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Messaggi del 19/05/2008

Si da' fuoco perchè ha litigato con il datore di lavoro

Post n°637 pubblicato il 19 Maggio 2008 da hesse8

TORINO
- Riccardo La Mantia, un ventenne originario di Caltagirone (Catania),
si è dato fuoco all'interno della sua automobile in Via Orbetello a
Torino, davanti alla sede della ditta di componenti elettrici dove
lavorava. Il ragazzo avrebbe compiuto il gesto dopo aver litigato con
l'ex datore di lavoro. La Mantia è stato prima condotto all'ospedale
"Maria Vittoria", poi trasferito al reparto ustionati del Cto di
Torino. E' in condizioni gravissime, con ustioni di secondo e terzo
grado sul 95% del corpo. La prognosi è riservata. Ora il ragazzo è in
coma farmacologico, intubato e sedato. Undici anni fa il padre si era
suicidato nello stesso modo.

Beppe Palazzo, titolare della ditta, ha dichiarato agli inquirenti che
il giovane aveva ricevuto un'ammonizione scritta per inadempienze. "La
nostra è una piccola ditta artigianale di nove dipendenti - dice l'uomo
- e nessuno si può permettere di fare il fannullone, di danneggiare i
macchinari, di importunare le ragazze, di stare ore su internet".
Palazzo dichiara di essersi occupato di lui "come fosse un figlio".
"Negli ultimi giorni però - racconta l'uomo - aveva perso la testa per
una collega. L'ho richiamato tante volte e lui ha sempre fatto finta di
nulla. Ho cercato di aiutarlo, ma negli ultimi giorni non ce la facevo
più". Ora è sconvolto e si augura che Riccardo riesca a salvarsi.

Assunto nel 2005, La Mantia aveva avuto altri screzi con Palazzo. In
mattinata, al termine dell'ennesima discussione, avrebbe firmato una
lettera di dimissioni. Poi, il gesto estremo. Avvolto dalle fiamme, il
ragazzo sarebbe uscito dall'auto per farsi vedere dagli ex colleghi. Un
particolare, questo, che troverebbe conferma in un sms che il giovane
avrebbe mandato a una collega invitandola a guardare le telecamere
esterne della ditta.

Intanto Franco Pignataro, sindaco di Caltagirone conferma che si tratta
del figlio di Giovanni La Mantia, disoccupato che nel 1997 si suicidò
dandosi fuoco nella stanza del sindaco del comune catanese. Disperato
perché senza un impiego fisso, Giovanni La Mantia entrò con i vestiti
in fiamme nella stanza del primo cittadino Marilena Samperi, dopo
essersi cosparso il corpo con della benzina. Venne soccorso ma non ci
fu niente da fare.





Anche la vedova, Maria Cultrona, minacciò di suicidarsi se non fossero
state mantenute le promesse di lavoro fatte dopo il tragico gesto del
marito. Scagliandosi contro i politici disse: "Sappiano che mi stanno
costringendo a un gesto estremo come fecero con mio marito". In seguito
la donna fu assunta in una ditta di telefonia a Torino, al posto del
suocero Francesco La Mantia, andato in pensione. Ed ebbe un sostegno
economico anche dall'amministrazione comunale di Caltagirone, che a
Giovanni La Mantia ha intitolato una strada nel 2007.

A chi accusa il figlio di non essere un buon lavoratore la donna
ribatte: "A uno scansafatiche non si fa fare tanto straordinario, le
buste paga parlano chiaramente". E precisa: "Con la storia di mio
marito questa vicenda non c'entra nulla. Il papà di Riccardo cercava un
posto di lavoro, lui il lavoro ce l'aveva. Era in quella ditta da
cinque anni, è il suo titolare che deve spiegare perché voleva
costringerlo a licenziarsi".

Il figlio, continua Maria Cultrona, "aveva le chiavi per aprire
l'azienda, accendeva lui i computer. A una persona indisciplinata, che
non ha voglia di fare nulla, non si concede tanto. Quell'uomo deve
sperare che mio figlio esca con le sua gambe dall'ospedale, altrimenti
non avrà pace. I padroni devono pagarla a caro prezzo.
P.S. Mi viene un dubbio non vorrei perchè e' siciliano



 
 
 

+ informazione per tutti

Post n°636 pubblicato il 19 Maggio 2008 da hesse8







Il rischio di un'informazione di parte

















Diliberto, «Quale legge ha stabilito la soglia di sbarramento anche per l'accesso alla televisione?»



Image Il sistema dei media italiani vive un momento di grave crisi, un rischio di deficit nell'informazione e nella rappresentazione della realtà. Ci troviamo di fronte a
giornalisti a cui si chiede di presentare le proprie scuse
semplicemente per aver fatto il proprio mestiere, ad un servizio
televisivo pubblico sempre più vicino e simile alle televisioni
private, ad una legge sul conflitto d'interessi che non è stata fatta,
e forse non ci sarà mai. Ma in primo luogo ci troviamo di fronte ad un
restringimento degli spazi di espressione, ad una televisione che dà
voce solo ad alcuni soggetti e ad alcune forze politiche, lasciando
completamente fuori chi non è più in Parlamento, ma continua a
rappresentare milioni di italiani.

Già durante la campagna
elettorale i Comunisti italiani e le altre forze di sinistra avevano
sottolineato come i mass media veicolassero informazioni distorte,
dando l'impressione che il duello elettorale fosse solo fra Silvio
Berlusconi e Walter Veltroni, rafforzando il messaggio (più nella forma
che non negli spazi, definiti dal regime di par condicio vigente nel
periodo elettorale), del Pd e del Pdl: ci sono solo questi due grandi
partiti. Dopo le elezioni la situazione sembra addirittura peggiore,
infatti le forze politiche che non trovano espressione nel Parlamento e
nelle istituzioni sembrano non avere spazio neanche sui mezzi
d'informazione, che continuano a rappresentare solo una realtà
parziale, cioè non completa e di parte.

«Non siamo più in
Parlamento. Colpa nostra, certo. Ma anche dello sbarramento previsto
dalla legge elettorale. Ma quale legge ha stabilito la soglia di
sbarramento anche per l'accesso alla televisione?». La denuncia viene
lanciata dalle pagine de La Stampa da Oliviero Diliberto, segretario
del Pdci, che sottolinea come si stia assistendo non alla
semplificazione del sistema informativo, ma al suo azzeramento, c'è
l'idea che «se non sei in Parlamento non hai il diritto di svolgere le
tue argomentazioni dalle tribune televisive».
Tutto ciò ovviamente
mina la rappresentanza, il pluralismo, la dialettica e la libertà
d'informazione, che i media dovrebbero garantire, per di più in un
sistema, come quello italiano, che non è bipartitico.
Le forze di
sinistra dopo le elezioni sono state espulse dalla televisione pubblica
così come da quella privata, «unanimità di censura», la chiama
Diliberto, sottolineando il diritto dei cittadini ad essere informati,
«non a senso unico o sulla sorta di un duopolio del pensiero unico,
rappresentato da Pdl e Pd. Gli spazi di libertà che oggi vengono negati
ad uno – conclude il segretario dei Comunisti italiani – domani
potrebbero essere negati ad altri: il danno, alla fine, sarà di tutti».

 
 
 
 
 

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