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« MarinaGorgo »

il largo profondo

Post n°107 pubblicato il 25 Novembre 2007 da ventovela
Foto di ventovela

sono passati mesi e fin'ora sono stata incapace di scrivere, perché per farlo bisogna avere il controllo su ciò che si vuole dire, comprendere un'emozione a sufficienza per poterla descrivere netta e reale. e so che quel momento non è ancora arrivato, e che quello che scrivo qui non è che un abbozzo confuso, un minuscolo assaggio di quello che sento.

la rivedo seduta sulla sua sedia, appollaiata quasi, coi piedi appoggiati al piolo. la rivedo preparare il thé nel pomeriggio, versare olio sul pane abbrustolito, la rivedo seduta sul suo angolo del divano, con le gambe dritte come un bambino, perché era tanto piccola.
lo ricordo perfettamente: uno di quei pomeriggi stanchi, di domenica, a guardare un film sul divano. io appoggiai la testa sulle sue gambe e lei mi accarezzò i capelli a lungo, ed io pensai che avrei ricordato per sempre la dolcezza delle sue mani e il suo odore casalingo, tutto racchiuso in quel momento solo, pieno, reale.

mangiava poco e sempre le stesse cose. il thé. il pane abbrustolito. un po' di brodo. del pesce. la frutta. i biscotti con le mandorle. il miele.
quando ero piccola faceva la lana e cuciva vestiti. poi ha smesso e si è fermata a guardare i telequiz la sera. allora io mi arrabbiavo, che la sera era fatta per le chiacchiere e i racconti. ma lei quello che c'era da raccontare lo aveva raccontato tutto. e i giorni erano uguali, uno appresso all'altro, e lei guardava sempre gli stessi film, e si meravigliava sempre negli stessi punti, e si faceva sempre le stesse domande. perché non guardi un film nuovo, le chiedevamo noi, perché come faccio a vederlo se non so cosa succede, se non lo conosco, vah, diceva lei.

poi però la partenza è sempre inaspettata, anche se lo sai da mesi, anche se a 83 anni le guarigioni non sono neppure contemplate nelle probabilità reali di quello che poteva offrirle il suo corpo minuto e asciugato.

lei non capisce ormai, è confusa, lo dicevamo noi che la guardavamo dal di qua delle sue pupille perse.
invece, al ritorno dell'ospedale, lei aveva cominciato a rifiutarsi di mangiare. chissà se capiva tutto, se sapeva che tornare a casa senza miglioramenti voleva dire resa, e chissà se si addolorava perché passavamo tutti notti insonni vicino a lei. quando ci guardava aveva lo sguardo ferito di un animale. tutto il corpo era dolorante. le facevano male anche le carezze.
sarai sempre la mia gioia, questo lo ricordo, mi disse poco prima di smettere di parlare, ancora all'ospedale. e 'ci rivedremo ancora', mentre sorrideva sempre più invisibile dentro un enorme letto bianco.

ma nemmeno alla sua partenza esiste cura. e non esiste rimedio. né consolazione.

sta fermo nelle foto, un po' del suo sorriso. immobile, una sottile patina di colore sulla carta. e cento volte il pensiero che se torno là, alla sua casa, lei ci sarà ancora a preparare il thé, a sistemare biscotti nei piatti, a leggere seduta sul suo angolo di divano, piccola come una bambina.

 
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