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Mi appello a quello che dici Nino D'Angelo "Salviamo il teatro del popolo"

Post n°1174 pubblicato il 26 Luglio 2010 da hesse8

 

«Salviamo il Trianon, teatro del popolo» Appello di Nino D'Angelo

Questi sono giorni difficili per il Trianon Viviani, il teatro che dirigo da qualche anno e che rischia di chiudere (pur avendo avuto nell’ultimo anno il numero di abbonati più alto di qualunque altro teatro pubblico della Campania), a causa di debiti pregressi e mutui non pagati da parte dei soci Regione e Provincia. Abbiamo chiesto vari incontri con questi ma le risposte sono venute dal freddo silenzio e dalle loro assenze ai vari consigli di amministrazione.

Finalmente ieri si sono presentati ma solo per portare l’idea di come deve cambiare il Trianon Viviani prima di salvarlo. L’idea sarebbe di farne un museo della canzone napoletana …..geniale!.... visto che già ce ne sono due. Ma poi mi chiedo: con tanti teatri che non funzionano perché proprio il Trianon che va benissimo dovrebbe essere cambiato? Forse perché a Forcella quando qualcosa funziona bisogna annientarla, altrimenti la gente si abitua allo stare bene e non vuole più stare male. Attenzione, stanno per uccidere il teatro del popolo, stanno per uccidere il diritto alla cultura per chi non ha avuto possibilità di farsela. Stanno per sopprimere una giustizia conquistata con il lavoro di dieci operai, che stonati da tante promesse non sanno più a chi credere. Onorevoli e Assessori che si auto eleggono direttori artistici con idee che non sono mai idee nuove ma progetti già falliti. Hanno deciso il giorno dell’esecuzione: 20 settembre 2010, quando non ci sarà più tempo per fare il cartellone, già presentato da me due mesi fa; ma oggi ho capito che non si farà mai.

Mi stanno dimettendo. Sì, perché così facendo non mi danno la possibilità di fare bene il mio lavoro e troveranno un alibi bugiardo per farmi apparire inefficiente agli occhi di chi mi stima. Ma io non sono poi così fesso, io vengo dal poco e per fare tutta questa strada ho dovuto crescere, e crescendo ho imparato anche che quando vinci assai devono per forza farti perdere. Ho accettato l’incarico di direttore artistico di questa struttura quattro anni fa con immenso entusiasmo e con la passione di chi conosce i sentimenti delle persone umili. Era l’inizio di una nuova sfida, difficile, senza possibilità di rivincita, non potevo perdere, la posta era troppo alta: portare a teatro quella gente che per precarietà economica non ci poteva andare.

In quattro anni insieme a tutti i collaboratori del Trianon Viviani, siamo riusciti giorno dopo giorno, passo dopo passo, a dare una luce nuova ad un quartiere difficile, famoso solo per i pacchi e la camorra. Io invece qui ho capito tante cose: ho capito la solitudine quanto male fa, specialmente ai bambini che non hanno un metro quadrato di spazio dove correre e poi acchiapparsi per vincere un sorriso, perchè a casa non ridono mai. Qui ho capito la ‘strumentalizzazione sociale’, pane quotidiano di tanti sciacalli, pseudointellettuali e finti assistenti disoccupati; tutti maestri di strada che non hanno vissuto la strada, difensori di deboli che non sono mai stati deboli, inventori di progetti senza capo ne’ coda, sovvenzionati prima ancora di essere inventati.

Qui ho capito che la libertà non esiste più per chi è stato dentro: riabilitato non lo sarà mai e continuerà a cercare di sopravvivere sperando che non l’arrestino a Natale… perché glielo ha promesso al figlio. Qui ho capito che la coscienza non ci passa mai e la pazienza è stanca, proprio come il cuore di questo teatro. Qui ho capito che il destino non esiste, ma che ce lo costruiscono ogni giorno e noi non siamo mai noi, ma solo quello che gli altri vogliono che siamo. Qui ho capito che l’ignoranza è una grande fonte per i potenti perché possono dire ciò che vogliono senza essere contraddetti. Qui ho capito quanto fa bene una bugia a chi ti chiede di aiutarlo a cambiare. Qui ho capito che è un’utopia l’uguaglianza e che l’invidia è il sentimento che non farà mai decollare Napoli. Qui ho capito che l’emarginazione sta nel sorriso disperato di ogni persona che non si è mai venduta. Qui ho capito che non ci sarà mai un cambiamento, perché quelli che lo vogliono veramente sono talmente piccoli che alla prima offerta si venderanno ai grandi fregandosene dell’idealismo per cui hanno lottato. Qui ho capito che tutti possono fare tutto, tanto “che ce vo’ ?!”. Qui ho capito che la cultura non vogliono che sia un diritto di tutti. Qui ho capito che un teatro pubblico con 4000 abbonati è meglio che chiude se no si infastidiscono i piccoli privati, quelli che prendono contributi da una vita e nessuno gli chiede mai il conto.

Per favore, ditemi che non ho capito niente ma non distruggete per ‘colore’ o per un dispetto politico ciò che è stato fatto per questo quartiere grazie a un teatro rinato per essere un giocattolino per i borghesi nel cuore di uno dei quartiere più popolari di Napoli e oggi Teatro del Popolo nel vero senso della parola; perché il popolo lo ha chiesto, lo ha voluto e lo ha amato.

 
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