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Post n°331 pubblicato il 30 Maggio 2020 da cavallo140
 

Morire in solitudine

Le immagini delle città deserte, Milano, Bologna, Roma, Venezia "fanno paura", dicono, sono "spettrali", aggiungono. Sembra che questa sia piuttosto la proiezione della paura del vuoto che l'individuo patisce in questo momento è che fa pari con la paura di morire in solitudine. Le città, invece ora appaiono nella loro grande bellezza, quella che confonde, quella originaria, quella che proviene dalla loro storia, e che nel tempo è stata trasfigurata dall'inquinamento e da bisogni costruiti da un impalpabile dictat economico e finanziario che gestisce la contemporaneità.
Immagini trasmesse dalla tv e dai social ci fanno entrare nei reparti di terapia intensiva di tutte le città del mondo, prendiamo confidenza con termini mai sentiti prima. I "ventilatori", per la maggior parte di noi, erano quelli che rinfrancavano dall'afa, i "caschi" quelli del parrucchiere. Ma "triage" è il mio preferito, ricorda vagamente un elegante passo equestre nelle gare ippiche o un'armoniosa giravolta di ballo. La parola "terapia intensiva", peggio ancora "rianimazione" è entrata nel nostro lessico quotidiano.
"TOT contagiati, TOT in terapia intensiva, TOT morti". Stiamo assumendo l'attitudine di una calcolatrice, la nostra mente procede per somme e sottrazioni e sembra che la piètas sia stata sostituita, in un battibaleno, col calcolo matematico.
La "terapia intensiva" è un luogo di confine, nessuno vorrebbe varcare quella soglia, si può facilmente dire che rappresenta un incubo per tutti. I malati vengono isolati, li si può vedere solo attraverso un monitor e neppure il parente più stretto può fargli visita, tenergli la mano, portargli dei biscotti come si farebbe in tutti gli altri reparti, eppure adesso vengono aperte quelle porte, stiamo entrando, abbiamo visto poveretti inermi, intrappolati in "culle" trasparenti o con la testa imprigionata in caschi respiratori che sembrano astronauti sbronzi.
Quali vissuti profondi attivano queste immagini? Quale sarà l'effetto sconvolgente ma intangibile che provocano nella nostra psiche? Quali difese l'individuo metterà in gioco? Siamo sottoposti ad un voyeurismo macabro e forse eccitante, perché la paura eccita quando non immobilizza.
Il primo segnale di questo scombussolamento non è tanto la paura di morire, (quella è ancestrale), quanto quella di "morire da soli". Le chiamate che arrivano ai centri d'ascolto psicologico attivati dalle diverse comunità di settore, sono infatti di persone che hanno paura di morire "da sole". Questo dato deve far riflettere su ciò che È la "bellezza" e insieme la "forza" dell'individuo: la sua fragilità.
Finalmente si entra in contatto con la propria impotenza e, per davvero, adesso siamo tutti uguali, nudi, indifesi, impauriti, dal manager all'operaio, al clochard. Nelle dirette televisive le facce dei giornalisti, dei virologi, dei medici, dei politici, dei tecnici dicono molto di più delle loro parole. Hanno paura, sono confusi.
La nostra potenza è la consapevolezza della nostra impotenza. La nostra vitalità stà nella caducità (Freud. "Caducità",1915)

Si canta dai balconi
Un'occasione da non perdere dunque. Eppure la gente si riunisce in app appositamente scaricate sui cellulari per simulare party e aperitivi il cui risultato, il più delle volte, è patetico e l'eccitazione si sgonfia sotto il peso della consapevolezza dell'inappropriato. Si canta dai balconi, si sbandiera il tricolore, si accendono fiaccole, si scrivono striscioni, manifestazioni cautamente maniacali per stemperare il panico. Amari rimedi che piuttosto occupano lo spazio della riflessione.
Era più facile quando il pericolo era "l'uomo nero" comodo da individuare mentre scende dai barconi o annega al largo delle nostre coste, o nei respingimenti alle frontiere. Oggi il nemico è invisibile, ed è minuscolo e senza muscoli, non ha appartenenza politica, di razza o di religione.
Alla speranza di essere liberati dalla minaccia del virus e che si riprenda a vivere come prima subentra, in punta di piedi, il timore che tutto finisca e si riprenda a vivere come prima.
Alcuni sceglieranno di non tornare alla vita di prima, ma saranno pochi.
Intanto i cigni sono ritornati sui navigli, e il nostro cielo è più terso.

 

 

 
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