PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA
presso la Corte d'Appello di Caltanissetta
Al Sig. Presidente della Corte di Appello
SEDE
Il Procuratore Generale
Letta la richiesta presentata dai difensori (e procuratori speciali ex art.633 c.p.p.) del condannato Contrada Bruno nato a Napoli il 2.9.1931, con la quale si invoca il giudizio di revisione della sentenza resa dal tribunale di Palermo in data 5.4..1966, confermata con sentenza della Corte di Appello di Palermo del 25.2.2006 e divenuta irrevocabile il 10.5.2007, con la quale al Contrada è stata inflitta la pena di anni 10 di reclusione per il delitto di concorso (c.d. esterno) in associazione mafiosa (artt.110 e 416 bis c.p.) nonché l'immediata sospensione della pena ex art. 635 c.p.p.;
esaminati gli atti allegati alla richiesta;
rilevato che con successiva nota, pervenuta via fax il 31.1.2008 l'Avv. Lipera ha inoltrato una ulteriore nota (che risulta parimenti trasmessa anche al Magistrato di Sorveglianza di S.M. Capua Vetere) nella quale si illustrano le patologie di cui soffre il condannato;
ritenuto che con ulteriore nota al seguito, pervenuta il 2.2.2008, ha prodotto la richiesta di applicazione della custodia cautelare in carcere formulata dal P.M. a carico del dott. Contrada e la conseguente ordinanza applicativa emessa dal G.I.P., sollecitando altresì l'escussione quale testimone del sen. Francesco Cossiga; considerato che, con ennesima nota, pervenuta il 5.2.2008, l'Avv. Lipera chiede vengano ammessi a testimoniare anche Francesco Belcamino e Francesco Cardillo, entrambi Poliziotti addetti ai servizi di scorta dei Giudici Paolo Borsellino e Giovanni Falcone;
OSSERVA
La difesa formula due distinti motivi di revisione.
Si afferma in primo luogo, ex art. 630 lettera a) c.p.p., che i fatti posti a fondamento della sentenza di condanna pronunciata a carico del dott. Contrada non possono conciliarsi con quelli stabiliti in altre due sentenze penali irrevocabili in virtù della quali il dott. Corrado Carnevale e l'on. Giulio Andreotti sono stati assolti da medesimo reato (concorso esterno in associazione mafiosa).
In particolare secondo la tesi difensiva l'inconciliabilità dei fatti testimoniati nei suddetti giudicati rispetto a quelli che riguardano l'odierno condannato deriverebbe dalla valutazione di inattendibilità formulata in quei giudizi sugli stessi collaboratori di giustizia escussi nel procedimento che lo riguarda e ritenuti, invece, pienamente affidabili.
Ciò, conclude testualmente la difesa sul punto "…fa sorgere il sospetto che in quell'unico caso si sia commesso un errore di valutazione…" (cfr. pag. 9 della richiesta di revisione).
Sotto altro distinto profilo la difesa deduce, stavolta ex art. 630 lettera c) c.p.p., l'esistenza di nuove prove che sole o unite a quelle già valutate dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell'art.631 c.p.p..
E tuttavia la difesa non specifica, ne documenta, quali siano le nuove prove di cui chiede la valutazione ma si limita soltanto ad indicare (senza nulla aggiungere sul punto) l'esistenza dinanzi al Tribunale di Catania di un procedimento penale per calunnia aggravata e continuata in danno del dott. Contrada a carico dei collaboratori di giustizia Pulci Calogero e Giuca Giuseppe.
Sicchè, in buona sostanza, secondo l'assunto difensivo la sola esistenza di un tale procedimento costituirebbe la "… prova del malcostume diffuso tra i c.d. "collaboratori di giustizia " che al fine di convincere i magistrati ed ottenere così i benefici che tutti conosciamo… non hanno mai esitato a fare nomi, possibilmente altisonanti, trascinando così nel loro stesso fango anche soggetti di specchiata onestà…" (si veda pag. 10 della richiesta).
Con le successive note depositate il 2.2.2008 ed il 5.2.2008 la difesa aggiunge tra le nuove prove:
1) la richiesta di audizione del sen. Francesco Cossiga che dovrebbe essere escusso per confermare i suoi rapporti di conoscenza ed amicizia con il condannato ed i propri sentimenti di solidarietà tuttora esistenti;
2) la richiesta di escussione dei poliziotti Francesco Belcamino e Francesco Cardillo, entrambi addetti ai servizi di scorta dei Giudici Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, chiamati a testimoniare in ordine all'esistenza di cordiali rapporti riguardanti anche la personale stima professionale tra costoro ed il condannato.
Ciò premesso va preliminarmente osservato - in punto di diritto - che l'istituto della revisione sconsacra il mito del giudicato valicandone le colonne d'Ercole, di regola intangibili, nel superiore interesse che, soprattutto in materia penale, prevalgono le esigenze di verità e giustizia reali.
Ma tale sua caratteristica va bene intesa posto che la revisione è un mezzo straordinario mediante il quale l'ordinamento giuridico risolve la contraddizione tra la verità formale del giudicato ed una successiva verità reale che trae origine da situazioni nuove non valutate nella sentenza ed idonee a denunciarne la sostanziale ingiustizia, facendo venir meno la presunzione di verità che assiste ogni sentenza di condanna resasi definitiva.
Per converso la dottrina e la giurisprudenza sono monolitiche nel ritenere che la revisione non è un mezzo di riparazione della sentenza che abbia fatto malgoverno del diritto o del fatto, perché tutto ciò è definitivamente coperto dalla verità formale del giudicato (che com'è noto, copre non soltanto il dedotto ma anche il deducibile) e non è ammissibile una riconsiderazione del diritto o del fatto se non attraverso le impugnazioni ordinarie.
Proprio per tali ragioni l'ordinamento esige che l'istanza di revisione superi un primo vaglio, in sede di giudizio c.d. rescindente, ai sensi dell'articolo 634 c.p.p., finalizzato alla verifica della sua ammissibilità, stante la tassatività delle ipotesi di revisione, nonché al successivo controllo dell'eventuale sua manifesta infondatezza, in sede di sommaria cognitio del thema probandum proposto nell'istanza stessa.
Occorre in altri termini valutare se il novum rientri tra i casi di revisione previsti dalla legge ed abbia, se confermato nella successiva fase di merito (il c.d. giudizio rescissorio), una potenzialità demolitrice della verità formale consacrata nel giudicato di cui si invoca la revoca.
Orbene, nella fattispecie, la chiesta revisione non appare idonea a superare il prescritto vaglio in sede rescindente e si palesa come inammissibile (oltre che manifestamente infondata).
Invero, quanto al dedotto profilo dell'inconciliabilità del giudicato in esame con le sentenze Carnevale ed Andreotti va anzitutto rilevato che pur essendo stata elevata anche a costoro la medesima imputazione ascritta al Contrada (concorso esterno nell'associazione mafiosa "Cosa Nostra") non può certo affermarsi che sia stato loro contestato, quanto alla materialità della condotta, il medesimo fatto, atteso che le specifiche contestazioni in tali giudizi manifestano, sia con riferimento al ruolo svolto che con riferimento alle specifiche epoche dei contributi associativi contestati, una evidente diversità di contesto fattuale, geografico ed anche temporale.
Ciò premesso, la parziale identità dei collaboratori di giustizia escussi in tutti e tre i giudizi (Andreotti, Carnevale e Contrada) e le valutazioni di attendibilità che su di essi hanno espresso i collegi giudicanti non possono cerare, già in linea di principio, alcuna inconciliabilità tra i rispettivi giudicati, diversi essendo i contesti delle verifiche probatorie formulate nei singoli giudizi (con peculiare riferimento ai profili di attendibilità estrinseca) e, in ultima analisi, diversi essendo i fatti materiali su si è formato il libero convincimento dei giudici in ciascuno di tali procedimenti penali.
In altri termini, seppure è vero che in tutti questi processi si è discusso della delicatissima materia dei rapporti tra la criminalità mafiosa e alcuni uomini delle Istituzioni (dal magistrato, al funzionario di Polizia, al politico) le acquisizioni probatorie specifiche e le verifiche di attendibilità dei collaboranti riguardano contesti fattuali del tutto differenti e, dunque, tutt'altro che inconciliabili tra loro.
Ma, prescindendo da tali considerazioni, quel che più conta e che la richiesta di revisione risulta sotto tale aspetto formulata in relazione ad una tipologia di inconciliabilità - per così dire logica - non prevista dalla legger perché riferita alla diversità di valutazione operata dai giudici in ciascuno dei procedimenti in esame e non alla diversità del fatto.
Al riguardo è giurisprudenza pacifica che l'istanza di revisione che si fondi su una diversa valutazione degli elementi di prova posti a base della condanna da parte di altro giudice in un diverso, ancorché connesso, procedimento, è inammissibile perché non viene denunciato un errore di fatto ma una diversa valutazione dello stesso fatto (si veda tra le tante Css. n.1515 del 1999, che si legge in Css. Penale 2000, p.1029, Cass. n.7111 del 1998; Css. n.8135 del 2001; Cass. n. 40819 del 2005, Cass. n. 36121 del 2004).
In altri termini nella fattispecie revisionale prevista dalla lettera a) dell'art. 630 c.p.p. ove si fa riferimento all'inconciliabilità tra "i fatti stabiliti a fondamento della sentenza…con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile…", per "fatti stabiliti a fondamento" devono intendersi i "fatti" ritenuti nelle sentenza come essenziali a giustificare la conclusione raggiunta.
E sebbene le situazioni di contrasto di giudicati possono essere le più varie e non sono definibili in numero chiuso è parimenti sicuro che la richiesta di revisione di cui al richiamato art.630 c.p.p., lett.a) da rilievo all'errore di fatto e non alla valutazione del fatto, con esclusivo riferimento agli elementi storici presi in considerazione per la ricostruzione del fatto-reato addebitato a chi formula la richiesta.
La norma non prevede la possibilità di rivalutare lo stesso fatto, sul mero rilievo di un contrasto di principio tra due sentenze essendo necessario dimostrare una diversa realtà fattuale, irrevocabilmente accertata in altra sentenza ed idonea a scagionare il condannato.
Sul punto il Supremo Collegio ha più volte ribadito "… il principio che in tema di revisione ciò che è emendabile è l'errore di fatto e non la valutazione del fatto, che costituisce l'essenza della giurisdizione, onde non è ammissibile l'istanza di revisione che fa perno sul fatto che lo stesso quadro probatorio sia stato diversamente appezzato per assolvere un imputato e condannare un concorrente nello stesso reato in due procedimenti distinti…" (così testualmente in parte motiva Cass. n. 1515 del 1999 cit.).
La regola è, quindi, chiara e mira ad affermare che il concetto di inconciliabilità tra sentenze irrevocabili non deve essere inteso in termini di contraddittorietà logica tra le valutazioni effettuate nelle due decisioni ma come oggettiva incompatibilità tra gli accertati elementi di atto.
E giova ricordare che tali principi risultano ribaditi in una pronuncia della Corte di Cassazione per un caso, sotto il profilo giuridico, del tutto simile a quello che ci impegna ove si è ritenuta "…inammissibile l'istanza di revisione fondata sulla sentenza di assoluzione di altri coimputati in quanto fondata sulle stesse fonti di accusa utilizzate per la condanna del ricorrente…" (si veda Cass. n. 8135 del 2001).
Sicché e conclusivamente sul punto, la richiesta di revisione formulata dai difensori del Dott.Contrada, con riferimento all'art.630 lettera a) c.p.p., per la diversità di valutazione della valenza delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia deve ritenersi inammissibile ex art. 634 primo comma c.p.p..
Passando all'esame del secondo profilo di revisione proposto dalla difesa del dott. Contrada ancor più evidenti risultano i profili di inammissibilità e manifesta infondatezza dell'istanza.
Giova al riguardo premettere che dopo l'ampliamento della nozione di nuova prova impostosi per le vie interpretative in esito da una nota pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. S.U. N.624 del 2001) - che ha avuto il merito di chiarire che per prove nuove debbono intendersi non solo quelle sopravvenute dopo la sentenza definitiva di condanna ma anche quelle ad essa precedenti, ma scoperte successivamente ovvero comunque non acquisite o non valutate - ancor più rilievo assume l'obbligo per il giudice di formulare un'attenta valutazione della rilevanza del novum già in sede rescindente (pena la celebrazione di nuovi giudizi, in sede rescissoria, del tutto superflui e non in linea con la natura di strumento processuale straordinario della revisione stessa).
Ciò premesso, quanto all'inammissibilità, va osservato che la mera esistenza di un procedimento per calunnia a carico di due collaboranti (Pulci e Giuga) in danno del dott. Contrada non assume in alcun modo la veste di nuova prova nel senso voluto dall'art. 630 lettera c) c.p.p..
Giova anzitutto rilevare che si tratta di collaboranti che non risultano essere stati presi in considerazione nel procedimento di cui si chiede la revisione quale fonti di prova a carico del dott. Contrada e che, pertanto, il mero rilievo dell'esistenza della suddetta imputazione non si vede come possa da solo (e, tantomeno, unitamente alle prove già valutate) dimostrare che il condannato deve essere prosciolto. E ciò vale a testimoniare oltre che la inammissibilità anche la manifesta infondatezza della chiesta revisione.
Analogamente irrilevante si palesa la richiesta di audizione del sen. Francesco Cossiga, formalizzata con riferimento a fatti che non riguardano il thema decidendum preso in esame nella sentenza di condanna. Le stesse considerazioni possono svilupparsi con riferimento alla chiesta testimonianza dei poliziotti Francesco Belcamino e Francesco Cardillo, chiamati a deporre su una circostanza di tipo valutativo del tutto ininfluente sull'esito del procedimento.
Insegna sul punto la giurisprudenza che, sempre in sede rescindente, il Giudice della revisione è chiamato anzitutto a formulare una valutazione astratta in ordine all'attitudine effettiva della nuova prova di determinare l'assoluzione dell'istante (si veda da ultimo Cass. n. 35697 del 2007).
Con efficace espressione si spiega in dottrina che tale valutazione concerne la verifica, già in astratto, della resistenza del giudicato rispetto alla nuova prova, nell'ipotesi di positiva acquisizione della stessa, nella considerazione che la prova nuova non comporta di certo il semplice ed automatico azzeramento delle prove a suo tempo poste a base della pronuncia di condanna (si veda in tal senso anche Cass.n. 14591 del 2007 nonché Cass. n. 24291 del 2005).
Orbene, considerando l'ipotesi che dovesse risultare conclamato che Pulci e Giuga hanno inteso calunniare il dott. Contrada , davvero non si vede come un elemento di tal genere possa ritenersi idoneo a scardinare l'imponente impianto probatorio e motivazionale che ha determinato la condanna dell'odierno istante e che con tali soggetti non manifesta alcun specifica relazione ne diretta ne indiretta, ne qualsivoglia collegamento di sorta.
Analoghe considerazioni vanno svolte per l'ipotesi che il sen. Cossiga dovesse confermare di conoscere il dottt. Contrada e di nutrire nei suoi riguardi la massima stima e considerazione perché una tale risultanza (peraltro, squisitamente valutativa e, dunque, di per sé del tutto irrilevante) non si vede come possa incidere, travolgendolo, sul giudicato del quale si chiede la revisione.
Stessa sorte processale è necessario assegnare alle deposizioni dei poliziotti Francesco Belcamino e Francesco Cardillo, poiché ove costoro dovessero confermare di essersi avveduti (ovviamente dall'esterno) dell'esistenza di buoni rapporti tra i dottori Borsellino e Falcone ed il dott. Contrada, non si vede come ciò possa incidere in modo significativo sul nucleo essenziale dei fatti presi in esame nell'ambito di un processo che con tale tema di prova manifesta una marcata distinzione in punto di fatto.
Insegna sul punto il Supremo Collegio che "… Ai fini dell'ammissibilità della richiesta di revisione è necessario valutare, a norma dell'art.631 cod. proc.pen. se gli elementi sui quali la richiesta è fondata sono idonei a condurre al proscioglimento dell'imputato; è pertanto richiesto in questa fase un giudizio prognostico in ordine alla rilevanza dei suddetti elementi ai fini del possibile esito positivo della richiesta revisione, da effettuarsi in astratto, perciò senza invadere la sfera propria del giudizio di merito (rescissorio) che va effettuato con le garanzie del contraddittorio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato l'inammissibilità della richiesta di revisione fondata su prove nuove, sia per l'intrinseca inidoneità delle suddette prove a condurre ad un giudizio di proscioglimento, sia per la loro inidoneità a scalfire la valenza probatoria degli elementi già in precedenza raccolti, non presentando esse un apprezzabile collegamento con i punti della decisione ritenuti vulnerabili dall'istante in revisione)… (si veda Cass. n.1932 del 2000).
Nella fattispecie il complesso quadro probatorio ritenuto idoneo a determinare la condanna del Dott. Contrada risulta composto non soltanto dalla dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia ( in quella sede ritenuti intrinsecamente attendibili ) ma anche dalla valutazione di altre testimonianze (basti citare, per mera esemplificazione, quelle del funzionario di polizia Renato Gentile e di Gilda Ziino, vedova dell' ingegnere Parisi) e di dati documentali (si veda ad es. la relazione a firma del Questore Vincenzo Immordino) ritenuti nel celebrato giudizio di merito riscontri oggettivi ( su fatti specifici) determinanti ai fini dell' affermazione della colpevolezza dell'odierno richiedente (e su questa valutazione, giova ripeterlo, non è possibile alcuna revisione).
Sicché, ove pure si provasse che Pulci e Giuga hanno inteso calunniare il Dott. Contrada ( non è dato di sapere con quale specifica accusa poiché l'istante nulla ha sul punto dedotto e/o documentato) e si acquisissero le deposizioni del senatore Cossiga e dei poliziotti Cardillo e Beccamino ( la cui valenza e senza meno del tutto generica) è di tutta evidenza che un tale risultato non è in grado di mutare in alcun modo e tanto meno di travolgere l'esito del giudicato di cui si chiede la revisione, poiché a tale eventuale prova detto giudicato ampiamente "resiste".
Alla luce di tale insegnamento e delle considerazioni sopra svolte appare,dunque, di tutta evidenza l'inammissibilità e, in ogni caso, la manifesta infondatezza dell' istanza proposta.
In ordine alla richiesta di immediata sospensione della pena ex art. 635 c.p.p. formulata in considerazione dell' età avanzata del condannato, con contestuale richiesta di scarcerazione ovvero, in linea subordinata di applicazione di altra misura meno affittiva, tenuto conto delle "…note gravi condizioni di salute…" (si veda pag. 11 della richiesta ) va osservato quanto segue.
Va preliminarmente osservato che l'istituto della sospensione dell' esecuzione della pena ex art. 635 c.p.p. ha presupposti del tutto diversi dagli istituti del rinvio obbligatorio o facoltativo della pena da eseguire per ragioni di salute, rispettivamente previsti dagli artt. 146 e 147 del codice penale.
In particolare, i suddetti provvedimento di rinvio per ragioni di salute rientrano, ex art. 684 c.p.p. , nell' esclusiva competenza della magistratura di sorveglianza, dovendosi escludere, per assenza di previsione normativa e data l'eccezionalità da cui è caratterizzato l'intero procedimento di cui agli art. 630 e segg. c.p.p., che il Giudice della revisione abbia un concorrente potere di rinviare la pena per ragioni di salute.
E di ciò anche la difesa mostra di avete piena consapevolezza come risulta dalla nota inviata il 31/01/2008 che risulta inviata anche al magistrato di sorveglianza territorialmente competente per le determinazioni in via d'urgenza.
Sicché, per la parte in cui la difesa sembra chiedere anche un semplice attenuazione del regime carcerario con sostituzione con altra misura meno affittiva per ragioni di salute la Corte d' Appello adita dovrà dichiararsi incompetente disponendo la trasmissione degli atti alla magistratura di sorveglianza territorialmente competente ( anche per gli eventuali provvedimenti d' urgenza).
Insegna al riguardo il Supremo collegio che " durante il giudizio di revisione le competenze del giudice di sorveglianza rimangono immutate; ne deriva che ogni determinazione relativa all' eventuale differimento della esecuzione della pena, nei casi previsti dall' art. 146 e 147 cod. pen. , và devoluta alla competente magistratura di sorveglianza, secondo le cadenze ed i presupposti sanciti dall' art. 684 del codice di rito" (si veda in parte motiva cass. n. 35744 del 2004) .
Ciò premesso, l'art. 635 c.p. stabilisce, come è noto, che la corte d'Appello, investita della richiesta di revisione, possa in qualunque momento disporre con ordinanza la sospensione della esecuzione della pena, "applicando , se del caso, una della misure coercitive previste dagli articoli 281,282,283 e 284" del codice di rito".
La ratio di tale disciplina secondo l'insegnamento della Suprema Corte di Cassazione si inspira dichiaratamente alla omologa previsione che compariva sotto l'art. 559 della abrogato codice di rito del 1930, poiché identica rimane la finalità dell' istituto che è quella di impedire che, in presenza di situazione in cui appaia verosimile l'accoglimento della domanda di revisione e, dunque, revocabile la condanna, il soggetto debba patire un periodo di restrizione della libertà ( verosimilmente) inutile ed ingiusto.
Sicché, nella sostanza , il chiesto provvedimento di sospensione con conseguente remissione in libertà necessariamente postula un quadro di concreta prognosi di favorevole delibazione della richiesta di revisione, in linea , d'altra parte, con il carattere eccezionale che caratterizza l'istituto della sospensione della esecuzione della pena.
Nel caso di specie , i presupposti per l'applicazione della sospensione dell' esecuzione di cui innanzi si è detto- sospensione che è ovviamente l'antecedente logico giuridico rispetto al tema, del tutto eventuale, concernente l'applicazione della misure cautelari- appaiono essere vistosamente carenti.
Cio agilmente si desume dalla palese inammissibilità e manifesta infondatezza dell' istanza di revisione neoi termini sopra argomentati (si veda in tal senso Cass. n. 35744 del 2004 cit. che si legge in Diritto e Giustizia 2004, fasc. 41 p. 40 con nota di L. Blasi dal titolo " scarcerazione in pendenza di revisione solo con prove evidenti….").
Per tali ragioni si
CHIEDE
che la Corte di Appello adita :
1. Dichiari de plano, ex art. 634 c.p.p. inammissibile la richiesta di revisione di che trattasi;
2. Rigetti la richiesta di sospensione dell' esecuzione della pena per l'insussistenza dei presupposti di legge;
3. Dichiari la propria incompetenza a provvedere in ordine alla richiesta di rinvio e/o sospensione della pena per ragioni di salute disponendo la immediata trasmissione di copia degli atti alla magistratura di sorveglianza competente.
Caltanisetta 7 febbraio 2008
il Sostituto Procuratore Generale
LUIGI BIRRITTERI
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