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Post N° 8

Post n°8 pubblicato il 10 Novembre 2005 da ladeadeiventi

Mamma, non c’è posto per te

 

 

Al colloquio di selezione le donne che hanno avuto dei figli vengono valutate meno competenti e poco puntali e solo una su due viene proposta per l’assunzione. E spesso gli viene proposto un salario di entrata inferiore alle altre donne. Positivo invece l’impatto della paternità per gli uomini.

 

 

Si moltiplicano gli strumenti per agevolare il tempo del lavoro con quello della famiglia così come i progetti per fare rientrare le madri in azienda, ma qualcosa sembra non andare per il verso giusto. Sì perché avere dei figli sembra essere ancora un piccolo peccato da espiare. Soprattutto se si tratta di superare un colloquio di lavoro. Soprattutto se si è donne. E' vero infatti che le madri continuano a venire penalizzate, anche nel momento in cui i selezionatori devono decidere se sono adatte o meno per un posto di lavoro. Una penalizzazione non spiegabile con alcun altro parametro se non quello di aver dato alla luce un bimbo.

Due ricercatrici della Cornell University hanno deciso di fare un esperimento per capire se le madri ricevevano meno offerte di lavoro perché non erano capaci o solo perché erano madri e se guadagnavano meno perché lavorano meno e dedicano più tempo (emotivo e pratico) ai figli o se tutto è dovuto solo al fatto che hanno avuto la fertile idea di fare al mondo una nuova vita. Insomma si sono messe in testa di scoprire se è nato prima l’uovo o la gallina.

Per vedere quanto la maternità incide sulle opportunità di lavoro, hanno deciso di realizzare un test di laboratorio le cui cavie erano nient’altro che selezionatori di professione ignari del test a cui erano sottoposti. A ciascuno di loro è stato chiesto, dietro compenso, di valutare dei candidati per una posizione medio alta nell’area marketing di un’azienda di comunicazione.

Ebbene le madri sono state classificate da tutti i selezionatori come meno competenti, meno impegnate, meno idonee per eventuali promozioni e poco adatte a ricoprire ruoli di responsabilità. Questo pure se le candidature erano concretamente di pari grado.

Al contrario, per i selezionatori, gli uomini che hanno dei figli hanno qualità tali da farli preferire ai non-padri. Insomma il fatto di avere figli incide sul processo di selezione in modo completamente diverso al seconda se si tratta di donne o di uomini.

Nel dettaglio le candidate madri sarebbero meno competenti di un 10% rispetto alle candidate non madri, si attende da loro un impegno inferiore del 15% rispetto a quello delle candidate non madri. In termini di stipendio gli verrebbe offerta una retribuzione di circa 9 mila euro annui lordi inferiore , ovvero il 7,4%, di quanto proposto alle loro colleghe non madri. E soprattutto solo una candidata-madre su due viene proposta per l’assunzione mentre per le donne non madri la percentuale arriva all’87 per cento.

Ma quali sono le ragioni? Le due ricercatrici stanno bene attente a non dire che la madri sono discriminate ma sono convinte che nella mente dei selezionatori avviene, al momento di decidere se assumere o meno una persona, il confronto tra due stereotipi: il “lavoratore ideale” da un lato e la “madre lavoratrice” dall’altra.

Secondo le autrici, si avrebbe a che fare con le “performance attese” dove la produttività si ricollega alle dimensioni della capacità (o abilità) e dello sforzo. E quello della maternità, secondo questi parametri, è uno status svalutato negli ambienti di lavoro. Come se fosse un peccato da espiare o una macchia da celare. Nella mente di molti esse sarebbero meno intenzionate a mettere tutte le energie in compiti professionali perchè quello di madre sarebbe già un compito impegnativo tanto da divenire incomantibile con quello di brava professionista.

Il lavoratore ideale sarebbe quel lavoratore libero da qualsiasi altra incombenza, preoccupazione, interesse. Ovvero, colui che mostra il maggiore sforzo nel lavoro facendo capire che sacrifica tutto il resto per quell’impiego. Il lavoratore ideale è un uomo o una donna bidimensionale e il tempo che dedica al lavoro (al di là della sua produttività) è la misura unica di questa devozione. Lavorare fino a tardi ogni giorno, lavorare ogni weekend. Peccato che tale connessione implicita, concludono le ricercatrici, non è necessariamente vera. In particolar modo nei nuovi contesti organizzativi.

 

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Data di creazione: 12/10/2005
 

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