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attualità, politica, cultura

 

 
« IL CUORE DI CONFINDUSTRI...PERCHE' IL PAESE VA RIB... »

Un nido di vespe, con una regina imposta dal capo dei calabroni

Post n°1306 pubblicato il 04 Aprile 2016 da r.capodimonte2009
 

“Ha fatto più Marchionne per i lavoratori di certi sindacalisti”. Così Renzi ha ragguardato i giovani piddini, riuniti alla scuola di partito, dove imparano dai più grandi come si fotte il Paese; rispondendo così al grido di dolore della sua intima collaboratrice, Elena Maria Boschi, che si lamentava che “sono i poteri forti ad avercela con il PD.” Come se Grillo e Salvini e la Meloni facessero parte dei poteri forti, mentre il povero Marchionne fosse un semplice impiegato di concetto!

Alle affermazioni insulse del premier siamo tutti abituati, ma forse non tutti conoscono bene l’oggetto delle sue più affettuose attenzioni: cioè le grandi imprese italiane, rappresentate per lo più in quel “buco nero”, che si chiama Confindustria.

Renzi, appena giunto al potere non l’ha mandata a dire che era un suo alleato ineccepibile, tanto da regalarle tramite un altro “convitato di pietra”, l’ex-presidente di Lega Coop Poletti, il Jobs Act. Ai tempi della prima e seconda repubblica, si usava omaggiare la Fiat, allora mosca cocchiera di Confindustria, con la rottamazione-auto, con l’acquisto, in monopolio, delle auto ministeriali, e dei mezzi da trasporto dell’Esercito e delle Forse dell’Ordine: con l’ex-sindaco mai eletto dagli italiani, si è arrivati addirittura a riformare le leggi sul lavoro su input degli industriali, i quali, in tre anni incasseranno una quindicina di miliardi, per far finta di assumere a tempo indeterminato, rigettando poi gli assunti nelle tenaglia  dei “contratti a tutele crescenti”, cioè nel limbo del precariato!

Ma evidentemente gli appetiti di Squinzi & C. non sono ancora minimamente appagati: non contenti di essere loro, per lo più, gli autori del più deleterio olocausto economico della storia italiana, cioè la caduta verticale di un sistema bancario che aveva retto, perfino, l’ingresso nefasto nell’euro, con centinaia di miliardi di crediti insolventi, ottenuti con la truffa, la raccomandazione politica, i voti di scambio, la compra-vendita di banchieri collusi, e, perché, no la “disattenzione” degli enti preposti al controllo, Consob e Banca d’Italia, e la benevolenza dei ministri economici, Delrio, Guidi, Poletti e Padoan; la genia confindustriale si è schierata apertamente con il “renzismo” anche nella falcidia che il neo-regime vetero-liberista sta facendo delle classi sociali meno forti, a favore delle oligarchie e le caste che proprio questa rappresenta pienamente.

Diciamo di più: l’offensiva ha percorso varie tappe. Si è partiti dalla Legge Fornero, si è passati per la disintegrazione della media e piccola impresa, evirandola di ogni opportunità creditizia, a favore della grande industria, si è conquistato il diritto a cartolarizzare questi crediti immeritati e illegali, minacciando di creare milioni di disoccupati, e strangolando le banche, e quindi i risparmiatori; fino a creare meccanismi corruttivi infiltrati in ogni singolo ambito pubblico, dalle gare d’appalto fino alle concessioni petrolifere, con una sfrontatezza senza precedenti, basata su protezioni governative e mafiose (che spesso coincidono!), e sulla scandalosa latitanza delle autorità istituzionali.

Facciamo l’esempio dell’ultima operazione condotta in ambito confindustriale: quella relativa alla sordida vicenda del petrolio lucano: l’ennesima combine tra politica, Governo e industria, dopo quelle che sembravano macigni, e invece erano ciottoli: L’Expo, Roma Capitale, il Mose, i vari “terremoti” e le varie “inondazioni”, e le decine e decine di inchieste, comprese quelle bancarie, dal MPS alla Carigenova, da B.P.di Vicenza, a Veneto Banca. Unicredit, fino alle 4 “bancarelle” fallite sull’unghia!

A parte il sodalizio familistico o nepotistico che diventa ormai la regola da “repubblica delle banane”, e che lascia basiti i nostri alleati, che hanno perduto ormai, ogni speranza di poter contare sull’Italia a livello internazionale, se non utilizzandola come “bancomat” per acquisire a prezzi di realizzo il nostro patrimonio industriale e finanziario, il nocciolo della corruzione e dell’intrigo va ricercato proprio nei corridoi romani di Viale dell’Astronomia, in una sede che conta 205 dipendenti e che costa 40 milioni l’anno.

Perché ve lo diciamo, senza tema di essere smentiti? Perché qualcosa è accaduto questi giorni di sordido, che prima era passato magari per “politicamente corretto”: il fatto che Confindustria rappresentasse il nocciolo duro, intinto di etica capitalistica e correttezza istituzionale, da fornire un esempio al Paese, e che anzi lo reggesse dalle fondamenta, pronta a fare argine a qualsiasi crisi economica o politica.

Oggi di “corretto” non c’è restato altro che macerie: e lo abbiamo visto con l’elezione del nuovo Presidente, Vincenzo Boccia, un piccolo tipografo, una “testa di legno” al servizio della “loggia” che regge l’intera costruzione, e che è stato scelto proprio in base alla sua “continuità” ideologica con la politica (l’altro, Alberto Vacchi, che pure ha perduto per 9 voti, ed è la prima volta che accade, parlava, invece, di applicare al sindacato padronale, “discontinuità”!): Boccia vede una Confindustria “soggetto politico portatore d’interessi generali”, Vacchi la immagina come “organizzazione di servizio alle imprese”. Boccia afferma che la “sua” Confindustria sosterrà e appoggerà il “pragmatismo” del Governo Renzi, su rinnovamento e riforme; Vacchi riteneva, invece, necessario segnare una distanza netta dalla politica, di cui dà un giudizio complessivamente negativo. E i 198 grandi elettori hanno dato ragione a Boccia, proprio per motivazioni di “assoluta continuità” con la gestione Squinzi, che, mai prima, era stata così lealista nei confronti di un esecutivo! In realtà si è compiuto un oltraggio alla ragione, alla verità e alla supposta “democrazia”: l’elezione pur contrastata di Boccia ha evitato che il capo della calotta di potere, l’attuale presidente dell’Eni (sic!) Emma Marcegaglia, trasecolata da imprenditrice siderurgica a grande boiardo di Stato per meriti “renziani”, nonché “longa manus” e ispiratrice del quotidiano di casa, Il Sole 24 Ore (che, per una serie di magici assunti alchemici, è in grado di determinare l’orientamento critico pressocchè monopolistico verso l’economia italiana, quale strumento “ufficiale” della finanza bancaria, irreggimentandola e intimorendola o, nel nostro caso, disperdendone l’obiettività). Il conformismo del nuovo presidente permetterà al gruppo Mercegaglia, il peggiore in Italia, dal punto di vista dell’indebitamento, dopo il gruppo De Benedetti, di far passare sotto silenzio la stessa operazione che La Repubblica ha nascosto sulla Sorgenia: cioè il salvataggio bancario di una azienda “decotta”, a scapito degli stessi istituti che sono costretti a farlo, su input politico-governativo. Mercegaglia è a sua volta drammaticamente indebitato per oltre 2 miliardi, su un fatturato di 4, quindi ad un passo dal default (anche per la crisi dell’acciaio, ormai inflazionato dall’industria cinese, che produce a metà prezzo!), e deve assolutamente contare sull’ultima bombola d’ossigeno concessa da 12 banche (dopo opportuno intervento del segretario del PD!), per la rispettosa cifra di 500 milioni! Tenendo presente che così, il debito è sceso solo di un terzo, e la sopravvivenza dell’azienda resta in forse, ma le banche più di questo non possono fare, dopo l’intervento “mostruoso” su Sorgenia che le ha costrette ha prendersene carico a livello azionario, Emma Marcegaglia per ora si è salvata; e si può stare certi che il piccolo “tipografo” salernitano, di area De Luca, la coccolerà, facendo finta che quel “dannatissimo” conflitto d’interessi che le si è appiccicato addosso al momento in cui è diventata “elargitrice pubblica di energia”, non solo verso i suoi stabilimenti, ma anche verso quelli della signorina Federica Guidi (Ducati Energia), non esista. A tal punto che la signora resta in trepida attesa per i contributi pubblici a pioggia, che auspica di ricevere, nel caso, probabile, venga messa a capo dell’Ilva, strappandola finalmente dalle mani degli odiati Riva!

A questo punto, “rinnovato ad usum delphini”, è lecito domandarsi, questo “nido di calabroni” che è Confindustria a che gioco voglia giocare, per il futuro del Paese, o per il futuro di certe oligarchie.

Seguiteci nella seconda puntata. (ITALIADOC)

 
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