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Metafisica della Terra della Sera

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La dimostrazione matematica della stupidità

Post n°162 pubblicato il 13 Settembre 2005 da john.keating

La cosa più noiosa della metafisica è naturalmente la sua ovvietà. Non potrebbe essere altrimenti, essendo la metafisica nient’altro che l’impensato del pensiero corrente.

“La scienza non pensa”, secondo la nota locuzione; locuzione forse severa, ma è ben certo che la scienza, se può, se ne sta lontana dalla filosofia.

Certo, quando si tratta di decidere se staccare la spina al malato terminale, o del concetto stesso di “accanimento terapeutico”, si mettono di fronte scienza e filosofia: e il buon scienziato dinanzi a questo, tace, e ascolta.
La cattiva scienza invece, pretende di trovare la dimostrazione matematica della felicità, o di individuare il gene del tradimento sessuale. Nessuno scienziato serio prende per buono un solo rigo degli scritti volti a questo scopo.

Ma poi, siccome il libro è un prodotto industriale, e vendere è un valore, c’è sempre chi scrive per dimostrare che la scienza ha una risposta per tutto, può decidere di tutto e dimostrare di tutto. E se questi libri vengono scritti, è perché c’è chi li compera, quantunque siano libretti che si trovano nelle librerie e nelle bancarelle, affiancati a titoli che parlano della virtù curativa delle pietre, della storia segreta del Terzo Reich e di spazzatura new age assortita. Letteratura per incolti.

Chi acquista e legge libri siffatti è normalmente un lettore poco acculturato, ma che soffre di un qualche suo complesso di inferiorità.

Ad esempio, un tecnico – poniamo, un odontoiatra, un ingegnere – che terminate le sue 8 o 10 (ma anche 12) ore in ufficio a curare un progetto – tutti uguali, tutti specializzati, tutti i santi giorni di tutti i santi anni – torna a casa la sera, e in preda a qualche crisi di identità, o semplicemente sentendosi bisognoso di essere all’altezza dei vari “intellettuali” con cui suo malgrado ha a che fare (amici, fidanzate, conoscenti), cerca una giustificazione del suo fare all’altezza.
Che gli volete dare in mano? Gli vorrete mica parlare del dibattito tra analitici e continentali? Gli metterete mica in mano Heidegger o Jaspers, che oltre ad essere molto ostici, richiedendo dedizione, studi specifici e approfonditi, quando arrivasse a capirli si sentirebbe dire che la sua conoscenza è molto parziale, fonte di infelicità per il genere umano, e altre cose che gli distruggono quelle poche certezze che coltiva e difende pervicacemente (e comprensibilmente, certo)?

Meglio, molto meglio, un libercolo che spieghi come egli non capisce tutto ciò che non capisce, perché non c’è niente da capire, che 4+4 fa sempre 8, e questo è tutto quel che c’è da sapere.

Naturalmente, il libercolo gli dovrà dare un senso di appagamento intellettuale, deve insomma far vedere che è di filosofia che comunque si parla. E allora via giù a citare qualche nome. Ovviamente, mica si citano Rorty, o Habermas, o Luhman o Apel: chi cazzo sono, mica si vendono, stanno mica nella Hit Parade. Si citano i Grandi, cazzo – Platone, Aristotele, Kant, Hegel – roba di grido, quei nomi che il nostro ingegnere ha sentito nei lontani anni scolastici, e che insomma sono il Greatest Hits della Filosofia. Platone sul podio e Kant nei dischi caldi.

Siccome lo stare a spiegarli non serve – è palloso e difficile capirli, anche se paiono essere così popolari – è sufficiente nominarli, ammiccando all’ingegnere col tono di “noi sappiamo che dicono questi, no?”, e l’ingegnere è contento, perché così si sente gratificato e riconosciuto dal suo Autore come persona al suo livello. Col che, si capisce che dietro la finta umiltà (ma il complesso di inferiorità è autentico) e il suo atteggiamento da Bertoldo, l’ingegnere è di una superbia sconfinata, che non riconosce il valore delle conoscenze e del pensare altrui. Lui è uno che domina la materia, la piega ai suoi scopi e ai suoi voleri; il delirio di onnipotenza si annida in ogni piega del suo pensiero. Per lui, il pensiero ha un solo fine: il suo. Quello altrui, è niente. Lui è uno che non vuole vincere: vuole stravincere.

Il problema è che all’ingegnere, Platone e soci non servono una beata minchia, e allora come la mettiamo col fatto che lui non li usa se sono così importanti? Il senso della sua inadeguatezza sta tutto lì. Ma basta dichiarare – DICHIARARE, che dimostrare è tutta un’altra faccenda – che i filosofi raccontano un sacco di fregnacce e cose senza senso.

Che poi è quel che l’ingegnere vuol sentirsi dire, perché è quel che pensa. Mica si comperava il libro altrimenti. Che ci vuole? 80 pagine, un po' di banalità, un paio di citazioni d'effetto della gente più disparata (l'Autore ha un'ampia cultura) e 25 secoli di filosofia sono demoliti. Alè, ecco fatto. L’ingegnere ha una cultura molto ristretta – attenzione, ristretta nel senso di molto selettiva e iperspecializzata, poi mica sta a guardare il capello fuori di questo – anche se in effetti è tipico degli ignoranti disprezzare ciò che non capiscono. “Se non capisco, io che sono ingegnere, vuol dire che non c’è niente da capire”. Ovvio.

Ma vuoi mettere poter dire invece “l’ho letto in un libro di filosofia”? Che detto così è come “l’hanno detto alla tv”. E l’ingegnere, naturalmente, non capisce il senso della differenza, perché, abituato a manuali e istruzioni per l’uso, tutto ciò che è libro ma non manuale, è Cultura. Roba fine, roba colta, insomma.

Che poi la Filosofia sia tutta un’altra cosa, non c’è neanche bisogno di dirlo. Una domanda più interessante sarebbe ad esempio sapere che bisogno abbia la scienza, che già trionfa in ogni campo, di piantare la propria bandiera nel campo filosofico. La risposta è naturalmente “nessuno”. Per la scienza seria, la filosofia è solo fonte di guai.

La Filosofia, inoltre, non produce più “sistemi” da un secolo e mezzo, da quando Nietzsche ne ha fatto piazza pulita per intenderci, ed è una cosa che qualunque studente di liceo appena passabile sa, anche se per l'ingegnere non è rilevante. È Filosofia, e tanto basta. 
Ma la cosa davvero interessante è che i grandi sistemi filosofici dell’epoca moderna – Cartesio, Kant, Hegel, per intenderci – sono quelli che hanno permesso (Cartesio), teorizzato (Kant) e reso definitiva (Hegel) l’equazione conoscenza scientifica=conoscenza certa e reale. Per cui tentar di demolirli in nome della scienza, è il più grosso autogol che il pensiero scientifico possa pensare di fare.
E che si guarda bene dal fare, in effetti. Il pensiero scientifico serio, intendo. Ché l’idea di fondare una “filosofia scientifica” è semplicemente ridicola. È né più né meno che una patacca. E chi spaccia queste idee produce solo ciarpame filosofico.

La pretesa di fondare una filosofia su basi matematiche non è degnata neanche più di risposta a cominciare dai matematici stessi. Un po’ come un cantante scarso, che la prima volta fa ridere, la seconda sorridere, e la terza rompe le balle. Sono gli stessi  matematici che ci spiegano che la decidibilità di una affermazione non può in alcun modo esser riposta in alcun sistema logico e matematico; ciascuno dei quali, grazie ai teoremi della Incompletezza di Gödel e a quello della Indeterminazione di Heisenberg, hanno i loro problemi a giustificare se stessi. Figuriamoci se la matematica sta a baloccarsi con Aristotele o San Tommaso.
In effetti, se così fosse, non esisterebbe una cosa chiamata poesia, per esempio. Ma qui siamo già troppo oltre per il nostro ingegnere. È un tipo pratico, lui.

Se consideriamo che ogni scienza SCEGLIE il modello matematico più adatto alle sue teorizzazioni, quando non arriva a costruirsene uno, si capisce che stare a blaterare di matematica come modo di conoscenza esatto, perfetto, indiscutibile e inequivocabile è solo tempo perso.

Del resto, pretendere di dimostrare scientificamente il valore del pensiero scientifico, e specularmente, di dimostrare matematicamente l’assurdità degli enunciati filosofici, è un po’ come stabilire che il sole sorge ad est perché il Giappone ha il Sol Levante nella bandiera.
O più chiaramente, come chiedere all’oste se il vino è buono.

E qui, l'ignoranza non c'è scienza che la giustifichi, e del pari, la stupidità non ha bisogno di alcuna dimostrazione matematica.

 
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