...perché...a parte questo mare, a parte queste spiagge e a parte questo sole...(nulla!)... F: Io sono fiero di essere siciliano...perché da noi è nata la civiltà! P: Io mi vergogno di essere siciliano...perché da noi è nato Emilio Fede! F: Io sono fiero di essere siciliano...perché...almeno Castelli...è nato altrove... P: Io mi vergogno di essere siciliano...perché...almeno...altrove..hanno qualcuno che li difende.. F: Io sono fiero di essere siciliano...perché...arabi, francesi, spagnoli, borboni... abbiamo resistito a più di mille invasioni... P: Io mi vergogno di essere siciliano...perché...va bene le invasioni...ma dare 61 deputati su 61 a Forza Italia...non ci avrebbero sperato neanche i Borboni! F: Io sono fiero di essere siciliano...perché ci adattiamo a qualunque cosa... P: Io mi vergogno di essere siciliano...perché ci accontentiamo di qualunque cosa! F: Io sono fiero di essere siciliano...perché...aspetta........calma.....ma che fretta c'èèèè?? P: Io mi vergogno di essere siciliano...perché...aspetta, calma, ma che fretta c'è... F: Io sono fiero di essere siciliano...perché guardo il nostro cielo e penso che ha ispirato mille poeti... P: Io mi vergogno di essere siciliano...perché guardo il rubinetto secco... "e mi sovvien l'eterno"! F: Io sono fiero di essere siciliano...perché di qualsiasi cosa...ne cogliamo sempre l'aspetto comico... P: Io mi vergogno di essere siciliano...perché non prendiamo niente sul serio... F: Io sono fiero di essere siciliano...quando vedo per la mia città carovane di turisti... quasi sempre tedeschi in pantaloncini corti a dicembre...e dico: "ma questi ad agosto come verranno?"! P: Io mi vergogno di essere siciliano...perché..ancora oggi sento dire: "lascia perdere, è sempre stato così...ma chi te lo fa fare..." F: Io sono fiero di essere siciliano...perché siamo ottimisti! P: Io mi vergogno di essere siciliano...perché..rispetto all'Europa...anche a voler essere ottimisti...siamo 20 anni indietro! F: Io sono fiero..perchè se Dio vuole...tra 20 anni li raggiungiamo! P: Io mi vergogno..perchè...nessuno si indigna più per una Palermo-Messina iniziata 40 anni fa e mai finita... F: Io sono fiero...perché pur di lavorare onestamente..ci facciamo ancora 3000 km! 21/8/2019 LA SICILIA DI FICARRA E PICONE www.andreavolpe.net/Archivio/LA SICILIA DI FICARRA E PICONE.htm 2/2 P: Io mi vergogno...perché ancora oggi sento dire: "Ai tempi della Democrazia Cristiana..mangiavano ma facevano mangiare.." F: Io sono fiero...perché da noi la Famiglia ha ancora un senso.........alle volte due... P: Io mi vergogno di essere siciliano...perché...se mi capita di essere chiamato mafioso..a Milano...internamente mi scatta una sensazione di potere... F: Io sono fiero di essere siciliano...perché...Falcone, Borsellino, Padre Puglisi...sono siciliani... P: Io mi vergogno di essere siciliano... perché...Falcone, Borsellino, Padre Puglisi... ERANO siciliani! F: Io sono fiero di essere siciliano...perché Libero Grassi...ne era fiero... P: Io mi vergogno di essere siciliano...perché...internamente...penso che Libero Grassi se l'è cercata! F: Io sono fiero di essere siciliano...perché mi sento di appartenere a qualcosa di grande... P: Io mi vergogno di essere siciliano...perché ci mancherà sempre qualche cosa per diventare grandi... F: Io sono fiero di essere siciliano...perché è la cosa più bella che mi ha lasciato mio padre... P: Io mi vergogno di essere siciliano...perché è l'unico modo per farmi sentire... F: Io sono fiero di averla lasciata questa Sicilia...così un giorno potrò dire ai miei figli: "Lo vedi che cosa ti ho risparmiato???"................... P: Io invece non la voglio lasciare questa Sicilia......non la voglio lasciare...così...perché VOGLIO VINCERE!
Post n°322 pubblicato il 24 Luglio 2019 da cavallo140
Quante volte ci siamo chiesto perchè se' siamo nati bisogna morire e lasciare tutto ...... Se vi capita di leggere il Silmarillion di J. R. R. Tolkien vedrete che lì viene detto che Ainu, il creatore, aveva fatto agli uomini il dono più grande di tutti: la morte. Ma questo dono venne poi corrotto da Melkor (una specie di Satana) e gli uomini finirono con l'averne paura. Anche noi abbiamo paura della morte, ma perché? Un po' perché non siamo sicuri di cosa ci aspetta dopo e dobbiamo affidarci alla fede, l'ignoto ci porta sempre ad avere paura, ma anche quando partiamo per un viaggio non siamo sicurissimi di cosa ci aspetta dopo, eppure non abbiamo lo stesso tipo di paura. Infatti secondo me la nostra paura della morte nasce dalla consapevolezza di quanto essa sia importante e di come essa sia la misura della nostra vita. Abbiamo paura della morte perché ci rendiamo conto di non aver vissuto una vita vera, nel senso di non aver permesso al nostro potenziale di realizzarsi, ci siamo adagiati sulle consuetudini, sulle abitudini, ci siamo fatti fregare dalla paura di ciò che potevano pensare gli altri e abbiamo soffocato la bellezza del nostro essere, abbiamo messo in gabbia ciò che ci rendeva unici, magari anche vergognandocene per uniformarci a ciò che tutti volevano da noi. Ecco cosa ci spaventa della morte e ci spaventa tanto, il fatto che sia un sigillo, un sigillo che non possiamo più spezzare, su quella che è stata la nostra vita. Finché non moriamo abbiamo la speranza di poter fare domani quello che non abbiamo avuto il coraggio di fare oggi, ma quando la morte avrà sigillato la pergamena della nostra vita non ci sarà più alcuna speranza, ciò che abbiamo fatto abbiamo fatto. Ma se invece abbiamo vissuto bene, in armonia con noi stessi e con gli altri, allora la morte non ci farà alcuna paura perché sigillerà un qualcosa di cui saremo soddisfatti e allora anch'essa sarà un grande dono di Dio, come diceva San Francesco che ringraziava il Signore anche per sorella morte.
Post n°321 pubblicato il 06 Aprile 2019 da cavallo140
Essere o apparire? Questo è il problema! La nostra società, così perfetta ed "evoluta", è tuttora assillata da un grande dubbio, o meglio, da un grande ragionamento esistenziale: nel mondo di oggi è più importante essere o apparire? La risposta più logica ed umana, guidata da un istinto quasi inconscio, direte voi, è naturalmente essere. Purtroppo la risposta non è così ovvia, anzi, è molto discutibile. Accendiamo per esempio la televisione, la nostra cara amica che tutti i giorni, immancabilmente, ci tiene compagnia: da cosa siamo bombardati? Sfilate di alta moda dominate da modelle scheletriche, programmi televisivi dove non mancano mai vallette, veline, letterine ereditiere(e chi più ne ha più ne metta), anch'esse rigorosamente filiformi fasciate in abiti alquanto succinti. È questo il messaggio, e naturalmente il modello, che la società ci propone? Ebbene sì. Quante ragazze adolescenti, nel vano tentativo di corrispondere a quell'idea di perfezione, sono cadute o hanno rischiato di cadere nel baratro nero della bulimia o dell'anoressia? Tante, troppe. Questo vi sembra giusto? Dovremo essere un po' più profondi e renderci conto che aldilà delle luci colorate e dei riflettori, aldilà del palcoscenico e delle telecamere, c'è un mondo ben diverso, fatto di tante fragilità, inquietudini e dubbi, che rispecchiano in tutto e per tutto l'animo umano. Infatti non esiste purtroppo, o per fortuna,alcuna forma di perfezione, ma la vaga idea di bello e di perfetto ci porta molte volte (anche troppe), ad indossare una maschera, privandoci col tempo della nostra individualità. La televisione non ci mostra solo un mondo colorato e lucente, ma ci mette anche al corrente di tutto quello che giornalmente accade nel mondo: i disastri, le sofferenze, i costumi, le usanze presenti non solo nel nostro continente, ma anche nel resto del pianeta: è proprio qui che sta la sottile differenza tra apparenza e realtà, tra apparire ed essere. Quanti di voi si preoccupano più di apparire che di essere? Ormai, nell'era in cui ci troviamo, tutti o la maggior parte di noi ci curiamo maggiormente di possedere il cellulare all'ultima moda o il vestito firmato che ci fanno sentire bene con noi stessi e soddisfatti della nostra vanità, vanità che ci porta a mostrare agli altri solo il nostro aspetto esteriore. Se tutti ci preoccupassimo un po' di più di essere noi stessi o semplicemente di cercare di mostrare quella parte di noi che difficilmente emerge, la nostra sarebbe sicuramente una società più profonda e si eviterebbero tante superficialità inutili. Eppure farlo capire a tutti non è per niente facile. Il problema è che se non sei vestito adeguatamente, qualsiasi tipo di persona tu sia, tutti ti guardano male. Mentre se ti fai notare con oggetti/possedimenti/vestiti/ricchezza, nonostante tu possa essere una persona di cacca, tutti ti stimano. L'essere dura per sempre, l'apparenza svanisce. Ma c'è chi, essendo se stesso, non viene accettato.
Post n°320 pubblicato il 08 Marzo 2019 da cavallo140
8 marzo, la poesia "A tutte le donne" di Alda Merini per la Giornata Internazionale della donna Per l'8 marzo e per la Giornata internazionale della donna vi propongo una delle poesie più belle scritte da Alda Merini. Si intitola "A tutte le donne" ed è il racconto in versi della condizione femminile che la poetessa dei navigli scrisse sotto l'assedio di un mondo maschile ostile, sempre in bilico tra l'essere un "granello di colpa" e la madre di tutto. Nata con la primavera. Il prossimo 21 marzo Alda Merini avrebbe compiuto 88 anni. Una curiosità: il 21 marzo è anche il giorno in cui in tutto il mondo si celebra la Giornata della Poesia. Oggi invece che è l'8 marzo ed è la Giornata internazionale della donna, vogliamo ricordare la poetessa e scrittrice italiana, internata in manicomio, dove vi resterà per scoprire tutto l'orrore del mondo e la capacità di resilienza in se stessa, e dove cercherà la bellezza attraverso la poesia. Perché Alda, la poetessa dei navigli, con la sua ricerca della bellezza e con la sua resistenza a un mondo maschile ostile. In queste circostanze di assedio alla sua persona, alla sua femminilità, nasce la poesia "A tutte le donne", un inno vero e proprio alla donna, che nonostante i millenni resta ancora legata alla sua dimensione di "granello di colpa", a suggerire l'immagine di debolezza del mondo in cui è concentrato il tema del peccato da Eva in poi. La poesia di Alda Merini per l'8 marzo La donna/madre di tutte, come madre è la terra che Alda Merini ci racconta in questi splendidi versi, in cui "soltanto tu riesci ancora a piangere, poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli, poi ti volti e non sai ancora dire". Ma ecco, per l'8 marzo e la Giornata internazionale della donna, la poesia integrale di Alda Merini, intitolata "A tutte le donne": Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso sei un granello di colpa anche agli occhi di Dio malgrado le tue sante guerre per l'emancipazione. Spaccarono la tua bellezza e rimane uno scheletro d'amore che però grida ancora vendetta e soltanto tu riesci ancora a piangere, poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli, poi ti volti e non sai ancora dire e taci meravigliata e allora diventi grande come la terra e innalzi il tuo canto d'amore.
Post n°319 pubblicato il 09 Gennaio 2019 da cavallo140
«L'istruzione è la più valida difesa della libertà». Pensavo alla scuola e all'istruzione, a quei paesi dove studiare a tutt'ora è una chimera, e a quelli dove invece è un optional. A quei bambini che vorrebbero istruirsi e che farebbero carte false per poterlo fare, e a quelli invece che fanno carte false per non andarci. L'istruzione è un diritto che va di pari passo con la libertà, sono due cose inscindibili, se vi è l'ignoranza non vi può essere libertà. Studiare quindi è un sacrosanto diritto, e dovrebbe essere un diritto (gratuito)alla portata di tutti in qualsiasi parte del mondo. Purtroppo non è così, mi rammarico e mi dispiace che in paesi come il nostro, l'istruzione e di conseguenza la scuola, sia diventata un set cinematografico, dove giornalmente si consumano, drammi, violenze e soprusi, dove il sesso è diventata la materia prioritaria di studio, coinvolgendo insegnanti ed alunni, come Sodoma e Gomora. Dove alcuni maestri si ergono a giudici supremi, esecutori unici di condanne e supplizi, dove ogni ruolo è capovolto, dove l'insegnamento è una chimera, e dove ogni valore è sconvolto. Per fortuna non dappertutto è così, grazie al cielo vi sono molte scuole dove lo studio è prioritario, gli studenti sono studenti e i professori sono professori, ed è in posti come questi che si possono forgiare le persone di domani. Ma questo è una punta di un iceberg, ma questa è un'altra storia. La cosa veramente triste è che in molti paesi di quello che noi chiamiamo i "terzo mondo" (ma è davvero così?), poche persone ancora oggi debbano decidere sul destino dei molti, i quali avrebbero un piccolo sogno da realizzare...vivere. LA POLITICA... E solamente una mia opinione. Se la religione come diceva il Carl Marx è l'oppio dei poveri, allora di conseguenza la politica è la cocaina degli illusi. Cocaina perché è alla portata di tutti alla pari dell'oppio, e tutti ne possono usare ma soprattutto abusare. L'oppio annebbia, annichilisce, ottenebra, assopisce, tedia. La cocaina invece eccita, esalta, da senso di onnipotenza, e poi alla fine svuota e tedia. A ben vedere le religioni, e la politica sono due droghe, che danno assuefazione, e che a lungo andare portano alla morte. Bisogna non abusarne. Entrambe portano al fanatismo, all'integralismo, ma sia dell'una che dell'altra non se ne può fare a meno. Io non credo comunque che la politica e la religione siano la panacea per i mali del mondo, forse anzi l'opposto. Politica e religione un connubio inscindibile, simbiosi mistica, vitale. Politica è religione, come l'uomo e la donna, e come l'uomo e la donna, si odiano, e si amano, si scannano, si lasciano per poi tornare assieme. L'uno non può fare a meno dell'altro, l'uno è la ragione di vita dell'altro. Non potrei mai immaginare un mondo senza questi due elementi. Così come non potrei immaginare il mondo senza politica e religione. Ma il male in fin dei conti non è questo o quello, ma l'uso che se né fa. L'UOMO E DIO L'essere umano nella sua scalata verso l'immortalità, stà perdendo la sua vera identità. Più sale in alto più la sua arroganza cresce di conseguenza, e più essa cresce così pure aumenta la sua sete di potere, arrogandosi il diritto di fare, disfare, scrivere e riscrivere, non solo la storia ma pure la vita e la morte: così che nell'essere umano s'insinua allora il pericoloso tarlo dell'onnipotenza. In effetti, il buon Dio pur avendoci creati simili a lui, e cioè fiato dal suo stesso fiato, e se anche fatti di acqua e terra, (quindi deteriorabili a tutti gli effetti), aveva in mente per noi ben altro destino. Ma ora, se solo ci si guardasse allo specchio in profondità, e non solo per soffermarsi alla mera apparenza, cosa vedremmo? con chi ci potremmo paragonare ora? A chi assomiglieremmo mai? Sicuramente più ai principi di questo mondo vestiti d'illusione, attratti più dalle vicine effimere ricchezze, piuttosto, che a mendicanti affamati solo di giustizia. Ma se solo ci si ricordasse chi siamo, da dove veniamo, forse l'umiltà che si nasconde vergognosa in ognuno di noi finirebbe per uscire allo scoperto, per ricordarci chi siamo, da dove veniamo e dove forse siamo diretti. L'essere umano anche se intelligente, e capace di cose mirabolanti e sublimi, è pur sempre polvere, e come polvere destinata a disperdersi col vento nello sconfinato oceano che è l'oblio.
Post n°318 pubblicato il 02 Gennaio 2019 da cavallo140
È tornata la Befana a cavallo di una scopa: vola senza far rumore nella notte nera nera Sulle spalle ha tanti sacchi e li posa sui camini tira fuori sorridente i regali per i bambini Bambole e trenini giostre e orsacchiotti, dischi e grembiulini, dolci e biscottini, ma più bello ancora essa sa donare una grande gioia che non si può scordare.
Post n°317 pubblicato il 11 Novembre 2018 da cavallo140
Che cosa sei disposto a fare per amore? L'amore è una forza che smuove le montagne, che ci fa superare i nostri stessi limiti e diventare migliori. L'amore per le persone care, per la natura, per un ideale, per Dio. Che cos'è per te l'amore? Che cosa sei stato capace di compiere per amore? Io non ho bisogno di denaro. Ho bisogno di sentimenti, di parole, di parole scelte sapientemente, di fiori detti pensieri, di rose dette presenze, di sogni che abitino gli alberi, di canzoni che facciano danzare le statue, di stelle che mormorino all' orecchio degli amanti. Ho bisogno di poesia, questa magia che brucia la pesantezza delle parole, che risveglia le emozioni e dà colori nuovi. La mia poesia è alacre come il fuoco trascorre tra le mie dita come un rosario Non prego perché sono un poeta della sventura che tace, a volte, le doglie di un parto dentro le ore, sono il poeta che grida e che gioca con le sue grida, sono il poeta che canta e non trova parole, sono la paglia arida sopra cui batte il suono, sono la ninnanànna che fa piangere i figli, sono la vanagloria che si lascia cadere, il manto di metallo di una lunga preghiera del passato cordoglio che non vede la luce. Alda Merini, "Ho bisogno di sentimenti"
Post n°316 pubblicato il 22 Ottobre 2018 da cavallo140
Il giorno dei morti raccontato da Andrea Camilleri
Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c'era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari. Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d'occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d'arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c'erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio. Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto. Dopo un sonno agitato ci svegliavamo all'alba per andare alla cerca. Perché i morti avevano voglia di giocare con noi, di darci spasso, e perciò il cesto non lo rimettevano dove l'avevano trovato, ma andavano a nasconderlo accuratamente, bisognava cercarlo casa casa. Mai più riproverò il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrè una porta scoprivo il cesto stracolmo. I giocattoli erano trenini di latta, automobiline di legno, bambole di pezza, cubi di legno che formavano paesaggi. Avevo 8 anni quando nonno Giuseppe, lungamente supplicato nelle mie preghiere, mi portò dall'aldilà il mitico Meccano e per la felicità mi scoppiò qualche linea di febbre. I dolci erano quelli rituali, detti "dei morti": marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, "rami di meli" fatti di farina e miele, "mustazzola" di vino cotto e altre delizie come viscotti regina, tetù, carcagnette. Non mancava mai il "pupo di zucchero" che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza. A un certo momento della matinata, pettinati e col vestito in ordine, andavamo con la famiglia al camposanto a salutare e a ringraziare i morti. Per noi picciliddri era una festa, sciamavamo lungo i viottoli per incontrarci con gli amici, i compagni di scuola: «Che ti portarono quest'anno i morti?». Domanda che non facemmo a Tatuzzo Prestìa, che aveva la nostra età precisa, quel 2 novembre quando lo vedemmo ritto e composto davanti alla tomba di suo padre, scomparso l'anno prima, mentre reggeva il manubrio di uno sparluccicante triciclo. Insomma il 2 di novembre ricambiavamo la visita che i morti ci avevano fatto il giorno avanti: non era un rito, ma un'affettuosa consuetudine. Poi, nel 1943, con i soldati americani arrivò macari l'albero di Natale e lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spàsimo, i figli o i figli dei figli. Peccato. Avevamo perduto la possibilità di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e "stampato", come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si può indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E così diventiamo più poveri: Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte è meditazione sulla libertà, perché chi ha appreso a morire ha disimparato a servire.
Post n°315 pubblicato il 23 Agosto 2018 da cavallo140
L'UOMO E LA DONNA L'uomo è la più elevata delle creature. La donna è il più sublime degli ideali. Dio fece per l'uomo un trono, per la donna un altare. Il trono esalta, l'altare santifica. L'uomo è il cervello. La donna il cuore. Il cervello fabbrica luce, il cuore produce amore. La luce feconda, l'amore resuscita. L'uomo è forte per la ragione. La donna è invincibile per le lacrime. La ragione convince, le lacrime commuovono. L'uomo è capace di tutti gli eroismi. La donna di tutti i martìri. L'eroismo nobilita, il martirio sublima. L'uomo ha la supremazia. La donna la preferenza. La supremazia significa forza; la preferenza rappresenta il diritto. L'uomo è un genio. La donna un angelo. Il genio è incommensurabile; l'angelo indefinibile. L'aspirazione dell'uomo è la gloria suprema. L'aspirazione della donna è la virtù estrema. La gloria rende tutto grande; la virtù rende tutto divino. L'uomo è un codice. La donna un vangelo. Il codice corregge, il vangelo perfeziona. L'uomo pensa. La donna sogna. Pensare è avere il cranio di una larva; sognare è avere sulla fronte un'aureola. L'uomo è un oceano. La donna un lago. L'oceano ha la perla che adorna; il lago la poesia che abbaglia. L'uomo è l'aquila che vola. La donna è l'usignolo che canta. Volare è dominare lo spazio; cantare è conquistare l'Anima. L'uomo è un tempio. La donna il sacrario. Dinanzi al tempio ci scopriamo; davanti al sacrario ci inginocchiamo. Infine: l'uomo si trova dove termina la terra, la donna dove comincia il cielo. Victor Hugo
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il 03/10/2019 alle 21:52
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il 24/07/2019 alle 18:15