Creato da quotidiana_mente il 17/11/2005

Quotidianamente...

Vita di ufficio... ma quella è un'altra storia...

 

 

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Post n°496 pubblicato il 19 Marzo 2009 da quotidiana_mente
 






Sono arrivata ad una conclusione. Sono arrivata a pensare che tutto sia casuale, che non c’è un disegno prestabilito e ancora meno regole sicure.

Non mi riferisco ai grandi temi legati alla vita, al destino o cose così. Banalmente mi riferisco alla pubblica amministrazione. La quale è la mia croce e ogni tanto la mia delizia. Più spesso croce, va precisato.

Non voglio scrivere di impiegati, fannulloni o meno. Non voglio entrare in merito. Preferisco rimanere al margine, ma anche da qui, da questo margine, mi rendo conto che è tutto casuale.

Ho passato due settimane lavorative (di fatto 10 giorni!) a chiamare un numero verde per ottenere una password che, sicuramente ho smarrito, oppure che mi è stata assegnata in automatico e di cui non ho tracce. Sul sito era riportato in evidenza il numero verde del call center ed io fiduciosa ho iniziato a telefonare. Una voce registrata sgranava le varie opzioni del menu. Individuata l’opzione, rimango in attesa e questo per quindici minuti, al termine, la voce annunciava che tutti gli operatori erano impegnati e pregava di richiamare. Il secondo tentativo è andato esattamente come il primo, ma la mia reazione è stata diversa: ho iniziato ad imprecare! E così il giorno successivo e quello dopo per dieci giorni. Al settimo giorno, ho anche mandato una mail con tutti i dati e la richiesta di una nuova password.

Quando i dieci giorni stavano per scadere, ho corso ai ripari: sono tornata sul sito e ho iniziato a leggere tutte le faq possibili. Era riportato un numero di fax il quale era destinato proprio al recupero delle password. Ho subito mandato il fax. Di cui aspetto ancora la risposta. Così come sono ancora in attesa di una risposta alla mail.

Oggi, sono tornata sul sito, ho preso l’indirizzo fisico, non del sito, quello ormai lo so a memoria, decisa a recarmi di persona presso i loro uffici e provvedere al pagamento del contributo (per partecipare a una gara) e, già che c’ero, fargli partecipe del mio pensiero… poco profondo ma molto esaustivo e forse anche un tantino colorato. Ma prima di varcare il Rubicone, ho deciso di riprovare. Così, un po’ per noia, un po’ sfida, ho richiamato il call center. Ho riascoltato il nastro con il menu, ho digitato le opzioni di mio gradimento e… e… miracolo! Subito dopo mi ha risposto un essere umano, il quale mi ha attribuito in tempo reale una password provvisoria. Sono rimasta senza parole. Ero così tramortita da tanta efficienza che non ho avuto la reazione di chiedere spiegazioni. A testa bassa, sono ritornata sul sito, ho constato che la password provvisoria era perfettamente funzionante e ho provveduto al pagamento. Ancora non mi sono ripresa!

A pensarci bene, oggi è stata la prima volta che ho chiamato di pomeriggio. Sarà casuale?

Le casualità della pubblica amministrazione non si fermano qui.

Per un paio di mesi, ho esultato perché finalmente, sotto casa, la strada era regolarmente pulita, vedevo ogni mattina gli operatori armati di scope spazzarla. Ero così felice, che allegramente li salutavo. L’AMA faceva il suo lavoro con totale dedizione: niente più cassonetti debordanti di vetro o di carta, ma tutto perfettamente in ordine. Ero felice come una Pasqua. Poi. Poi? Poi, niente. Ormai da un paio di settimane, il cassonetto del vetro è svuotato a casaccio, solitamente quando è sommerso di buste; il cassonetto della carta subisce lo stesso destino. La strada è tornata esattamente come prima: è pulita quando capita.

Stessa sorte subisce la via dove lavoro, e quella che mi porta fino all’ufficio.

Lo so, dovrei tornare a reclamare, ad imprecare, a sollecitare. Ma anche le rompiballe hanno un limite. Il mio, per oggi, si accontenta del miracolo avvenuto con l’ufficio preposto alla riscossione del contributo. Domani è un altro giorno e magari tornerò a baccagliare.







 
 
 

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Post n°495 pubblicato il 11 Marzo 2009 da quotidiana_mente
 






- “Indovina chi ho incontrato questo pomeriggio a G.?”

Come faccio a sapere chi ha incontrato mio padre a G.? Sarà l’ennesimo cugino, ormai. Come faccio a saperlo?

La voce di mio padre, però, è diversa dal solito: più allegra. Riesco persino a vedere il suo sorriso.

- “Indovini o no?”

- “Papà passo. Chi hai incontrato a G.?”

In sottofondo sentivo mia madre bisbigliare parole incomprensibili. Era di sicuro arrabbiata.

Mio padre inizia a parlare della pioggia che non c’è e del caldo che è già arrivato. E’ il suo modo di controllare la mia concentrazione; vuole capire se lo sto ascoltando.

- “Papà, vieni al sodo! Chi hai incontrato? Perché mamma è così arrabbiata?”

- “Lo sai che tua madre si arrabbia sempre, sta invecchiando male, povero me!”

Non sopporto mio padre quando si comporta così, perché lo fa di proposito, vuole che io lo supplichi, ma decido di non cedere. Inizio, a mia volta, a parlare del tempo che fa a Roma, della primavera che si avvicina, insomma di futilità. Ed è lui a cedere e inizia a raccontare. I borbottii di mia madre si fanno sempre più intensi e più percettibili. E’ proprio arrabbiata, non c’è dubbio.

Quel pomeriggio, mio padre ha incontrato Cicciolina, la quale era a G. per l’inaugurazione di un festival porno, lui l’ha vista, si è avvicinato e si sono baciati. Conoscendo mio padre, immagino che sia stato un bacio più che casto, sulla guancia, forse sulla fronte ma niente di più. Figuriamoci. Mentre raccontava l’accaduto sembrava un adolescente con tanta voglia di trasgredire. Mi veniva da ridere, ma non mi sembrava il caso.

- “Era vestita di tutto punto!” E in questa sua affermazione c’era tutto il suo disappunto.

- “Papà! Lei è vecchia ormai, per forza è sempre vestita!”

- “Anch’io sono vecchio, cosa significa “vecchia”? Comunque è sempre più giovane di me! Poi, non mi sembra così vecchia, anzi.”

Il bofonchiare di mia madre era sempre di più una marea inarrestabile, sembrava uno tsunami e riuscivo a sentire benissimo le sue parole.

-“Basta, ti prego, sei mio padre!!”

- “Beh, avete un presidente del consiglio che si fa fotografare con ragazze giovanissime sulle ginocchia, mi sono limitato a baciare Cicciolina, che male c’è?”.

- “C’è che sei mio padre!!!”

Decido di dare una svolta alla conversazione, perché la china che sta prendendo non mi piace per niente. Gli chiedo di passarmi mamma e mi aspetto il peggio.

Il peggio arriva subito: un torrente di parole, una rabbia ben espressa.

Inizio a chiedermi perché ho risposto al telefono. Perché non lasciarlo squillare facendo finta di non essere in casa?

- “Mamma calmati. Cicciolina non è diventata la tua dirimpettaia e non inizierà un’avventura con papà. E’ stato un fatto casuale, è iniziato e finito lì, ammesso che sia iniziato. Tutto al più, dovrai sopportare Papà che si vanterà con gli amici di averla baciata. Altro non succederà.”

Le mie parole non calmano mia madre che se la prende con le inaugurazioni inutili, con i festival “zozzi”, con le porno star e con il paese (il suo) che sta cambiando ed in peggio, ma soprattutto con l’Italia perché è tutta colpa del suo Parlamento se Cicciolina è diventata una star e questo non dovrebbe essere permesso.

Ribadisco che lei era molto più pulita di tanti altri parlamentari. Mi saluta a denti stretti e riattacca. Non capisco…





 
 
 

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Post n°494 pubblicato il 07 Marzo 2009 da quotidiana_mente
 






“Mamma, mamma, guarda A! Guarda come nuota bene!”

Non ricordo se mia madre si voltò a guardarmi o se si limitò a seguire il mio dito che indicava A. nel suo galleggiare sul filo dell’acqua.

Lei rispose che mio fratello non sapeva nuotare e si precipitò tra i flutti mentre pronunciava  queste parole. Ero rimasta ferma ad osservare mia madre che entrava in acqua completamente vestita. Questo lo ricordo bene.

Eravamo lungo la riva di un fiume, un affluente del Douro, in quel punto non era molto alto, ma c’era la corrente. Eravamo lì perché mia madre in quel punto, come tante altre donne, facevano il bucato. Strofinavano i vestiti su sassi grandi e lisci, e si formava un po’ di spuma bianca intorno ai sassi: mi piaceva guardare quello spettacolo. Mentre le donne lavavano, i bambini giocavano nei loro pressi ma mai troppo vicini, perché erano sempre d’intralcio. Era tutto un chiacchiericcio, sembrava un luogo dove scambiare le ultime notizie le quali, immagino, erano tutte imperniate sugli ultimi pettegolezzi. Immagino. Ero troppo piccola per avere un ricordo anche delle conversazioni.

Solitamente, mia madre sceglieva di stare in disparte, non ha mai amato parlare inutilmente e ancora meno lo sparlare.

Si andava a piedi fino al fiume, il quale era più o meno a quattro chilometri. Lei con i panni sulla testa e noi accanto o dietro di lei. C’era anche il lavatoio nel villaggio, ma qualche volta lei preferiva andare al fiume e non so il perché, forse proprio per non dover ascoltare parole futili.

Quel pomeriggio faceva caldo, io lo ricordo così. Guardavo mia madre che lavava i panni, forse l’aiutavo, forse no. A volte, lei mi dava un calzino oppure un fazzoletto da lavare e mi chiedeva di farlo per bene, di non essere frettolosa; in seguito mi disse che era solo per tenermi impegnata a lungo, perché altrimenti la disturbavo con le mie offerte di aiuto. Lavava i panni e controllava i suoi figli. Non ricordo quanti eravamo, forse solo in quattro, allora. Ricordo che ero accanto a lei, in piedi e guardavo verso l’altra riva dove c’erano tanti alberi ed era impossibile arrivarci e vidi mio fratello che galleggiava. Ero stupita, non sapevo che lui fosse in grado di nuotare. Io non sapevo nuotare, entravo in acqua sempre con un po’ di circospezione, forse per rispetto, ma non avevo paura. Guardavo A. che galleggiava e non so a cosa pensavo, ma so che ad un certo punto ho interpellato mia madre dicendo: “Guarda, mamma, come A. nuota bene”, e mentre parlavo indicavo mio fratello col dito perché era vicino all’altra sponda dove l’acqua era molto più alta. Mia madre entrò in acqua, con i vestiti e le scarpe e questo mi sembrò un po’ strano. Non nuotava, ma fendeva l’acqua come a volerla dividere. Ero immobile e la guardavo camminare. Lei non si è mai girata, capivo che cercava di fare in fretta. Poi, di colpo, ho visto un uomo entrare anche lui in acqua, raggiungere velocemente mia madre e dirle qualcosa, lei non sembrava ascoltare, cercava di proseguire, lui però riuscì a fermarla, oppure lei si è fermata da sola. Lui ha iniziato a nuotare e ha preso mio fratello e l’ho portato vicino a mia madre e assieme sono tornati sulla riva accanto a me. Continuavo a guardare e non capivo. Se A. nuotava così bene, perché tutto quello trambusto? Mia madre e lo sconosciuto erano intorno ad A., lo scuotevano. Lo sconosciuto diceva a mia madre che lei era un’incosciente, che buttandosi in quel modo in acqua rischiava di annegare per via della corrente perché si vedeva che lei non era in grado di nuotare, diceva che lei avrebbe dovuto chiamare aiuto e non fare di testa sua, che era stata fortunata ma così lui era stato costretto a salvare mio fratello e lei.

Non ricordo altro. Ma quel giorno ho scoperto che mio fratello A. non sapeva nuotare e stava annegando, ho saputo che mia madre non era in grado di nuotare ma che era pronta a sacrificarsi per salvare i suoi figli.

A. aveva all’incirca tre anni ed io meno di sette.

In quel fiume abbiamo continuato a fare il bagno, ma anni dopo. Nel frattempo avevamo scoperto anche l’ebbrezza di giocare con le onde dell’oceano. Mia madre ci accompagnava ma non entrava in acqua, si bagnava appena i piedi. Ci controllava a distanza, non diceva niente ma era sempre presente.

Mio padre di rado veniva con noi: si annoiava, diceva.

Anni dopo, lungo un fiume, un altro fiume, andando a piedi a trovare mia nonna materna, mia madre disse: “Qui è il punto in cui è morto mio fratello. Si era avvicinato all’acqua per cogliere un fiore, inciampò ed  annegò. Ero presente, ho cercato di fare qualcosa ma oltre ad urlare non ho fatto. Arrivò un passante, ma non c’era niente da fare. Per questo io non so nuotare, per questo guardo il mare da lontano, perché ho paura.”. Successe questo quando lei era adolescente, io non sapevo niente di quello zio morto perché voleva cogliere un fiore.

Tanti anni dopo quella confessione, ho ringraziato mia madre, perché se non sono una nuotatrice provetta non è per colpa sua, ma se amo l’acqua sia essa di fiume, di mare o di oceano è grazie a lei che nonostante tutto è riuscita a non trasmettere la sua paura ai figli.

Questo ricordo mi è tornato in mente leggendo il post di Donnadistrada. Il fiume non era in Brasile come quello che descrive lei, e i sassi, anche quelli sono diversi, ma in fondo era più o meno così: meno assolato, meno colorato, ma era così. Anni fa.






 
 
 

Quinto (e ultimo)

Post n°493 pubblicato il 01 Marzo 2009 da quotidiana_mente
 






Indossò la tuta protettiva, i guanti di lattice, le soprascarpe e la mascherina: ormai aveva deciso che si sarebbe presentata alla vecchina con la precisa intenzione di farle credere di essere un’operatrice della S.D. & D. (s’era inventata l’acronimo pensando ad una ipotetica Società di Disinfestazione e Derattizzazione). La vegliarda ci sarebbe cascata con tutte le scarpe. Scese i pochi scalini che la separavano dalla vecchietta; si fermò di fronte alla porta. Suonare o entrare? Non era una porta blindata a fermarla, sapeva esattamente come fare. Suonò. Pochi secondi dopo, la porta si aprì, come se fosse stata aspettata. La signora non sembrò per niente stupita, la squadrò da piedi a testa e disse: “l’immaginavo diversamente, meno minuta, ma va bene così.” “Ah sì?”, non trovò niente altro da dire anche lei stupita. Prego si accomodi, l’invitò la vecchietta. L’appartamento era veramente grazioso, arredato in modo sobrio, le montagne sembravano a portata di mano viste dall’immensa vetrata. Ero uno spettacolo davvero rilassante con tutto il bagliore dovuto ai riflessi della neve. C’era da rimanere senza fiato ad osservare tanta bellezza. Potrei eliminare tutti gli abitanti del condominio e venire a viverci io, perché lasciare tanta bellezza solo agli altri? Potrei lasciare la città e vivere praticamente da eremita qui su, perché no? In fondo, cosa ho da perdere? Iniziò a fare mentalmente un calcolo: era una strage, era troppo anche per lei. Sorrise, si girò e guardò la vecchietta. “Lei mi aspettava?” Chiese. “Sì”, rispose la vecchietta, “è lei che ci dovrà accompagnare nel nostro ultimo viaggio.”

Ci? Un plurale? Come sarebbe a dire “ci”? Non ebbe tempo di formulare la domanda, la vecchietta parlava senza sosta. “Quando inizia a parlare, sfinisce chiunque.” Si ricordò della raccomandazione dell’amica. Cercò di cogliere qualche parola qui e lì, ma era difficile perché sembrava una mitraglietta, era un flusso continuo di parole che non prevedeva un’interruzione nemmeno per respirare o deglutire. Non si lasciò tramortire, si concentrò e cercò di capire.

“Perché Lucia ed io abbiamo pensato che lei ci potrebbe aiutare. Vogliamo andare senza lasciare tracce, vogliamo svanire nel nulla e per questo abbiamo bisogno anche del suo aiuto.”

Anche del suo aiuto?! E chi era questa Lucia? In breve riuscì a capire ben due cose: Lucia era la sua vicina, e cioè la suocera di Bet, la “mandante”. E lei, la vecchietta era niente popò di meno che… la madre di Bet! Per un istante riavvolse nella mente il nastro dei pensieri e non trovò traccia di citazioni in merito in nessuna delle conversazioni avute con Bet. “beh” si disse “avrà avuto i suoi motivi per non dirmelo” – “ad esempio la vergogna, o il timore di essere giudicata una becera matricida, oltre che un’infingarda accoppa-vecchiette.” Ma non era il momento di farsi certe domande: semmai era il momento di uccidere!

“Con Lucia abbiamo deciso di  lasciare questa valle, è da tanto che sogniamo il mare, lei ci aiuterà ad arrivare fin lì, vero?”. La vecchietta l’aveva confusa con una volgare agente turistica o forse un’operatrice immobiliare o una semplice accompagnatrice? L’idea di volere andare al mare in pieno inverno, le sembrò molto romantica. Pensò di aver sbagliato film: non era più un thriller ma tutto si trasformava in una mediocre commedia da teatrino di provincia. No, lei non poteva accettare un così repentino cambio di programmazione. Non ci poteva stare!

La vegliarda continuava a parlare. “Abbiamo incaricato il nostro vicino, che è poliziotto, di individuare una sistemazione degna di noi. Lui è sempre in giro e gli capita di andare oltre le montagne e cioè in Francia. Lui è così premuroso nei nostri confronti e ha trovato quanto desideravamo. Ci aveva garantito che sarebbe passata una persona per le ultime formalità. La immaginavo diversa, ma va bene così.”

Non era stupita, bensì del tutto tramortita da quell’improvviso colpo di scena. Niente era più come sembrava e lei si doveva adeguare a questi cambiamenti. L’omicidio da lei progettato, la perfezione del crimine, s’era dissolto come una nube spazzata dal vento di quelle Alpi, ridotto ad una mera operazione di trasloco! Che amarezza! Oddio, più che amarezza provava gioia mescolata a stupore, ma c’era anche la delusione per aver perduto l’occasione di poter finalmente provare a se stessa di essere una perfetta killer. “E vabbé” – pensò – “ci saranno altre occasioni, dopotutto il mondo pullula di vecchiette.”

Mentre pensava, ascoltando distratta il fiume di sciocchezze detto dall’anziana signora, si ritrovò in mano, delicatamente offertole dalla sua interlocutrice, un foglio scritto a mano. Lo lesse attentamente: “Cari Bet e Tonio, Lucia ed io abbiamo deciso di vivere i nostri ultimi giorni in riva al mare. Ci togliamo d’impiccio poiché siamo certe che voi due non abbiate più bisogno di due petulanti signore intorno. Noi siamo stanche del gelo perenne di queste valli e desideriamo asciugare le ossa in un luogo più adatto alla nostra veneranda età e ai nostri reumatismi. A dire il vero erano due anni che ci pensavamo ma l’affetto che proviamo per voi ci tratteneva. Poi abbiamo pensato che l’affetto non diminuirà se mentre voi vi godrete i vostri futuri giorni con molto più spazio da condividere con i vostri amici e con i nostri (speriamo) futuri nipotini, noi saremo sul terrazzo di una casa sul mare a goderci gli ultimi giorni di una vita meravigliosamente vissuta accanto a voi. Ma ora basta. Abbiamo lasciato gli appartamenti a vostra disposizione, come da documenti allegati. Non ci cercate, ci faremo vive. Forse. Prima o poi.” La lettera era firmata dalle due vecchiette. Oltre al manoscritto c’era tutto l’incartamento notarile, a dimostrazione che le due anziane non avevano lasciato niente al caso. Era tutto perfettamente in regola.

In fondo, poteva anche quello essere un ottimo piano. Valutò come far girare il vento a suo favore.

“Nessuna delle persone coinvolte ne farà parola, vogliamo sparire senza lasciare tracce. Lì dove andiamo, avremo tutto quello che ci serve per godere il tempo che ancora abbiamo a disposizione e che non è poco. Poi, se la nostalgia ci prenderà, potremo sempre fare una telefonata  o fare una visita, vogliamo solo il sole e il mare. Basta con questi lunghi inverni.”

Meditò per qualche secondo. Questa vecchietta la stava stupendo. Non ci fu bisogno di chiederle quale sarebbe dovuto essere il suo ruolo in questa fuga, perché la vegliarda disse: “Allora, giovinetta, pronta a scortarci e a guidare la nostra macchinetta fino a Nizza?”. “Sì sì”, rispose senza pensarci: non guidava un automobile da 10 anni ma se la sarebbe cavata procedendo lentamente, quasi fosse stato un nuovo esame di guida, con la differenza che assieme a lei non ci sarebbe stato quell’acido ispettore della Motorizzazione, ma due simpatiche anziane con un sacco di cosa da raccontare. E mentre aiutava le due signore a caricare il bagagliaio con le poche valigie, già pensava ai sapori dei formaggi francesi, del profondo fruttato del Borgogna e di quanto mare le avrebbe riempito gli occhi nelle ore successive…

Giunta a Ventimiglia, fermò la macchina, un po’ per sgranchirsi (e per liberare almeno per qualche istante le orecchie da quel continuo picchiettìo da chiacchiera che proveniva dal sedile posteriore), e per scrivere un biglietto che avrebbe poi imbucato in una cassetta postale dalla Francia.

 “Cara Bet, Missione incompiuta ma obiettivo raggiunto. Me ne vado al mare.”

 

Qualche giorno dopo su “La Voce del Cuneese”:

Un agricoltore di Colle di Tenda ritrova, in un fossato ai margini della Strada Statale 20, una Walter 32 canna lunga con silenziatore nuova, ancora racchiusa nella scatola originale. Gli investigatori credono provenga da una partita di falsi prodotti in Cina. I proiettili ritrovati erano a salve.”






 
 
 

Quarto (e penultimo)

Post n°492 pubblicato il 21 Febbraio 2009 da quotidiana_mente
 






Doveva entrare senza farsi notare. La cosa migliore sarebbe stata il teletrasporto: arrivare direttamente dalla vecchietta e non pensarci più. Ma se ci fosse stato il teletrasporto, tanto valeva spedire direttamente la vecchietta su un altro pianeta piuttosto che rimandarla al creatore anzitempo. Doveva entrare, ormai il suo destino, ma soprattutto quello della vegliarda, era segnato.

Calzò le soprascarpe per non lasciare le impronte delle suole, e poggiò persino i piedi su delle pattìne. Pensò che stesse facendo un favore a tutto il condominio lucidando involontariamente il pavimento. Il freddo era pungente e sperava di arrivare quanto prima dalla sua amica; nonostante i calzini pesanti, sentiva la ceramica gelarli i piedi.

Entrò. Il palazzo sembrava dormire, forse dormiva senza sembrare. Salì senza appoggiare mai le mani né al muro né altrove. Aveva ancora il cappello e nessun ciuffo faceva capolino. Sapeva di esagerare con le precauzioni, sapeva di rasentare la paranoia ma non voleva mettersi nei guai inutilmente. E si ricordava di tutti i gialli, i noir, i filmacci di serie B dove l’investigatore di turno diceva con enfasi declamativa – “L’assassino lascia sempre una traccia, perché tutti i criminali sbagliano, prima o poi” -.

Superò l’appartamento del poliziotto e quello della suocera. Arrivata all’ultimo piano cercò di individuare il luogo dove la sua amica aveva lasciato la chiave dell’ingresso. Lei era in casa, ma dovevano assolutamente evitare ogni contatto per non destare sospetti. La chiave era sotto lo zerbino. Pensò quanto fosse banale questo fatto. Era come rispondere al citofono “io!”. Tutti rispondevano nello stesso modo. Lei no, da adolescente rispondeva: “Il Papa” e sua madre si arrabbiava come una iena. Quando ancora abitava con i genitori. Poi, no, anche lei ha iniziato a dire “io”. Come tutti.

Indossò i guanti di lattice, prese la chiave e la inserì nella serratura. Nell’appartamento regnava il silenzio. Quasi di tomba, pensò. Una premonizione. Andò, come concordato, nello stanzino. Sul comodino, accanto al letto, trovò qualcosa da mangiare e fu grata alla sua amica per tanta accortezza. Mangiò tutto con ingordigia, era davvero eccellente. Rimpianse di non avere l’amica accanto per poterla ringraziare e scambiare due parole. Stava dimenticando l’uso della parola, erano ore e quasi giorni che non parlava con nessuno.

Non levò i guanti né il cappello mentre s’infilava a letto. Le tracce erano diventate la sua ossessione. Era attenta. Aveva persino messo una cuffia di plastica sul cappello per non lasciare nessuna fibra di lana; tramite quella potevano arrivare al produttore e dopo al negozio ed in seguito alla sua amica R. che l’aveva regalato qualche anno prima. No, perché mettere tanta carne al fuoco? Bastava lei. Sapeva che non l’avrebbero mai presa, ma era meglio perseverare con le dovute cautele. E comunque, dopo l’omicidio, avrebbe bruciato tutto: guanti, cappello, abiti, forse persino i suoi stessi documenti. Di certo, avrebbe carbonizzato i suoi pensieri. E sì! Avrebbe così resistito a qualsiasi interrogatorio!

Non riusciva a prendere sonno forse per la stanchezza accumulata. Nemmeno si rigirava nel letto, era lì, ferma come un baccalà, fissava il soffitto che non poteva vedere per via delle pesanti tende. Fissava un immaginario punto da qualche parte e pensava. Pensava che, in fondo, la vecchietta non le aveva mai fatto niente, che nemmeno la conosceva, che forse era anche una brava persona, che sicuramente aveva una famiglia e degli amici che avrebbero pianto la sua prematura partenza da questo pianeta. Com’è possibile volersi sbarazzare di una vecchietta? Aveva sempre avuto ottimi rapporti con le persone anziane. Pensò a sua nonna materna e si disse che quando lei se ne era andata nessuno aveva sentito la sua mancanza, tranne sua madre, ma perché era la madre, ma lei no, sua nonna materna era la persona più cattiva che avesse mai conosciuto. Persino quando era bambina, sua nonna le sembrava la strega cattiva delle fiabe. Una vera bastarda. Pensò a sua nonna paterna e tutto mutò. Perché lei era la bontà fatta persona, viveva in un mondo tutto suo, fatto di cose sue, ma era sempre allegra, sempre disponibile e non dimenticava mai di regalare qualche carezza e un po’ di prosciutto a sua nipote, cioè lei. Pensò anche a sua bisnonna paterna, che era morta ultracentenaria e si chiese se lei avrebbe voluto, e potuto,  vivere così a lungo. No, assolutamente no, si rispose. Però sua bisnonna era in perfetta forma anche il giorno della sua morte. Così avevano detto i medici. Era stato il caldo, tutta colpa del caldo altrimenti sarebbe ancora viva.

Niente ripensamenti, iniziò a ripetersi. “Delitto e castigo” è già stato scritto, non ho intenzione di interpretarne una nuova versione iniziando dal castigo. Che poi in realtà era il pentimento.

Per un istante, pensò ai potenziali titoli che la stampa le avrebbe dedicato: “straniera uccide anziana senza un motivo valido”. No, straniera era una definizione troppo vaga, la nazionalità doveva essere, per forza, delimitata ed individuare un luogo ben preciso. Si chiese che cittadinanza avrebbe scelto avendone due a disposizione. Quella d’origine, sicuro. “Da brava portoghese uccide senza pagare”? No, titolo da strapazzo! “Da perfida colonialista portoghese induce in schiavitù donna anziana italiana, anzi, Padana!”? Già meglio, ma non abbastanza incisivo e ai limiti dell’imperialista. La stampa aveva bisogno di ben altro e l’idea di finire in loro balìa era un ottimo deterrente per non procedere nel suo losco progetto.

No, niente ripensamenti e su questo ritornello, si addormentò.

Poche ore dopo, si svegliò perfettamente risposata. Il sonno dei giusti, pensò. Rimosse subito quel pensiero.

Decise di mettersi immediatamente all’opera: durante la notte aveva rafforzato i suoi progetti omicidi.




(… continua…)






 
 
 

Terzo

Post n°491 pubblicato il 17 Febbraio 2009 da quotidiana_mente
 





Il treno partiva il giorno seguente, alle ore 11:46, quindi aveva ancora qualche ora a disposizione per organizzare i passi successivi del suo piano e farlo risultare credibile.

Passò il pomeriggio a girare un po’ in tondo. Si mise in contatto con la sua amica tramite Msn, in fondo era il mezzo di comunicazione meno pericoloso visto che aveva già deciso di rimuovere il disco rigido prima della sua partenza.

La sua amica precisò che sotto la vecchietta abitava un poliziotto. A queste parole, lei ebbe un sussulto sulla sedia, stava quasi per cadere.

Un poliziotto? Ora me lo dici? Non ti pare un po’ tardi?

No, all’amica non sembrava troppo tardi, si era semplicemente dimenticata di dirlo prima. Poi, aveva precisato, spesso è in trasferta, di rado è a casa.

Poteva anche essere a casa proprio il giorno in cui sarebbe arrivata lei: subito arrestata, prima ancora di fare qualsiasi cosa. No, tutto questo non la convinceva per niente.

Aveva già il biglietto del treno, doveva partire il giorno dopo.

L’amica le chiese se aveva bisogno di una stanza d’albergo dove dormire vista l’ora in cui sarebbe arrivata.

No, rispose, non mi serve niente, grazie. Non ho intenzione di lasciare tracce dietro di me. Anzi, sei pregata di formattare il tuo disco rigido, e che sia una formattazione professionale, che non ci sia niente ma proprio niente dentro. Altrimenti sostituisci l’hard disk, che non è cosa difficile.

Si stava chiedendo se l’amica si rendesse conto dei pericoli. Un poliziotto proprio sotto la casa della vecchietta? Questa non ci voleva, nel modo più assoluto.

Cosa avrebbe potuto dire se fosse stata arrestata? Ho deciso di aiutare una mia amica a guadagnare spazio e togliendo la vecchietta di sotto, lei ne ricava un altro appartamento? L’avrebbero subito richiusa, ma non in prigione, al manicomio. Non era credibile seppure fosse stata la verità. L’unica soluzione era non farsi prendere.

Il giorno dopo, molto presto, mise poche cose nel suo zaino, il minimo indispensabile, non aveva intenzione di fermarsi lì più del dovuto. Cambiò il disco fisso del computer e quello vecchio, dopo averlo frantumato con un martello, lo portò in un negozio di computer che notoriamente riciclava i componenti e ne ricavava l’argento e i metalli preziosi che ogni pc ha dentro di sé. La sua etica ecologica non le permetteva alcun gesto inquinante. Solitamente riusciva a staccare persino le etichette dalle bottiglie per buttarle nel cassonetto della carta, la bottiglia nuda in quello della plastica e il tappo lo conservava per le raccolte differenziate fatte dalle Onlus per ricavarne attrezzature mediche per disabili. Alcune volte aveva persino chiamato al telefono l’azienda municipalizzata per chiedere l’esatto uso dei cassonetti. Il polistirolo, ad esempio, dove andava buttato? E il tetrapak? Tra le bottiglie o nella carta? Persino l’impiegato si era stupito di tanta precisione. Magari l’avrebbero catturata due minuti dopo l’omicidio, ma di certo non sarebbe stata accusata di erroneo smaltimento del cadavere.

Alla stazione comprò un paio di giornali e qualche rivista. Controllando il cartellone delle partenze, notò che il treno aveva quasi mezzora di ritardo. Si chiese se era meglio fermarsi quella notte a Torino oppure arrivare a Cuneo nel cuore della notte. Non aveva idea di come fosse Cuneo, per lei quella città evocava solo cioccolatini, anzi i “mitici Cuba Rum”. Qualche formaggio, sicuramente anche dell’ottimo vino. Pensò che non era mai stata nelle Langhe, pensò anche che non era in partenza per motivi turistici. Aveva una missione da portare a termine in modo pulito e il più velocemente possibile.

Finalmente il treno arrivò sul binario, sembrava già stanco prima di partire. Lei prese posto, sistemò lo zaino e si mise a leggere. Lo stomaco emetteva qualche gemito dovuto al pensiero della Tuma di Murazzano e subito dopo fu la robiola del bec a fare la sua apparizione nella sua mente. Peccato avere così poco tempo a disposizione, pensò, mentre immaginava tavole imbandite da ogni ben di Dio.

Passò un controllore ma si limitò al biglietto, lei sembrava quasi invisibile, nessuno le prestava attenzione, lei leggeva e guardava fuori dal finestrino, anzi il giornale veniva usato come protezione, non le servivano nemmeno gli occhiali scuri.

Il Tirreno sfilava dietro il finestrino, era come un immenso fazzoletto blu. Pensò ai suoi andirivieni da e per Parigi. Si rammentò dello stupore che provava ogni volta che vedeva il blu del mare sorgere dopo una curva, almeno così lo ricordava.

Mentre il treno si allontanava da Livorno, lei pensò che, magari dal finestrino, avrebbe potuto scorgere la Torre anche se da lontano, prima di entrare nella stazione di Pisa. Era sicura di poterlo fare. Era un modo come un altro per fare passare il tempo. L’importante era non dare nell’occhio.

Aveva fame, ma non osava andare al vagone ristorante, chissà com’erano prodotti i cibi che vendevano e di sicuro non erano a chilometro zero, ma almeno viaggiavano su rotaia. Decise di aspettare il suo arrivo nella capitale Sabauda.

A Torino si sentì un po’ spaesata, era da anni che non ci andava. Tutto sembrava cambiato e sicuramente lo era. Era indecisa se proseguire il viaggio o se fermarsi lì. No, pensò, dritta alla meta che è la cosa migliore. Cambiò binario e non dovete aspettare troppo. Era curiosa di vedere il paesaggio, ma ormai era buio. Peccato. Non è un viaggio di piacere, si ripeté ancora una volta. Sarà per la prossima vittima: ormai si sentiva seriale senza aver nemmeno sfiorato una mosca.

Avrebbe voluto dire: sincronizziamo gli orologi. Era la frase perfetta per ogni delitto che si rispettava, ma non aveva nessun con chi sincronizzare il proprio orologio. Si ricordò di non avere nemmeno l’orologio, se l’era semplicemente dimenticato a casa. Andiamo bene, pensò, non ho intenzione di accendere il cellulare per non essere individuabile, anzi per maggiore precauzione aveva persino tolto la carta sim e la batteria, era meglio prevenire che curare. Sperava solo che gli orologi dei vari paesini fossero tutti in orario e non ognuno per conto proprio come avveniva quasi sempre a Roma. Nella capitale ogni ora era un’ora diversa, dipende dove si guardava. A via XX Settembre, per esempio, le 10:20 diventavano le 15:30 dopo pochi metri. Era tutto una questione di punti di vista, in fondo il tempo è relativo, si diceva.

Per via del ritardo del treno in partenza da Roma, aveva perso la coincidenza da Cuneo. Il suo viaggio sembrava infinito. Forse poteva dormire nella città, o quanto meno mangiare qualcosa, ma si disse di no, non era pratica ed una estranea la si nota subito, sarebbe bastato uno sguardo per capire che non era del luogo, che era una forestiera. No, tanto valeva proseguire. Il servizio treno, per via dell’ora, era sostituito da un autobus. Iniziava a sentirsi un po’ stanca.

Arrivò nella località di destinazione quasi alle 23. Di quest’orario fu certa perché un campanile rintoccò gli 11 fatidici colpi. Un miscuglio di fame, sonno e stanchezza la colse ma non era quello il momento di mollare. Ormai era a poca distanza dal suo obiettivo. Doveva solo trovare la casa. Aprì la sua borsa e ne estrasse il foglio su cui l’amica le aveva segnato tutte le indicazioni necessarie. La foto della casa era chiara e non avrebbe potuto né dovuto sbagliare. Era a due passi dal centro e ci arrivò in pochi minuti. Fece gli ultimi passi guardandosi intorno e notò subito il moderno profilo della casa, forse inadeguato in una località montana come quella. Sembrava una piscina comunale. Ma come si può, si disse, uccidere una persona per ottenere un trampolino di più? Ma la cosa non la riguardava affatto…



(... continua...)






 
 
 

Secondo

Post n°490 pubblicato il 15 Febbraio 2009 da quotidiana_mente
 








Pensò che forse sarebbe bastato uno spavento e la signora anziana se ne sarebbe andata di sua spontanea volontà. Stava correndo troppo, doveva intanto decidere quale strategia seguire e quale piano ordire.

Andò dal capo e disse che prendeva una settimana di ferie, forse anche due. Il capo iniziò a protestare. Lei rispose che aveva tante di quelle ferie arretrate che poteva anche non presentarsi per un mese intero, ma che non sarebbe stata così perfida, e che sarebbe tornata in sede al massimo dopo due settimane. Non disse dove andava, non ne valeva la pena. Meno si sa e meglio è, pensò.

Iniziò a programmare il suo viaggio. Doveva spostarsi. Di usare l’aereo non se ne parlava: non voleva, in fondo, inquinare e preferiva il treno che lasciava spazio ai pensieri e non riempiva di ossido di carbonio l’atmosfera. Non voleva prenotare tramite Internet perché aveva deciso di lasciare meno tracce possibili, anzi meditava di cambiare disco rigido al suo personal computer, per cancellare ogni possibile scia di conversazione avvenuta tra lei e la sua amica. Sì, era molto più prudente. Si doveva ricordare di pretendere le stesse misure di sicurezza anche dalla sua amica. Niente, non doveva risultare niente da nessuna parte. Lei non esisteva, quella conversazione non era mai avvenuta.

Andò alla stazione, pagò in contanti il suo biglietto di solo andata: per il ritorno c’era tempo. Alla domanda se avesse una carta di fedeltà sulla quale accumulare punti, rispose di no. In fondo, viaggiava troppo poco per averne bisogno. Pensò, per un attimo, ai punti persi, lei che li stava accumulando per un viaggio fino a Parigi. Pazienza, sarà per la prossima volta, si disse.

Tornando a casa, meditò su come procedere. Di sicuro, la cosa migliore sarebbe stato recarsi in qualche centro commerciale, presso un negozio di bricolage, un fai-da-te e prendere quanto potesse servire in quanto, finché “giocava in casa”, sapeva come muoversi.

Dovrei ridipingere casa, avrei bisogno di qualcosa che mi protegga completamente, dalla testa ai piedi, capelli compresi e di una mascherina, perché non ho voglia di intossicarmi tra polvere e odore di vernice e dei guanti in lattice. Ah, anche qualcosa che copra completamente le scarpe, non sia mai che io mi macchi i calzini.

Il commesso tornò poco dopo con tutto il necessario. Non chiese niente e lei non precisò altro.

Secondo lei, era la soluzione migliore, una tuta che avrebbe coperto completamente il corpo e la testa, con la mascherina non correva rischi di lasciare tracce di saliva: non che lei fosse un San Bernardo, ma non si poteva mai sapere. In fondo uno starnuto avrebbe potuto mandare all’aria tutto il suo piano.

 

  (... continua...)









 
 
 

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Post n°489 pubblicato il 14 Febbraio 2009 da quotidiana_mente
 
Tag: Post-it






Le regole: San Valentino

 1 - Emozionante alle elementari, carino alle medie e patetico al liceo: San Valentino invecchia male.

2 - Se ti ostini a festeggiare da adulto, comportati da adulto e regala solo diamanti.

3 - Un bacio vero costa meno di uno di cioccolato e non fa ingrassare.

4 - Il peluche è il male.

5 - C'è solo una cosa più triste di San Valentino: chi si accanisce contro San Valentino.

 

 Internazionale, n° 782








 
 
 

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Post n°488 pubblicato il 13 Febbraio 2009 da quotidiana_mente
 
Tag: Bacheca










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Primo

Post n°487 pubblicato il 12 Febbraio 2009 da quotidiana_mente
 






Non fu proprio una richiesta, ma solo un desiderio espresso a mezza voce. Lei capiva perfettamente che lo spazio era fondamentale alla sopravvivenza degli esseri umani. Di certo, non poteva suggerirle di traslocare, di cercare una casa più ampia. No, erano finiti i tempi in cui si cambiava casa a proprio piacimento, e poi dove poteva andare? Quello era un paesino di montagna, con poche case e  queste tutte occupate o quasi. Ci voleva una soluzione. Ma quale?

In fondo - lei disse - basterebbe che la vecchietta di sotto non ci fosse, basterebbe quello di spazio.

Già. Ancora più difficile sarebbe far sloggiare una signora anziana, legata come poteva essere al suo ambiente e ai suoi oggetti e ai suoi ricordi, plasmati in quelli oggetti. No, la soluzione non era per niente a portata di mano.

Prima o poi se ne andrà - insistette - e in qualche modo dovrà andare via, magari la si potrebbe aiutare a partire.

Ecco, di nuovo la richiesta, anzi il desiderio che però, questa volta, era espresso in modo più esplicito.

Lei ci pensava. Le piaceva l’idea di aiutare la sua amica. Ma come?

Lei che da sempre sognava di essere un killer (non per forza seriale e non per forza dietro compenso) anche se non era mai riuscita a sbarazzarsi della sua collega, ogni mattina si svegliava con quel pensiero. No, non aveva futuro come potenziale killer, lo sapeva. Una signora anziana poteva essere un bersaglio più facile di una collega. Ci sono anche anziane molto arzille, pensò.

Pensò anche che questa non sarebbe stata la stagione migliore; immaginava la valle piena di neve e il segno delle sue scarpe sul manto bianco. No, meglio aspettare la primavera. Anche se.

Anche se… - iniziò a pensare -  in fondo, dovrei solo stare attenta alle impronte, ai capelli, alla saliva, non dovrei lasciare nessuna traccia, proprio nessuna che ormai basta un nulla per farsi scoprire. Pensò anche di non essere schedata e che quello era un punto a suo favore. Poi, chissà, magari era schedata e non lo sapeva. Il grande fratello è sempre in ascolto - Ma no, è impossibile - e cacciò via quel pensiero.

- Per te sarebbe più facile, non desteresti sospetti. Poi vivi a Roma: Romana, Rumena, Romena, insomma, tutto si semplificherebbe -.

Già stava pensando all’arresto. Non andava bene. Lei ancora non si era decisa e l’amica aveva già previsto la sua condanna. No, non poteva essere. Aveva letto abbastanza gialli e noir, aveva visto abbastanza telefilm da sapere come comportarsi. Poteva essere una sfida con se stessa, un modo di verificare quanto avesse assimilato di tante letture e di tante visioni. Forse era stato tutto inutile, ma forse no.

- Dovresti solo non prestare mai attenzione alle chiacchiere della vecchietta, è capace di sfinire chiunque con le sue divagazioni -.

Prese in considerazione questa raccomandazione e promise di pensarci un po’ su.

 

 

(... continua...)





 
 
 

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Post n°486 pubblicato il 10 Febbraio 2009 da quotidiana_mente
 
Tag: Sfogo






Questo post è uno sfogo di qualche giorno fa. Questo post è uno sfogo perché passano i giorni ma non l'amarezza.

Non è obbligatorio commentare né tanto meno leggere questo post.

Quando si è stranieri, lo si è per sempre. Mi considero perfettamente integrata in Italia, così come mi consideravo perfettamente integrata in Francia. Ma sono sempre stata e sono ancora una straniera. Ho la doppia cittadinanza, acquisita tramite lungaggini burocratiche e per nessun altro motivo. Per anni, ho fatto anch’io la fila di fronte alla questura per rinnovare il permesso di soggiorno. Faceva parte del gioco e, tranne gli orari impossibili, non ho mai avuto niente da ridire in materia. No, qualcosa ho avuto da ridire quando un poliziotto voleva farmi passare per prima, perché ero l’unica bianca in coda. Ho rifiutato dicendo che la coda va rispettata. Lui non capiva, ma io sì. Mi chiedevo dove andassero gli altri stranieri come me, i visi pallidi, a fare le loro file. Forse direttamente presso i propri consolati o altrove? Non l’ho mai saputo. Erano gli anni ottanta, sul finire. Ho avuto da ridire quando al Ministero dell’Interno hanno perso la mia pratica, ma dopo anni di attesa, mi è stata concessa la cittadinanza. Ne ero orgogliosa. Ne sono ancora orgogliosa.

Non avevo mai pensato di prendere la cittadinanza francese perché mi sarei considerata una cittadina di serie B, ma di questo ho già scritto. Invece, diventare italiana mi riempiva di orgoglio, e anche di questo ho già scritto.

Qualche giorno fa, guardando una trasmissione televisiva, ho avuto modo di capire come sono cambiate le “regole del gioco” in materia di permesso di soggiorno (e di lavoro). Mi ha così colpito che ho, mentalmente, ringraziato di essere arrivata in Italia negli anni ottanta e che, in fondo, non potevo lamentarmi.

Sono arrivata in Italia che ero ancora extra-comunitaria. Il Portogallo era a tutti gli effetti parte integrante dell’Unione Europea ma per i suoi cittadini non era prevista la libera circolazione di “manodopera” e così ho conosciuto l’ebbrezza del permesso di soggiorno e di lavoro.

Ero extra-comunitaria, non “clandestina”, quello no.

Sono italiana ma rimango straniera, dentro. E’ più forte di me. Mi sento a casa, mi sentivo a casa, ma una casa non ce l’ho, o meglio ne ho tante. Potrei parafrase Goethe e scrivere “ho costruito la mia casa sopra al nulla ed è per questo che il mondo intero è mio”, sì, perché mi sento cittadina del mondo prima di essere portoghese o italiana o di entrambe le cittadinanze.

Ho lasciato la Francia quando c’era la “caccia all’arabo e al nero”: controllo di documenti a tappeto ma solo per i visi “abbronzati”, a me, viso pallido, non è mai stato chiesto niente, nemmeno quando sotto lo sguardo di un poliziotto ho scavalcato il tornello della metropolitana, niente, nulla. Una frustrazione.

Dell’Italia mi piaceva tutto, ma soprattutto la sua tolleranza, mi sembrava tutto così distante dalla Francia.

Sembrava.

Sembrava perché trovo aberrante dover fare pagare una tassa (o contribuito o come si voglia chiamare) per il rinnovo di un permesso di soggiorno che già ha un costo; capisco che siamo in piena crisi economica ma non capisco che si debba fare pagare anche i più “deboli”, chi già paga anche con ore di attesa in questura.

Capisco tutto o quasi, ma non capisco che si autorizzi la delazione perché una persona ha bisogno di cure mediche, ma è priva di permesso di soggiorno e, forse, per paura non andrà in nessuna struttura pubblica (o privata) a farsi curare, mettendo a repentaglio sia la propria salute che quella di tutti: non capisco questa voglia di ghettizzare in qualche struttura illegale, perché da qualche parte queste persone dovranno farsi curare. No, non riesco a capire e non voglio capire perché provvedimenti di questo genere non vengano definiti con il loro giusto aggettivo: razzismo.

Non sono mai stata “clandestina”, ma avrei potuto esserlo, sarebbe bastato nascere altrove, o semplicemente in un’altra epoca e per questo motivo mi voglio considerare a tutti gli effetti una “clandestina”, perché non posso e non potrò mai approvare leggi  (o inviti) di questo genere.

Capisco, ci provo almeno, la paura del diverso, il timore dell’altro, ma non posso e non potrò mai condividere leggi che io considero ingiuste.

Non posso condividere quando un ministro dichiara che diventerà più “cattivo”, un ministro non può essere buono o cattivo, può solo promulgare leggi giuste o che lui, quanto meno, riterrà giuste, tutto qui. Leggi che tutti i cittadini dovranno rispettare. Un ministro non può fare dichiarazioni simili, almeno non secondo me.

Non capisco questa deriva verso il razzismo e anche volendo non sono pronta a capire. Non c’è niente che possa giustificare certi atteggiamenti.

Forse si dovrebbe ricordare più spesso che chi emigra non lo fa perché lo vuole, ma è spinto a farlo per via di guerre, per scappare a terre aride e lo fa per cercare un futuro migliore, o quanto meno un oggi meno crudele. E visto che incessantemente si fa richiamo alla legge di Dio, mi chiedo con quale coraggio si possa promulgare certe leggi e approvare certi atteggiamenti.

Io personalmente mi vergogno, ma sono straniera e forse non faccio testo.

Ma sono anche cittadina di questo paese e per questo, proprio per questo motivo, dissento da questi atteggiamenti ed è un mio diritto.

Forse una persona straniera non sarà mai del tutto integrata perché conserverà sempre i ricordi dovuti alla burocrazia, anche se non ha mai subito umiliazioni, e si porterà sempre il suo bagaglio di ricordi legati alle varie integrazioni e alle sue diversità e per questo motivo avrà sempre un orecchio più sensibile verso chi arriverà dopo di lei.

 

 

 

6 febbraio 2009






 
 
 

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Post n°485 pubblicato il 03 Febbraio 2009 da quotidiana_mente
 



Un rumore come un lamento; un rumore sconosciuto.
Ho subito pensato a qualche guasto. Immaginavo l’autobus fermo in quel viale desolato come spesso capita all’ora di pranzo di una domenica. Le porte centrali si stavano aprendo ma nessuno si muoveva. Nemmeno l’autobus era affollato. Ho iniziato ad allungare il collo verso le porte centrali, immobile anch’io. Una pedana usciva da sotto le porte centrali. Era davvero uno spettacolo insolito, almeno per me. Poco dopo, una carrozzina è salita sulla pedana ed è entrata nell’autobus. Era un ragazzo piuttosto giovane. Ha chiesto un fazzoletto e ha iniziato a parlare.
E’ il quarto autobus che aspetto, gli altri non erano attrezzati. Non è possibile!
Ho annuito. Aveva ragione, non è possibile.
E tutto questo perché non vogliono che usciamo, preferiscono che stiamo al chiuso nelle nostre case.
Ho annuito di nuovo, non sapendo cosa rispondere.
Prima mi muovevo. Andavo in giro in moto, in motorino, viaggiavo, ora niente, non posso uscire, perché ogni volta devo aspettare chissà quanti autobus con l’attrezzatura adeguata per le carrozzine, e spesso gli autisti non sanno come funziona. Pare possibile?
No, in effetti, non dovrebbe essere possibile. Tutti dovrebbero potersi muovere liberamente anche se in carrozzina, o meglio proprio perché in carrozzina.
Questo stradone dopo le sedici diventa un deserto, non passa più anima viva. Sembra che ci sia il coprifuoco di domenica.
Mi sembrava già deserta quella strada e non erano le sedici.
Ero in motorino, sono caduto e ho aspettato ore prima che qualcuno mi venisse a soccorrere, non per cattiveria è che non c’era proprio nessuno.
Così ho capito che era stato un incidente stradale.
Ha continuato a parlare, chiedendo ogni tanto di essere aiutato: un piede si spostava e lui non riusciva a riportarlo alla posizione originale. Ha iniziato a spiegare che la pedana della carrozzina era rotta ma che lui non poteva farci niente, il costo del pezzo di ricambio era troppo elevato e che comunque prima di due anni, l’azienda sanitaria non l’avrebbe sostituita. Le batterie, quelle sì, ogni tot tempo, sono cambiate a spese del servizio sanitario. Per fortuna, precisava, perché costano un sacco di soldi.
Alla prossima scendo. Ha detto a voce alta.
Un altro rumore come un lamento. Si sono aperte le porte centrali. Ha salutato molto cortesemente ed è sceso. Per un po’, dall’autobus, l’ho guardato allontanarsi.
Ho ripensato al soggiorno a Vienna e al mio stupore quando ho visto carrozzine che salivano sulla metro o sul tram senza nessuna difficoltà.
Il primo pensiero è stato: “ma quanti disabili ci sono?”, e subito dopo, ho corretto il pensiero. Era semplicemente dovuto al fatto che i disabili in carrozzina, a Vienna, si potevano muovere liberamente sotto lo sguardo di tutti e in mezzo a tutti. Un bel segno di civiltà.
A Roma, non vedo disabili in giro per la città. Almeno io non li vedo. Forse si spostano in auto e non con i mezzi pubblici. Non saprei. Da domenica, però, ci penso un po’ di più.





 
 
 

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Post n°484 pubblicato il 30 Gennaio 2009 da quotidiana_mente
 









Tra sostituzione di computer e giornate di lavoro impegnative, mi sento esattamente come il signore nella foto: sfinita.
Lui, però, faceva la pennichella dopo il pasto.

Lo ricordo molto bene, stava lì noncurante degli sguardi dei passanti, tranquillamente assopito  sulla tavola, mentre intorno il mercato continuavo a pulsare. Non si curava nemmeno del caldo, emerso com’era nel mondo dei suoi sogni.
Da qualche giorno, ripenso a lui e un po’ l’invidio. Invidio la sua calma, il suo trascurare tutto e tutti per dedicarsi solo alla sua pennichella.
Ci saranno giorni migliori, sicuro.





 


 
 
 

Senza titolo

Post n°483 pubblicato il 26 Gennaio 2009 da quotidiana_mente
 




Ho la fortuna, a questo punto, di non vivere in campagna. Stando alle ultime dichiarazioni del nostro presidente del consiglio. Ho la fortuna di vivere in città dove i rischi sarebbero minori, sempre in base alla dichiarazione precedente, almeno andando per deduzione.

Dopo l’ufficio, torno a casa a piedi o in bicicletta, lungo una strada principale. A piedi, non è un problema, posso scegliere il marciapiede dove camminare ed evitare il fango che immancabilmente trovo perché manca l’asfalto in coincidenza con una villa abbandonata da sempre.

Andando in bicicletta, tale lusso non mi è concesso, devo seguire l’andamento del traffico ed evitare assolutamente il contromano. In fondo, sono rispettosa della legge.

Pedalo su una corsia laterale per immettermi, ad un certo punto, in quella principale. Sembra alquanto banale, certo, ma così non è. Per fare questo devo indovinare, d’inverno, dove si trova lo svincolo perché lì non c’è illuminazione e quando c’è, è nascosta dagli alberi della villa abbandonata. Ho imparato in base alle macchine parcheggiate dove si trova esattamente lo svincolo e finora ho sempre indovinato. Mi capita di rimanere ferma lì anche per interminabili minuti, perché le auto sfrecciano e gli automobilisti non vedono l’ora di investire una ciclista. No, non è così, sto esagerano, ovvio. Di rado qualcuno si ferma per farmi passare e quando il miracolo avviene, solitamente c’è un motorino in agguato pronto ad investire una ciclista nella notte. Sto ancora esagerando ma meno, molto meno. Poi, come per miracolo riesco ad inserirmi in mezzo alle auto e ai motorini e proseguo fino al semaforo e aspetto per svoltare un'altra volta, in un'altra direzione.

Qualche sera al mese, non ho mai contatto quante volte, ma capita piuttosto spesso, la via non è illuminato per lunghi tratti. Certo, indosso il giubbotto catarifrangente per essere visibile, ho tutte le luci di appoggio possibili (non tante che non voglio che la mia bici sia paragonabile ad un albero di Natale), e, solitamente, canto in modo che non ci siano dubbi sulla mia presenza. Ma tra buche che spesso sono voragini e niente illuminazione mi sento un bersaglio troppo facile. Qualche sera fa, finalmente mi sono risposta, sì, mi ero, tempo addietro fatta una domanda e solo ora mi sono data la risposta. Mi sono chiesta a cosa servissero i militari di fronte alle due ambasciate vicino allo svincolo e la risposta, quella che mi sono data, è stata semplice: se vengo investita per via della scarsa (o mancata) illuminazione, mi basterà strillare e qualcuno verrà in mio soccorso. E se perdo la voce? Anche questa domanda mi sono fatta. Impossibile, mi sono risposta, quando mai mi mancherà la voce, quando mai diventerò afona? Mai. Con l’immenso dispiacere di mia madre che, da sempre, sogna mio padre ed io completamente afoni.
La sicurezza inizia, secondo me, da strade illuminate, da quartieri illuminati. E non mi riferisco solo alla sicurezza dei ciclisti. Ovviamente.






 
 
 

Al femminile, ovvero prove pratiche di dialogo

Post n°482 pubblicato il 23 Gennaio 2009 da quotidiana_mente
 
Tag: Bacheca





Dal blog di Paolavolpoca e dal blog di Mac Raiser


Per chi fosse interessato...

Nei giorni scorsi, con alcune blogger di questa piattaforma, abbiamo avuto modo di confrontarci , a margine delle discussioni su censure, blocchi, bannazioni, regolamenti e quant'altro, su un tema che ci sta comunque a cuore: la dignità della figura femminile. Avendo riscontrato singolari incongruenze tra quanto siamo invitati a fare per regolamento e quanto viene invece proposto sulla home page di Libero, abbiamo deciso di chiedere un confronto alla redazione di Libero News. Ne è nata la lettera che allego in calce. Le immagini, per evidenti motivi di buon gusto e rispetto, non sono visibili se non seguendo il link. 

Gentile Redazione di Libero News,

siamo un gruppo di blogger di questa piattaforma, che nei giorni scorsi si è trovato a riflettere e a discutere con gli amministratori di regole, regolamenti, abusi, immagini lecite e non lecite. Regole e regolamenti che siamo chiamati a rispettare quando ci iscriviamo a determinati servizi, pena sospensione dei nostri blog e nick.

Appare evidente che, dal momento che la nostra adesione è volontaria, la condivisione o meno delle regole non sia in discussione: o le accettiamo, oppure cambiamo piattaforma. Semplice e lineare.

Ci sembra però alquanto stridente il contrasto tra le regole al cui rispetto siamo stati tutti (in quanto community) richiamati da un recente post su Mondo Libero e le vostre scelte redazionali. In questa community è stato rimosso un post che raccontava ironicamente il rapporto amoroso tra due suini, mentre sulla home page di Libero sfilano tutti i giorni immagini che vanno oltre il pecoreccio e che sono decisamente lesive dell’immagine femminile.

Noi veniamo richiamati a un’attenzione ai modi, ai toni e alle immagini che utilizziamo nei nostri blog e profili,  nel rispetto della sensibilità di altri utenti e soprattutto dei minori che comunque frequentano il portale e la community, mentre voi presentate quotidianamente sulla vostra home page immagini, titoli e messaggi ammiccanti, allusivi, e finanche espliciti.

Vi domandiamo, a questo punto, qual è la considerazione e il rispetto che avete nei confronti delle donne, quotidianamente descritte solo in base alle loro caratteristiche fisiche e alle loro performance sessuali.

Non parliamo di fotogallery, sulle quali possiamo evitare di cliccare (anche se qualche riflessione sui commenti alle singole immagini non guasterebbe), ma di lanci che a rotazione compaiono sulla vostra home page: dunque visibili a chiunque vi acceda. 

Una “vulvanica” Valeria Marini, la tettona con le palle del GF, la culona J.Lo. Non sono cose che scriviamo noi: sono titoli vostri. “Mia figlia non è una puttana”, avete scritto qualche giorno fa, riferendovi alla madre della starlette del momento. Poi vi siete corretti da soli: come se un “pu..” o una “po...” (caso più recente) al posto del termine integrale ne diminuisse il peso e la portata. Persino per parlare di salute, il fianco largo diventa escamotage per l’immagine allusiva.

Qual è il messaggio che volete far passare, quando titolate “Fico, metterla all’asta funziona, ora è in tv”? Quale idea di donna propagandate attraverso questi titoli?

Non è pudicizia, la nostra. Siamo anni luce lontane da un moralismo di maniera. Siamo invece convinte che attraverso la vostra Home page voi stiate attuando un bombardamento mediatico discriminatorio nei confronti della figura femminile.

Vi invitiamo a leggere l’intervento, del maggio scorso, della senatrice Silvia Dalla Monica sul tema discriminazione e informazione a questo indirizzo:

http://www.women.articolo21.com/it/notizia.php?id=857

I giornalisti, gli operatori dell'informazione e della comunicazione, che ogni giorno lavorano con le parole e con i concetti, sanno di avere un privilegio che è anche, soprattutto, responsabilità: nei confronti dei lettori, dei cittadini, prima di tutto. Ecco perché credo che sia auspicabile un impegno delle istituzioni – pur nell'assoluto rispetto della libertà di espressione di ciascuno, e in particolare di chi informa - per la diffusione di una maggiore cultura dell'informazione corretta e senza stereotipi. […] Perché è attraverso i media – tv, stampa, radio, internet, ma anche la  pubblicità - che passa un messaggio di forte impatto che inevitabilmente contribuisce alla formazione della coscienza e della conoscenza diffusa.

Alcune di noi, più volte in passato vi hanno scritto, senza mai ricevere risposta. Ci farebbe piacere un confronto con voi su questo tema. Noi siamo pronte. Voi lo siete?

Questa lettera verrà pubblicata sul blog:
 
http://blog.libero.it/SPIEGATEMIQUESTO/view.php?nocache=1232640787

Ci farebbe piacere un pubblico dibattito.

[E a riprova che quanto scriviamo non sono fantasie nate da isterismi femminei, alleghiamo alla presente due collage delle “perle “ più recenti raccolte in home page e nelle pagine interne. Il colpo d’occhio è notevole, davvero.] Le immagini sono consultabili a questi link:

http://digilander.libero.it/SandaliAlSole/collage.JPG 
http://digilander.libero.it/SandaliAlSole/collage2.JPG

 

In attesa di un vostro cortese riscontro, salutiamo
SandaliAlSole 
http://blog.libero.it/sconfinando
Paola Volpoca http://blog.libero.it/paolavolpoca

 

Alle intenzioni espresse in questa lettera, aderiscono le seguenti blogger della piattaforma:
elbirah                         
http://blog.libero.it/elbirah
arabafelice0                   http://blog.libero.it/LALUNAVIOLA
carpediem56maestral0    http://blog.libero.it/carpediem56
non.sono.io                   http://blog.libero.it/radamantis
dott_guerrieri                 http://blog.libero.it/buonasanita
pazzaserialkiller666        http://blog.libero.it/omicidi3
coramaro                      http://blog.libero.it/discursci
fede_a_93                     http://blog.libero.it/birra4ever/view.php?nocache=1232396187
punksenzadyo               http://blog.libero.it/punksenzadyo
utauf                            http://blog.libero.it/Sruzblog
anna0772                     http://blog.libero.it/quaderni
il.fiore.di.carta               http://spazio.libero.it/il.fiore.di.carta
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