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Messaggi del 14/02/2009

Amare significa anche difendere il suo territorio

Post n°848 pubblicato il 14 Febbraio 2009 da hesse8

Vicenza, settemila in corteo: «Non siamo un'associazione a delinquere»

di Paola Zanca


Giovanni Rolando, a Vicenza, fa il consigliere comunale, capogruppo della lista civica che sostiene il sindaco Variati. Un uomo delle istituzioni, non certo un ribelle scalmanato, come vorrebbero dipingere i No Dal Molin. Oggi è lì, in corteo, insieme ad altre settemila persone. In mano stringe uno striscione: «No alla base Usa – si legge – Per il bene di Vicenza: VIA subito». Al suo fianco, da una parte c’è una professoressa di liceo, dall’altra uno dei più importanti imprenditori vicentini, il titolare della Lowara, che oggi è entrata a far parte di una multinazionale statunitense. Poco più in là, c’è il segretario cittadino del Pd, Claudio Veltroni. Il sindaco Achille Variati non partecipa al corteo, ma da piazza dei Signori, dove la manifestazione è partita alle 14.30, «per salvaguardare la giornata dei commercianti», ha ricordato che il diritto a esprimere le proprie idee non può essere messo in discussione da nessuno.

Già, perché a Vicenza, nel cuore del produttivo nordest, c’è un’emergenza democratica. Senza esagerare. C’è una città che da due anni lotta per il diritto a decidere che fare del suo territorio. C’è da perdersi nella catena infinita di sentenze, ricorsi, referendum. Ai vicentini resta un’unica certezza: gli americani possono decidere per loro. O almeno, c’è chi glielo lascia fare. Nomi e cognomi: Paolo Costa, il commissario governativo che segue l'iter per la realizzazione della nuova base americana, ma anche presidente della commissione Ue ai Trasporti, e presidente dell’Autorità portuale di Venezia.

A Vicenza, nominarlo, è soffiare fumo negli occhi: in consiglio comunale lo aspettano da mesi, anni oramai. Ma lui non si è mai presentato. Viene, va in prefettura, rilascia qualche dichiarazione alla stampa e se ne va. Per l’ennesima volta, una settimana fa, tre capogruppo della maggioranza e due della minoranza, gli hanno formalmente chiesto di poter visitare il cantiere. Lui ha risposto che dal luglio 2008 sono le autorità americane a dare l’autorizzazione. Non un nome a cui rivolgersi, sull’area del Dal Molin la democrazia è sospesa. La chiamano ormai un’«illegalità legalizzata». Perché lì non c’è una Valutazione di Impatto Ambientale: quasi quasi te la chiedono per aprire una finestra, esageriamo, figuriamoci per un’opera mastodontica, le cui fondamenta affonderanno nel terreno per venticinque metri. Alla commissione regionale è bastata la Valutazione paesaggistica: una pratica spicciata in un’ora, che lo stesso sindaco ha definito una buffonata.

Alla linea di Costa, quella della democrazia sospesa, sembra che ora si stiano adeguando anche questore e prefetto. L’ultimo episodio di tensione si è verificato martedì, quando gli attivisti del No Dal Molin hanno deciso di provare a bloccare lo stesso la strada verso l’area della base, nonostante la questura non avesse autorizzato la manifestazione. La polizia li ha accolti in assetto antisommossa. E sedici di loro hanno dovuto lasciare i documenti in questura. Tra le ipotesi di reato, c’è quella di associazione a delinquere. Chi si oppone alla base, insomma, farebbe parte di una vera e propria attività di criminalità organizzata. Facinorosi, direbbe qualcuno. Un’ipotesi che un lungo elenco di amministratori locali ha voluto respingere con forza. «La partecipazione ed il dissenso – dicono – non sono forme delinquenziali, bensì il sale della democrazia».

Per questo a Vicenza è emergenza democratica. Senza esagerare. Pensavano che prima poi sarebbe finita, che si sarebbero stancati, che non poteva durare due anni. Non qui, non finché esistono settemila cittadini che nella loro città vogliono ancora contare qualcosa.

 
 
 
 
 

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