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Il Reddito di Cittadinanza è un dato di fatto, non un'opzione

Post n°1531 pubblicato il 06 Marzo 2017 da r.capodimonte2009
 

Il Reddito di Cittadinanza, ci perdonino i puristi, è diventato, con buona pace dei grillini, come la pelle di quei cosi. Tutti se lo tirano dalla propria parte, riempiendo l’aria di menzogne e stupidaggini, a chi la spara più grossa.

Per ordine di importanza, cominciamo dal più categorico e fantasioso sostenitore dell’uscita dell’Italia dall’Euro (che spera di essere infilato, da qualche cultore della Brexit, dentro la politica, dopo aver scagnarato con Grillo, che gli aveva preferito un altro scalmanato, il professor Becchi!): il professor Alberto Bagnai, che l’ha tagliato a fettine con la sua lingua biforcuta: “Il reddito minimo garantito –e già questo dimostra che non ha capito niente!-“ spiega, “è il modello adottato dalla Germania per prima, grazie ad un simpatico ministro del Lavoro, Peter Hartz, che era il responsabile delle relazioni industriali sindacali della Volkswagen, e che ha imposto all’Europa un modello di svalutazione del lavoro.”

In realtà, proprio perché già si aveva presente questo disgraziato modello tedesco neo-liberista, che l’Italia ha poi adottato con le leggi sul precariato, sui voucher, e infine col Jobs Act, seguendo quasi alla lettera i dettami dei suoi padroni del nuovo Reich (ma Hitler si guardò bene da istituire queste sozzerie!), che il “reddito di cittadinanza” ne prescinde, in tutto e per tutto. Evidentemente Bagnai non ha colto certi paletti che il progetto immette, dentro la sua realizzazione, e che differenziano, oltretutto, tra loro, le varie tipologie dei destinatari: è evidente che un indigente tout court, che ha superato l’età da lavoro (mettiamo i 60 anni), o che, da pensionato, recepisca il trattamento minimo, avrebbe diritto a tutto il bonus (750 €), o alla parte di integrazione col suo reddito minimo. Se poi costui o costei ricevesse un salario costante e garantito sotto questa soglia, la differenza con il reddito di cittadinanza la metterebbe lo Stato, rifacendosi, tuttavia, con una percentuale tutta da calcolare, nei confronti di quel datore di lavoro, incrementandogli il carico fiscale. Perché, sì, allora, a monte, dovrebbe esistere un reddito minimo garantito, che dovrebbe essere calcolato in un “costo orario” bilanciato per tutti (che, guarda caso potrebbe proprio essere concepito in 750 € mensili netti!). Ma andiamo avanti, e individuiamo un’altra scala di destinatari, diciamo dai 50 ai 60 anni: costoro appartengono alla fascia di disoccupazione che comprende cassintegrati, lavoratori in mobilità, esodati, ma anche gente messa in mezzo alla strada dalla disoccupazione, senza tutele sociali: avrebbero diritto al reddito di cittadinanza solo ed esclusivamente questi ultimi, i quali, tuttavia, non  dovrebbero mai comportarsi come quei lavoratori che, grazie agli ammortizzatori sociali, se ne stanno in panciolle con l’80% della retribuzione per anni e anni (ci sono i piloti che  hanno una cig di 11.000 € mensili!); ma, riscosso il reddito, stabilito massimamente in anni tre, dovrebbero indirizzarsi verso tre soluzioni lavorative, compatibili con la propria esperienza, che lo Stato gli sottoporrebbe nel tempo. In caso di rifiuto, il reddito verrebbe annullato. Infine c’è la fascia di lavoratori più importante, quella che, drammaticamente, è coperta dal 40% dei disoccupati, che va dai 19 ai 49 anni: allora il contributo spetterebbe loro come sopra, ma sarebbe obbligatoriamente accompagnato dalla frequenza obbligatoria di corsi di perfezionamento e di avviamento al lavoro integrativi dello stesso reddito di cittadinanza, e senza la cui partecipazione, questo diventa inapplicabile: al termine di questi corsi, della durata massima di tre anni, il lavoratore sarebbe reinserito nel lavoro, ovviamente, su tre scelte non ricusabili.

Nessun’altro avrebbe diritto a questa misura, che, quindi è applicabile, ma non garantita, se il soggetto non obbedisce alle condizioni previste. L’unica eccezione è fatta, ripetiamo, per gli indigenti (in Italia si calcolano in circa 4 milioni).

Ovviamente la riforma è legata a doppio mandato con la riforma totale degli uffici del lavoro e della massima occupazione, che attualmente non funzionato, ma sono “cimiteri degli elefanti” di migliaia di sindacalisti e faccendieri, che passano le loro giornate a prendere per i fondelli i disoccupati. La riforma dovrebbe passare con l’abolizione delle assunzioni “per chiamata” (e spesso “per raccomandazione), che dovrebbero confluire, assieme a quelle per diritto, in una “BANCA DATI DEL LAVORO”, universale, a diposizioni della ricerca, domanda e offerta, del posto di lavoro. Si eliminerebbe così la caotica situazione di milioni di giovani e meno giovani che affollano gli uffici del lavoro, mentre a livello di trattative private (e oscure), solo una minima parte di loro viene prescelta, e il più delle volte ricattata dall’impresa privata.

Come impatterebbe questa riforma con la riforma degli ammortizzatori sociali? Innanzi tutto il reddito di cittadinanza sarebbe alternativo ad essi: inoltre, con il tempo, le modalità che prevedono la percentualizzazione degli stipendi (lordi o netti), e quindi una terrificante disparità, a carico dello Stato, tra chi guadagna  1.000 o 10.000 €, dovrebbe portare, come negli altri Paesi, a due tariffe, minima e massima. La Cig, in fatti, è diventata l’arma dell’impresa che vuole licenziare o delocalizzare, e del sindacato che vuole fare bella figura.

Due facce nefaste della stessa medaglia.

Le conseguenze di questa riforma, che ormai nessuno sostiene più, troppo costosa (viste le catastrofi finanziarie delle riforme renziane, come gli 80 €!), sarebbero innanzi tutto: quella di aumentare la domanda interna (visto che questo denaro che lo Stato emetterebbe a fondo perduto, ritornerebbe indietro in termini di Pil!); quella di incrementare e organizzare l’offerta di lavoro, facendola uscire dall’invasività degli accordi privati; quella di togliere dall’indigenza milioni di poveretti, costretti a vivere solo sul volontariato delle Onlus, ma anche sulla speculazioni di certe associazioni e cooperative cattoliche o meno, che basano tutto sul concreto aiuto di contributi statali a pioggia! (R.S.)

 
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