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Messaggi di Dicembre 2013

 

UMANO COME NOI, DIVINO COME IL PADRE GESU' NOSTRO FRATELLO

Post n°738 pubblicato il 22 Dicembre 2013 da sebregon

NATALE 2013


 


 

Nel giro del tempo ritorni

A ricordarci lo splendido giorno

In cui vestite  le  forme da te stesso create

Sei uscito dal seno di tua mamma Maria

Per venire qui nel mondo

In coraggiosa presenza.

Per la terra fu la più fulgida notte

Mentre dai cieli piovevano angeli

A cantare gloria a Dio

E dirci come prima e divina notizia

Quanto infinitamente Egli ci ami.

Dio ora non è più tra le stelle

O nei pensieri di chi ardito lo cerca

Ma in una umana carne formato

Pronto a crescere ed a dirci la sua parola.

Ma che bisogno aveva d’essere come noi?

Non l’avremmo forse accolto

se fosse venuto solo vestito di luce?

Così ama pensare l’umana progenie

Quando gioca con le  idee come se fosse su pista da ballo

Dimenticando di che dura pasta è fatto il cuore dell’uomo.

E Dio che ben sapeva quanto fosse facile

Catturarlo in un sistema d’idee

volle venire a fare concreti gesti d’amore

chè nessuno potesse mettere Dio sul trono

e poi girando la testa violentare le sue creature.

Caro bambino Gesù

Sei venuto a farci conoscere il Padre

E  grazie a te siamo figli e fratelli.

C’è forse qualcosa più grande di tale parentela?

Se fossimo solo creati da Dio

Saremmo come le piante e gli animali

Ma qui c’è qualcosa di più, c’è il desiderio di Dio

D’ascoltare le nostre parole

D’avere con noi un intimo gioco d’amore.

Ed eccolo venuto qui neonato

Pronto ad attraversare il suo tempo

Fino alla fine, fino alla morte

Che non lo tenne in mano neppure un istante

ché risorse il Signore

Per essere sempre luce e conforto nel nostro cammino.


Gabriele Patmos

 

 

 

 

 

 
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PASSANO I SECOLI E GLI ANNI MA LE PROMESSE DI DIO NON TRAMONTANO: DA ABRAMO A GESU' SI SONO REALIZZATE

Post n°737 pubblicato il 16 Dicembre 2013 da sebregon
 


FERIA DI AVVENTO
martedì 17 DICEMBRE 2013

 


 




Mt 1, 1-17

 
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Àcaz, Àcaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.


Non posso dire che questo brano mi susciti particolare emozione… e come parola evangelica su cui riflettere non sembra particolarmente significativa per noi. Ma questa genealogia di Gesù Cristo - figlio di Davide, figlio di Abramo, ecc. – è evidentemente funzionale all’obiettivo dell’evangelista Matteo di dimostrare agli ebrei che Gesù realizzava la condizione principale delle profezie messianiche: provenire dalla discendenza di Abramo e di Davide, ovvero confermare la fedeltà della promessa fatta ad Abramo e alla sua discendenza.

 

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E visto che era facile aspettarsi la venuta di un Messia “glorioso” e di nobili natali, questo freddo elenco di nomi diventa significativo nel collegare Gesù alla storia di uomini “normali”, appartenenti a un piccolo popolo del Medio Oriente. Un uomo, per intenderci, come noi. E in questo sta la grandezza del suo messaggio.

 

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Alessandra Callegari

 
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SIAMO AMATI CON LO STESSO AMORE CON CUI IL PADRE AMA GESU, SUO ETERNO FIGLIO, SIAMO O NO FORTUNATI?

Post n°736 pubblicato il 13 Dicembre 2013 da sebregon

14 DICEMBRE

SAN GIOVANNI DELLA CROCE (m) 

 

 

 

 

 

 


Gv 15,9-17

 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli;
«Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. 
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri
»

 

Noi nulla sapevamo di questo amore rivelatoci da Gesù. Sul nostro orizzonte umano conosciamo sì gradazioni d’amore da quello degli sposi a quello dei genitori verso i figli o a quello vissuto  nell’amicizia ma nulla sapevamo di un amore che attinge la sua forza su qualcosa che viene prima dei legami di sangue o di quelli puramente affettivi.

 

.

 

 

 

 

.

Questo amore arriva da lontano ed ha la sua origine in quello del Padre che ama Gesù. Della qualità di questo amore siamo investiti. Allora occorre chiedersi come può essere un amore così dal momento che noi conosciamo solo l’amore umano.

 

.

 

 

 

 

.

 

Ed a questa domanda potremo rispondere solo contemplando la passione, morte e resurrezione del Signore. Sul monte Tabor Gesù parla della sua morte con Elia e Mosè e subito dopo si manifesta la voce del Padre che dice a Pietro , Giacomo e Giovanni di ascoltare il suo Figlio diletto. Il Padre dunque sa a che cosa sta andando incontro Gesù ed esortando i discepoli ad ascoltarlo ci introduce in una modalità d’amore per noi completamente sconosciuta.

 

 

.

 

 

 

.

 

Quale padre infatti potrebbe facilitare la strada ad un figlio che mostra l’intenzione di fare passi che sicuramente lo porteranno alla morte? Quest’amore dunque segue strade diverse che nulla hanno a che fare con il togliere il Figlio dalla strada che liberamente ha deciso di percorrere.

 

.

 

 

 

 

.

 

Allora deve essere un amore che va oltre ed altra cosa  dall’esercizio che noi ne facciamo in ordine a quelle ristrette cerchie in cui lo viviamo.  E’ un amore che è perfetto nel suo scambio dal Padre al Figlio e viceversa  ma che non è perfetto come potremmo intenderlo noi e cioè come autosufficienza.

 

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E’ un amore invece che trova nel donarsi la perfezione della sua legge che non abbandona essendo capace di tenere forte in mano la vita: il Padre risorge Gesù. Ecco noi siamo inseriti in questo stesso amore che il Padre ha per Gesù e dunque come lui attraverseremo la morte fisica ma saremo tenuti saldamente nelle mani della vera vita del Padre.

 

 

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Gesù con queste parole non vuole introdurre i discepoli in filosofie esoteriche ma dà loro delle chiavi interpretative per affrontare e capire ciò che succederà dopo e cioè la sua morte e la sua resurrezione. San Paolo dice che se Gesù non fosse risorto allora  cadrebbero tutte le sue parole e noi non saremmo costituiti  come figli del Padre amati dallo stesso amore con cui ama il suo figlio  Gesù. Ed in forza di questo amore eterno portato nel tempo che Gesù chiede d’essere ascoltato quando esorta i discepoli ad osservare i comandamenti del Padre suo che sono quelli di entrare in questo modo d’amore in cui il livello divino è il perno fondante e quello umano il chiamato a riceverne l’impronta e cioè di viverlo con la stessa sua dinamica: riceverlo e donarlo: amatevi gli uni gli altri»

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo che sei il perno di questo via vai d’amore infinito tra il Padre ed il Figlio aiutaci a viverlo sempre più profondamente e con sempre maggiore verità.

 

Gabriele Patmos

 
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QUANDO SIAMO CON LA BOCCA SECCA ABBIAMO BISOGNO D'ACQUA COSI' QUANDO LO SPIRITO E' SENZA LUCE HA BISOGNO DI DIO

Post n°735 pubblicato il 11 Dicembre 2013 da sebregon

II settimana di AVVENTO – Giovedì

 

 

 

 


Is. 41, 17


I miseri e i poveri cercano acqua, ma non c’è; la loro lingua è riarsa per la sete. Io, il Signore, risponderò loro, io, Dio d’Israele, non li abbandonerò.

 

Una poesia bellissima di Padre Turoldo, dall’andamento ritmico come solo lui riusciva a donare alla poesia si intitola “Il canto della sete” e racconta la sete di tutte le cose  che sfocia nel grido di Gesù sulla croce (anzi, come scrive Turoldo, sull’albero). Mi è subito venuto in mente questo canto che vi invito a leggere, anzi a pregare e a gustare (come si fa con la poesia, particolarmente quella di Turoldo) mentre leggevo questo versetto che la liturgia dell’avvento prende dal libro del deutero Isaia, il libro della consolazione di Israele, del ritorno del Signore in Sion e dei progetti di Pace, di Dio che si fa difensore del popolo che è un popolo definito come “vermiciattolo di Giacobbe” e “Reietto (Rigettato) delle nazioni”.

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A questo popolo Dio non dà più leggi e comandamenti, rituali o cerimoniali o sacrifici, ma fa semplicemente delle promesse, che alla fine si sintetizzano in una promessa sola: Io sarò con voi, io (come dice questo versetto) non vi abbandonerò. L’unica cosa che richiede è che riconosca la sua povertà e il suo bisogno.

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Vi immaginate se in una giornata caldissima pur di non bere e di lamentarsi ci ostinassimo a dire “Non ho sete!”?  Eppure noi viviamo in una società che preferisce non bere e dire “non ho sete” piuttosto che riconoscersi poveri e miseri anzi, mettiamo spesso il nostro bisogno davanti a tutto pur di no essere aiutati e di non accogliere Colui che già adesso ci sta rispondendo, che già è presente in mezzo a noi e che, se solo glielo chiedessimo, farebbe sgorgare fiumi di acqua viva dal nostro cuore che laverebbero le brutture di cui noi ci gloriamo.

 

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E diventiamo così come il cattivo di “C’era una volta il west” che era partito per vedere l’oceano e muore miseramente di fronte a una pozzanghera. Ma come ci risponde Dio? Proprio condividendo la nostra sete. E allora giustamente Padre Turoldo fa sfociare la sete di tutte le cose nella sete di Dio dalla croce. Sì Dio ha sete, ancora oggi Dio soffre la sete. Dio ha sete di te, della tua vita che vuole sia una vita a disposizione dei progetti di pace e di bene che egli ha, Dio ha sete che la tua vita sappia spegnere la sete dei fratelli che è sete di Lui, che è la sua stessa sete.

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Anche a noi Dio non dà più leggi e comandamenti, ci ha dato Cristo, da cui escono fiumi di grazia capaci di dissetare il mondo intero per sempre. Dice infatti nel Vangelo di oggi che “La legge e i profeti hanno profetato fino a Giovanni”  intendendo così che dopo di lui non servono più profezie, perché la Profezia è Lui stesso. Mi piace allora concludere citando l’ultima delle 11 tesi su Feuerbach di Carl Marx. Giovane filosofo egli scriveva “I filosofi finora hanno interpretato il mondo, ora si tratta di cambiarlo”.

 

La nostra vita e la Parola

Dio con noi, tu sei il Dio che ha sete, che ha fame, che condivide il nostro bisogno, e che si fa bisognoso di Noi, per portare a compimento i suoi progetti, guidaci a condividere quello che siamo, prima di quello che abbiamo, il nostro bisogno, prima delle nostre capacità, a saper guardare al bisogno dei fratelli per poter insieme a loro dissetarci in te e cambiare il mondo trasformandolo con te in un giardino dove tu passeggi con noi e rimani nostro amico, per sempre. Amen


Elia Spezzano

 
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LA LUCE DI DIO E LA SUA BENEVOLENZA SONO STABILI SU DI NOI: APRIAMO GLI OCCHI!

Post n°734 pubblicato il 09 Dicembre 2013 da sebregon

II SETTIMANA DI AVVENTO - MARTEDÌ

 


 

 

 

 
Mt 18, 12-14


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda».

 

 

E’ sulla roccia di queste parole: “Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda»”, che possiamo sperare ed essere certi che la morte non prevarrà su di noi. Prima di ogni nostro rifiuto e di ogni nostro essere perduti in un deserto senza speranza c’è  una volontà più forte che tanto ci ama da far di tutto per raggiungerci e salvarci.

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E se noi non volessimo questa salvezza? Egli potrebbe raggiungerci e noi dirgli di no. Ora io mi chiedo se questo sia possibile… forse… in qualche caso… perché se uno è con l’acqua alla gola e vede avvicinarsi una mano che vuol tirarlo su la rifiuterà o si aggrapperà? Io dico che si aggrapperà e poi ringrazierà chi l’ha salvato.

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Non riesco a pensare diversamente. Ma allora se è così vi potrà essere mai qualcuno che non sia salvato? Bella domanda a cui è difficile rispondere ma forse il testo evangelico ci offre una pista per entrare in questo mistero profondo. Infatti il testo dice: “ Se riesce a trovarla” e ciò vuol dire che può anche non trovarla.

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Ma  è mai possibile che Dio non trovi la sua creatura per salvarla? Impossibile ed allora bisogna credere che non è il Signore che non trova la sua creatura ma che questa  non vuole farsi trovare. E nonostante questo rifiuto le belle parole di Gesù ci dicono che la volontà del Padre rimane tetragona nel volere che ‘neanche uno di questi piccoli si perda’.

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Oggi occorre che tutti diventiamo come il pastore che va a cercare la pecorella smarrita. Il mondo ha bisogno di scoprire l’esistenza di un Padre così buono e proprio per questo è stato indetto da Benedetto XVI l’anno dedicato all’evangelizzazione.

 

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Ora si è concluso ma non si può mai chiudere questa necessità impellente di far conoscere attraverso Gesù l’esistenza di un piano di salvezza che vuole farci entrare nella pienezza della vita divina.

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Molte carte lungo la storia ce le siamo giocate noi cristiani ma quando ci avviciniamo al cuore del messaggio di Gesù ed alla sua vita non possiamo che ripartire sempre a cercare la pecorella smarrita. Certo avendo sempre presente che quella pecorella potremmo essere noi in prima persona ma non facendosi scudo di questa consapevolezza per non darsi da fare e non cercare nuovi modi per far conoscere il nostro tesoro.

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo, che leghi il Padre ed il Figlio con il tuo fuoco d’amore dacci fede, forza e coraggio per aiutare chi si trova nelle tenebre della morte.


Gabriele Patmos

 
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OGGI OGNUNO DEVE CHIEDERSI COSA VUOLE ESSERE : MERCENARIO O PASTORE

Post n°733 pubblicato il 07 Dicembre 2013 da sebregon

SANT'AMBROGIO vescovo e dottore della Chiesa (+397)




 

Gv 10,11-18

In quel tempo, Gesù disse: 
«Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio».

 

Il buon pastore è un’immagine che ho sempre amato, fin da piccola. Il buon pastore non abbandona il suo gregge nei momenti difficili, anzi li affrontano insieme,perché lui è lì, staIl buon pastore accoglie e conduce anche pecore che non sono del suo gregge, se necessario. Non fa differenze.

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soprattutto non lo fa per soldi, ma perché ci crede, è la sua missione.Un’immagine, letta ora da adulta, che vedo unire l’archetipo materno e quello paterno: accoglie e tiene insieme, protegge e mette confini, lascia andare e riprende. È in sé un’unica coppia genitoriale, yin e yang.

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Il buon pastore è come il TAO! E l’invito di questo brano è di essere anche noi così, dei buoni pastori che nella nostra vita valorizziamo le qualità genitoriali, applicabili avendo dei figli, ma non solo.

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Per questo, leggendo oggi questo brano mi viene in mente il lavoro che faccio con il corso di formazione della scuola di counseling creata insieme a un caro amico. Da nove anni conduciamo un corso che è sì, anche, di formazione professionale, ma è soprattutto un percorso di crescita personale. E siamo, in effetti, una coppia genitoriale, un insieme – anche per via dei nostri due diversi caratteri – di paterno e di materno che a volta si scambia e si mescola.

 

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Da noi arrivano persone diversissime per età, professione, cultura, stato sociale. E il minimo comune denominatore è di crescere insieme. E noi con loro.Sento questo lavoro – per me che non ho figli - come una opportunità straordinaria di crescere io, nel valorizzare il mio maschile e il mio femminile. E di essere madre e anche un po’ padre delle persone che a noi si affidano per un tratto del loro viaggio. E che a loro volta, così, crescono nel loro essere sempre più dei buoni pastori di altri.

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Alessandra Callegari

 
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FACCIAMO SEMPRE MENO DI CIO' CHE POTREMMO FARE. L'ESSENZIALE E' NON DIRE SOLO 'SIGNORE, SIGNORE' E NON FARE NIENTE

Post n°732 pubblicato il 04 Dicembre 2013 da sebregon

I SETTIMANA DI AVVENTO - GIOVEDÌ



 

 


Mt 7, 21.24-27


 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia.Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».



La casa sulla roccia per guardare ai venti che scuotono la nostra vita personale e comunitaria.

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La casa sulla roccia per stare senza paura di fronte a tutti i problemi irrisolti.

 

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La casa sulla roccia non per frenare l'impeto del vento dei desideri e la pioggia delle emozioni, ma per guardare alla loro dissoluzione e trasmutazione.

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La casa sulla roccia per guardare allo straripamento dei nostri pensieri.

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La casa sulla roccia per constatare/accettare che viviamo in un territorio dissestato che è la nostra vita.

 

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La casa sulla roccia dove dopo la bufera la mente tace e si apre un spazio di silenzio.

 

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Vanruis Groendal

 #lacasasullaroccia

 
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RIMANERE PICCOLI E' IL SEGRETO PER RICEVERE LE RIVELAZIONI DEL PADRE

Post n°731 pubblicato il 03 Dicembre 2013 da sebregon

3 DICEMBRE
I SETTIMANA DI AVVENTO - 
MARTEDÌ
SAN FRANCESCO SAVERIO 
(m) 

 


 


 


 
 Lc 10, 21-24


 
In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».

 

Anche a noi sarebbe piaciuto conoscere di persona il Signore Gesù tuttavia se fossimo stati là nel suo tempo come ci saremmo comportati? Avremmo capito subito l’occasione d’oro che avevamo davanti o avremmo fatto parte dei più, anche buoni, ma che lo seguivano solo per  i miracoli per abbandonarlo poi quando sarebbero sorte le difficoltà? 

 

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Noi oggi siamo in qualche modo più fortunati di tanti di allora non solo perché gli crediamo senza averlo visto di persona, ma anche perché usufruiano del patrimonio teologico che la Chiesa ha tesaurizzato in questi duemila anni di storia e delle testimonianze di coloro che hanno creduto nel Signore anche dando la  vita.

 

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                 Shahbaz Batti, ministro pakistano cristiano ucciso dagli estremisti.

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L’occasione della gioia di Gesù è data dal ritorno dei 72 discepoli da una missione dove avevano scacciato i demoni nel suo nome.  Gesù è contento perché i discepoli gli avevano creduto. Il motivo della sua gioia è legato al fatto che sono i piccoli ad aver ricevuto le rivelazioni del Padre e non i sapienti ma non perché ce l’avesse con costoro ma semplicemente perchè si sono rifiutati di credergli.

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I ‘sapienti’ hanno come riferimento un mondo di idee, le loro, e difficilmente riescono a collocarsi con umanità a livello delle persone e dei tesori che racchiudono nel cuore. Questo tipo di sapienti non si fa educare dalla vita perché volgendo la mente ai grandi sistemi passano il tempo a vedere se le occorrenze del quotidiano possono o no entrare in questi loro schemi.

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Ad es. se uno non ha nella vita avuto mai l’occasione di incontrare la sfera religiosa arriverà presto alla conclusione che essa è inutile e se poi vorrà essere più radicale dirà che le sue implicazioni rendono l’uomo un alienato perché  spostano la sua attenzione dalla terra al cielo e cioè da un mondo concreto ad un altro fantastico ed inesistente.  

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Questo modo di procedere è da falso ‘sapiente’ e falso ‘dotto’ perché porta l’esperienza di questo singolo, o di un insieme che la pensa nello stesso modo, a regola generale. Più onesto sarebbe dire: “ La mia vita fino ad adesso credo di averla vissuta bene senza l’aiuto di alcuna credenza religiosa e nello stesso tempo non mi precludo niente perché tutto è vita”.

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Ritrarsi a priori da possibili esperienze perché si è deciso che Dio non esiste è prendere per oro colato ciò che suggerisce una ragione che ha così tanti buchi da non poter essere considerata la bocca della verità. Gesù gioisce perché i discepoli si sono affidati alla sua parola portando a casa pieni di gioia un risultato strepitoso.

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo quanto più ci affidiamo alle parole di Gesù tanto più davanti a noi si aprono le vie della vita: aiutaci allora in questo cammino di affidamento.

 

Gabriele Patmos

 

 
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