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Messaggi del 10/07/2008

La proposta di yunus per il premio nobel

Post n°699 pubblicato il 10 Luglio 2008 da hesse8
Foto di hesse8

Il Nobel Yunus: sostengo il premio per Ingrid

Il «banchiere dei poveri» rilancia la sua sfida per un mondo senza povertà. E in un’intervista a Umberto De Giovannangeli per l’Unità
parla anche di Ingrid Betancourt ed esprime la propria adesione alla
campagna del nostro giornale per il Nobel per la Pace alla Betancourt.
Muhammad Yunus, premio Nobel per la Pace nel 2006, è a Roma per
presentare il suo ultimo libro, «Un mondo senza povertà» (Feltrinelli, 2008).

Quale significato può assumere l’assegnazione del Nobel per la Pace a Ingrid Betancourt?

«È già un grande onore essere nominata, essere candidata al premio
Nobel. Anche se poi il premio non viene assegnato alla persona
candidata, è comunque una forma di visibilità che le si dà, è portare
l’attenzione su un personaggio. L’essere indicata al Nobel è già un
importante riconoscimento che Ingrid Betancourt merita».

Ingrid
Betancourt si è battuta per i diritti di un popolo. E tra questi
diritti universali c’è l’affrancamento dalla povertà. «Un mondo senza
povertà», è il titolo del suo ultimo libro. Senza povertà: una
speranza, un’illusione o è un progetto realizzabile?

«È
una convinzione. Io sono assolutamente convinto che un mondo senza
povertà sia fattibile ed è un obiettivo che può essere realizzato molto
presto. Si riallaccia oltretutto a quello che è il primo obiettivo del
Millennio. che consiste nel dimezzare la povertà nel mondo entro il
2015. Se un tale obiettivo è fattibile, è altrettanto fattibile
l’assoluta e totale eliminazione della povertà entro lo stesso periodo
di tempo di 15 anni».

Con «Il banchiere dei poveri»
(Feltrinelli 1998) lei ha raccontato la storia straordinaria della
fondazione della Grameen Bank (un istituto di credito indipendente che
pratica il microcredito senza garanzie e che è diffuso in 57 Paesi) e
la nascita del sistema del microcredito. A che punto è questa
rivoluzione?

«In Bangladesh l’80% delle famiglie povere ha
avuto accesso al microcredito. La Grameen Bank da sola ha 7,5 milioni
di clienti; altre istituzioni di microcredito hanno una ulteriore
clientela di 7,5 milioni di persone, quindi in totale possiamo dire che
15milioni di famiglie sono state raggiunte da questo sistema. In tutto
il mondo i dati che ci sono stati comunicati indicano che 130 milioni
di famiglie hanno potuto avere accesso al microcredito».

Sulla
globalizzazione sembra che si siano formate due scuole di pensiero: chi
demonizza la globalizzazione, chi invece la esalta acriticamente. Qual
è il suo punto di vista?

«Il mondo è diventato un
“villaggio”. La parola globalizzazione fa riferimento al mondo come
villaggio, quindi diversamente da duemila anni fa quando tutto era
molto distante, oggi il mondo è molto ravvicinato. In un villaggio non
si può dire a un vicino non ho voglia di parlare con te: i bambino
giocano assieme, si va a fare la spesa allo stesso mercato, si lavora
fianco a fianco...In un tale contesto, oggi non si può dire di essere a
favore o contrari alla globalizzazione, nel senso che si tratta di una
realtà, che ci piaccia o no, con la quale dobbiamo convivere. Quindi
bisogna chiedersi se abbiamo una giusta globalizzazione o se siamo
destinati, condannati, a muoverci nella direzione che ci porterà a una
globalizzazione sbagliata. Se non abbiamo una immagine in mente di
quella che è la giusta globalizzazione finiremo con avere la
globalizzazione sbagliata. Nell’ambito del concetto di una giusta
globalizzazione, tutti devono trarre vantaggio dalla globalizzazione;
quindi dovrebbe essere un sistema di relazioni in cui tutti guadagnano
qualcosa, ne traggono beneficio. Non è accettabile una situazione nella
quale il Paese potente, la grande compagnia si accaparrano tutto a
discapito dei poveri. Ho parlato di un “codice della strada” per la
globalizzazione, affinché tutti possano conoscere quelli che sono i
limiti, i diritti e gli obblighi. Abbiamo anche bisogno dei cosiddetti
“vigili urbani” e di una autorità addetta al “traffico”, in modo tale
che questa globalizzazione si possa muovere nella direzione giusta».

Lei mette insieme due termini che sembrano antitetici: business e sociale. Come si fa a conciliarli?

«Sembra una contraddizione, perché il sistema capitalistico ci ha
parlato finora di un unico tipo di impresa, che è l’impresa orientata
al profitto. Ciò che io sto cercando di fare è attribuire un nuovo
significato alla parola “business”: una impresa volta a fare del bene,
ed è questo il significato dell’espressione “social business”, impresa
con finalità sociale, proprio per distinguerla dalla tradizionale
impresa orientata al profitto. Da una parte c’è l’impresa capitalistica
che mira alla massimizzazione del profitto, “tutto deve venire a me”;
l’altro tipo di impresa, quella che io propongo, consiste invece nel
fare bene il bene per gli altri, e questo è il suo unico obiettivo,
quindi “non faccio nulla per me”. Vediamo quindi che abbiamo due tipi
di impresa: entrambe possono convivere sullo stesso mercato,
perseguendo due tipi di obiettivi diversi. Ciò di cui sono fermamente
convinto è che sia giunto il tempo che la nuova idea del business
sociale guidi la prossima grande trasformazione del mondo. È tempo che
la visione di un mondo in cui la povertà sia solo un ricordo del
passato si trasformi in realtà. Vede, nel mio lavoro con la Grameen
Bank ho conosciuto bene i più poveri fra i poveri. Da questa esperienza
mi viene una fede incrollabile nella creatività degli esseri umani.
Nessuno nasce per soffrire le miserie della fame e della povertà e in
ogni povero è nascosto un potenziale di successo pari a quello di ogni
altro essere umano. È possibile eliminare dal mondo la povertà proprio
perché è una condizione innaturale che agli esseri umani può solo
essere imposta con la forza».

Ciò che lei auspica è anche una «rivoluzione» culturale e una rivolta delle coscienze...

«È così. La ragione per cui la povertà non è sconfitta è proprio perché
noi accettiamo l’idea che sia inevitabile. Perché se veramente
affermassimo con convinzione profonda che la povertà è inaccettabile e
incompatibile con la civiltà umana, allora sapremmo bene come creare le
istituzioni e compiere le scelte politiche adatte a estirparla dal
mondo».

Per tornare all’attualità più stretta. Oggi
(ieri, ndr.) è iniziato in Giappone il vertice del G8. Il Papa ha
lanciato un appello perché i Grandi aiutino i poveri. Ma
un’organizzazione come il G8 può davvero aiutare quel business sociale
da lei sostenuto?

«Il G8 rappresenta tutti i Paesi ricchi
del mondo: i leader del G8 non sono semplicemente degli individui, essi
rappresentano lei e rappresentano le persone che compongono quegli otto
Paesi. Qualsiasi cosa quei leader diranno, lo diranno per conto del
popolo che rappresentano. Quando il Papa lancia un appello a questi
leader, in realtà lancia un appello ai popoli rappresentati da questi
leader».

L’ultima domanda è molto personale: i suoi
assistenti mi hanno raccontato dei festeggiamenti spontanei che lei ha
ricevuto ieri a Roma da tanti membri della comunità del Bangladesh a
Roma. Come ci si sente in questo ruolo di «star»?

«Devo
dire che mi sento molto a mio agio in questo ruolo nella misura in cui
sono molto felice che queste persone mi sentano a loro vicino; questa
prossimità con la gente è davvero molto, molto importante. E devo dirle
che non sono soltanto le persone della comunità del Bangladesh, ma
anche persone che appartengono ad altre nazionalità, e non soltanto a
Roma, ma anche in altre città e in altri Paesi sempre più mi
riconoscono per quello che dico e per ciò che faccio. Sono persone che
accolgono con entusiasmo il messaggio che io porto».

 
 
 
 
 

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