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La Repubblica della terza età

Post n°34 pubblicato il 19 Maggio 2006 da dienanni
Foto di dienanni

In Italia, a 65 anni si va in pensione. Ma non in politica. Quando la quasi totalità delle carriere lavorative si esaurisce, quella politica raggiunge l’apice: se ne va un presidente del Consiglio di quasi 70 anni e ne subentra uno di 67. Carlo Azeglio Ciampi termina il suo mandato di Presidente della Repubblica a 86 anni e Giorgio Napolitano inizia il proprio a 81 anni.
Meglio non soffermarsi sul fatto che una metà del Senato della Repubblica ha tentato di instaurare, in ruolo delicato e logorante come quello di presidente, un senatore di 87 anni.

Giovani alla meta

Questa peculiarità è ancora più evidente se ci si confronta con il resto d’Europa.
Tra i presidenti del Consiglio, in Francia, Villepin fu nominato nel 2005 a 51 anni; anche Angela Merkel (Germania) ha 51 anni. Persson (Svezia), Socrates (Portogallo), Karamanlis (Grecia), e Vanhanen (Finlandia) furono eletti a 47 anni. Balkenende (Olanda) e Verhofstadt (Belgio) entrarono in carica a 46 anni. Stoltenberg (Norvegia) fu eletto a 45 anni e Zapatero (Spagna) a 44. In Inghilterra, Blair iniziò il suo lungo mandato nel 1997, a 43 anni di età. Alla Repubblica Ceca spetta il primato del primo ministro più giovane:nelle penultime elezioni, tenutesi nel 2004, Stanislav Gross fu eletto a 35 anni.
La differenza di età tra il nostro primo ministro e quello "mediano" europeo è scioccante: venti anni, quasi una generazione. Da una rapida occhiata agli archivi appare un altro dato piuttosto sconcertante. In Italia, l’ultimo presidente del Consiglio di 47 anni, a parte la fugace apparizione di Giovanni Goria, fu Aldo Moro nel 1963.
Il gap anagrafico con il resto d’Europa è simile per il presidente della Repubblica. Silva, presidente del Portogallo fu eletto a 66 anni; Chirac (Francia) assunse l’incarico nel 1995 a 63 anni, e Kohler (Germania) fu nominato nel 2004 a 61 anni; Klaus, presidente della Repubblica Ceca iniziò il suo mandato a 62 anni; Tarja Halonen, finlandese, fu eletta nel 2000, all’età di 57 anni. E così via.

La politica come la bocciofila

È opportuno chiedersi quali siano le radici storiche di questo fenomeno, ma non è questa la sede per un’analisi approfondita, che lasciamo ai politologi. Ci limitiamo a due semplici osservazioni.
Primo, nell’ultima campagna elettorale, si sono confrontati gli stessi candidati di dieci anni fa, un’eccezione assoluta nel panorama politico europeo. Secondo, negli anni di Tangentopoli, ci fu un profondo ricambio della classe politica. Nuovi protagonisti, come lo stesso Silvio Berlusconi da una parte, e Antonio Di Pietro dall’altra, emersero sul palcoscenico politico. Però, al pari del ricambio, non sembra esserci stato uno svecchiamento della classe dirigente.
È importante, invece, soffermarsi sulle possibili implicazioni del primato della terza età nella politica italiana. La prima, e più ovvia, questione è quella della "rappresentanza".
Per capirci, in Italia meno di un quinto della popolazione ha più di 65 anni. Si parla tanto di "quote rosa" e dell’importanza di avere donne che ricoprano alcuni posti chiave della politica. Ma la "questione anagrafica" è sistematicamente ignorata. Se prendiamo i cinque Ministeri chiave, Interni, Esteri, Economia, Giustizia e Difesa, l'eta' media e' 63 anni. Una squadra di sessantenni al vertice della classe politica di certo non promuove il coinvolgimento dei giovani nella vita politica attiva. Semmai, li allontana ulteriormente, rischiando di far apparire la carriera politica come un’attività in mano a un’altra generazione. Un po’ come le bocce.
Poi c’è la questione delle competenze. Una visione ottimistica può far concludere che i politici italiani abbiano più "esperienza" dei loro colleghi europei, quindi commettano meno errori. È possibile. Ma è anche possibile che la nostra classe dirigente abbia conoscenze più datate, e perciò sia meno adatta a "gestire" e interpretare i rapidi processi di cambiamento della società contemporanea.
La politica è un’attività produttiva. E purtroppo, il mondo politico italiano è lo specchio fedele del mondo del lavoro. In Italia, la mobilità sociale è bassissima, e il merito è premiato troppo poco. La carriera professionale si sviluppa soprattutto per anzianità, aspettando pazientemente il proprio turno per la promozione, e la politica non sembra essere un’eccezione.
Sarebbe ingiusto, però, dipingere i giovani solo come "vittime del sistema". Come potrebbe, chi sceglie di vivere a casa di mamma e papà sino a 35 anni, diventare presidente del Consiglio a 45?

A questo articolo, pubblicato su la voce a firma di Gianluca Violante, segue un interessante risposta da parte di un lettore che ritengo utile pubblicare a chiosa del post:

Pienamente d'accordo col resto, vorrei commentare giusto l'ultimo frase: "Come potrebbe, chi sceglie di vivere a casa di mamma e papà sino a 35 anni, diventare presidente del Consiglio a 45?".
Magari i giovani italiani potessero scegliere di rimanere a casa fino a 35 anni, ma finchè prendono quando va bene 1000¤ al mese di stipendio, non sapendo se il mese successivo li riprenderanno, tra cos'altro potrebbero scegliere?
Stia tranquillo, signor Violante, che vorremmo fortissimamente andarcene via da casa, ma non lo possiamo fare, a meno che non accettiamo:
a) di non mangiare l'ultima settimana del mese
b) di correre il serio rischio di tornare a casa con la coda tra le gambe appena ci sparisce il lavoro da sotto il sedere.
E riguardo al fatto che anche le precedenti generazioni si sono fatte "un mazzo così" quando avevano la nostra età, noi chiediamo solo la possibilità di potercelo fare anche noi.

 
 
 
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Qui gli aggiornamenti dei post passati:
Pd, tre milioni al voto - 14.10.2007 ore 22.46
Verso la Festa del Cinema - 27.09.2007 ore 15.33
Grimmione, buona la prima - 21.09.2007 ore 15.27

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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