Creato da piumarossa70 il 14/01/2008

LA TANA DEL COYOTE

....DAGLI SBAGLI SI IMPARA....

 

« NULLA DA DICHIARARE?EDWARD SHERIFF CURITS...... »

CUSTER descritto da GUIDO OLIMPIO

Post n°985 pubblicato il 23 Giugno 2010 da piumarossa70
 

Quando ti incammini sulle colline che guardano verso il Little Big Horn puoi capire perché il generale Custer è andato incontro alla morte. La visuale non è completa, una parte della vallata sottostante resta un po’ nascosta. Ed è lì dietro che si erano radunati migliaia di indiani, raccolti



come in un gigantesco bivacco sul fiume. Il paesaggio non ha i colori forti del Sud, quelli tramandati dai film alla John Ford. Niente sabbia o pinnacoli di roccia rossa. Ma una distesa d’erba cotta dal sole, macchie di vegetazione e una serie di alture che seguono il corso del Little Big Horn. È un paesaggio tranquillo. Eppure in questa località del Montana si è combattuta una battaglia che non ha smesso di far litigare i paladini di Custer e i suoi detrattori. Per i primi il generale si è comportato in modo coraggioso e professionale, per i secondi ha invece portato al massacro oltre 200 uomini solo perché era «in cerca di gloria».




L’ultima scaramuccia, simile a quelle che si combattevano lungo la frontiera, l’ha riaccesa la rivista specializzata «Wild West». La copertina del prossimo numero sarà dedicata alla disperata resistenza di Custer sull’altura del Little Big Horn. All’interno un lungo articolo, già pubblicato negli anni scorsi, dove si rilancia la tesi della difesa: Custer è incolpevole del disastro, ha agito rispettando le consegne i veri responsabili furono il maggiore Reno e il capitano Benteen. La loro responsabilità fu quella di non aver coperto - per paura? Incompetenza? - la solitaria e per certi versi azzardata progressione di Custer. Nel rilanciare la storia, il direttore ha pubblicato un commento per difendere la scelta di dedicare una puntata al celebre generale. Con onestà il giornalista riconosce che tanti suoi affezionati lettori amano il West ma non vogliono più sentire parlare di Custer, equiparato a un pazzo sconsiderato che avrebbe dovuto attendere i rinforzi prima di procedere verso le posizioni nemiche. Al tempo stesso, però, dice che sono ancora di più quelli che continuano ad appassionarsi alla saga dell’ufficiale dai «lunghi capelli». Custer, sostiene, vende bene in edicola.




In base alle ricerche condotte,

con metodi da investigatore e sistemi scientifici, da Robert Nightengale risulterebbe evidente che Reno, pur a conoscenza delle difficoltà incontrate dal superiore, gli avrebbe fatto mancare un decisivo appoggio in un momento delicato della battaglia. Il piano prevedeva infatti che il generale procedesse sulle alture in direzione del villaggio «per impedire agli indiani di scappare» mentre più in basso, in parallelo, dovevano avanzare le compagnie di Reno. Ma la manovra fallisce quasi subito. Custer si ritrova esposto in una posizione avanzata e non è consapevole della reale minaccia che lo aspetta. Infatti la colonna del maggiore Reno è rimasta bloccata, più indietro, da un attacco degli indiani usciti dal campo. A quel punto Reno piega verso destra, raggiunge una zona più difendibile e si ferma.



A lungo si è discusso sull’opportunità della manovra e sui rischi di dividere i reparti. Nell’articolo, a discolpa di Custer, si cita il manuale del generale George Crook, dove si sostiene la necessità di sferrare operazioni avvolgenti. «Se è possibile, al momento della carica, assali il tuo nemico sul fianco mentre è impegnato (da altri) al centro». Al Little Big Horn Custer voleva colpire con il Settimo cavalleggeri il fianco mentre Reno doveva sfondare al centro. Per due volte il generale ha chiesto sostegno inviando un paio di portaordini, tra cui il trombettiere John (Giovanni) Martini, uno dei sei immigrati italiani arruolati nel Settimo e coinvolti negli scontri di quel 25 giugno. Ma dagli ufficiali non è mai giunta una risposta.



Nell’articolo di Wild West, Nightengale si sofferma sui test eseguiti usando i fucili Springfield e le pistole Colt in dotazione ai cavalleggeri: si voleva dimostrare che Reno non poteva non aver sentito l’eco delle sparatorie, un segnale evidente che Custer aveva «impegnato» gli indiani di Cavallo Pazzo, grande stratega e condottiero impareggiabile. Ancora più pesanti le accuse mosse al maggiore di aver falsificato i rapporti e di aver inserito testimonianze mai rese dai soldati superstiti. Una vicenda - quella dei documenti - che continuerà per decenni con accuse e contro-accuse coinvolgendo persino gli inquirenti federali. Per i ricercatori filo-Custer il destino ha comunque reso giustizia - almeno in parte - al generale. Reno, prosciolto dall’accusa di codardia, è morto come un reietto, perseguitato dall’onta del Little Big Horn.



Gli studi sulle guerre indiane sono tornate di attualità con i conflitti in Afghanistan e in Iraq. Alcune zone d’operazione sono chiamate dagli ufficiali «territorio ostile o indiano». In alcuni casi le tattiche mordi e fuggi dei ribelli (ma non dei terroristi di Al Zarkawi) hanno ricordato le scorrerie delle tribù delle Grandi Pianure. E altri hanno sostenuto che le truppe regolari irachene avrebbero dovuto comportarsi al pari degli «scout indiani» usati contro le tribù. Come il famoso Curley, il «Crow» che faceva da guida a Custer durante la campagna militare e si è salvato dal massacro. Ma allora non c’erano dubbi sull’andamento della guerra: la fine di Custer è stata solo una battaglia persa, però poi gli indiani sono stati schiacciati senza pietà, privati di spirito e terra. In Iraq è diverso, l’esito è in bilico. E non c’è un Custer su cui dividersi.



Guido Olimpio (giornalista)

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Generale Custer :/ per me la smorfia è d'obbligo e sentita!

piumarossa70

 
Rispondi al commento:
piumarossa70
piumarossa70 il 23/06/10 alle 17:57 via WEB
io penso che invece la scrivano i perdenti!!! capisci a me'!!! ciaooooo sceriffo! piuma!
 
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COME NACQUERO LE MONTAGNE ROCCIOSE

Un giorno il coyote incontrò la Volpe il cui manto splendeva di mille pietruzze. “Dove hai trovato quelle belle cose luccicanti?” chiese incuriosito all’amica. “Su quella rupe” rispose la volpe , indicandogli una grande rupe che si stagliava nitida all’orizzonte. “Ma per ottenerle dovrai pagare qualcosa”. Il Coyote, che aveva fama di furbo, andò alla rupe, prese le luccicanti perline, ma in cambio non diede nulla. Così fece per tre o quattro volte. “Bada che la rupe ti piglierà in trappola” lo ammonì la volpe; ma il coyote non le dette ascolto. Avvenne che una volta la rupe stanca di essere derubata, imprigionò il ladruncolo. “Aiutami!” gridò rivolto alla volpe. “Mi spiace” fu la risposta. “Non posso aiutare un disonesto”. Con la forza della disperazione il coyote riuscì a liberarsi dalla stretta, ma la rupe si mise ad inseguirlo; correva velocissima valicava corsi d’acqua e foreste. Proprio mentre stava per essere raggiunte il coyote sentì una voce: “Salta sopra di me e non temere”. Si guardò iontorno e vide un uccello. “Non dovrei aiutarti, ma la rupe correndo per inseguirti sta distruggendo tutti i raccolti”. Il coyote saltò sopra l’uccellino, ma la stessa cosa fece la rupe. Ma quest’ultimo gridò: “Bum!”. Immediatamente la rupe si frantumò in mille pezzi che si sparsero qua e là, formando quelle che oggi sono le Montagne Rocciose.

 

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