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Bonsai
La Pi oggi mi ha dato il suo regalo di compleanno. In ritardo di due settimane, certo, altrimenti non sarebbe la Pi. Un regalo perfetto per questo momento della mia vita, altrimenti non sarebbe la Pi.
Mi ha regalato un bonsai.
Dice che voleva che io avessi qualcosa di vivo di cui prendermi cura, e da portare con me nella casa nuova che sto cercando. Ho sempre pensato che i bonsai mi facevano pena, perchè costretti alla piccolezza. Ho sempre pensato che non avrei mai voluto averne uno, perchè mi avrebbe fatta sentire una despota che costringe le cose ad essere quello che non sono.
Sono un bonsai. Io, sì. E io stessa la mia giardiniera feroce.
Me lo sono portato a casa. Ho pensato subito che era una metafora meravigliosa tutto questo. In queste ultime settimane ho fatto tanta autocritica, di quella sana, però, non di quella che è solo critica sprezzante. E ho sentito nettamente un cambiamento farsi spazio dentro di me, un diverso modo di vedere, di sentire, di pensare, di progettare. Quando sono arrivata a casa, questa sera, ho deciso di mettere ordine nei cumuli di disastri che stanno nella mia stanza. Ho buttato via tanta, ma così tanta roba... Ho liberato ben due scaffali della libreria, e il tavolo della scrivania, finalmente. Già mi sentivo meno soffocare. Ho buttato via dispense e fotocopie dell'università... non tutte, non mi ha retto il cuore, ancora... ma è tanto quello che ho fatto.
E poi ho portato nella stanza il mio piccolo bonsai, ancora incartato. In sottofondo c'era De Gregori. Marianna al bivio, la canzone di quel momento.
E Marianna camminava con il sole nei capelli,
aggrappata a un Paradiso di stagnola.
Ogni uomo che passava ne toccava la sorgente
ma lasciava la sua anima da sola,
e la strada divideva due esistenze parallele,
l'orizzonte ne copriva la realtà.
Piano piano, ho lasciato scivolare l'incartamento. Eccolo, l'alberello intimidito. E appena l'ho visto mi è venuta una lacrimuccia. Così piccolo, tenero, indifeso. Lo so, sono tremendamente emotiva. E ho pensato subito che non dovevo esagerare con i simbolismi, quel coso non ero io. E intanto lo salutavo, gli davo il benvenuto e gli accarezzavo le foglioline umide e giovani. Che bellezza. Avevo già deciso in metropolitana che si sarebbe chiamato Ermanno. Prendo il cartellino e leggo che si tratta di un Olmo. Decisamente, Ermanno, non ci son cazzi. Però, penso che in fondo deve essere anche un po' femmina, così si chiamerà anche Mita.
Uh quanto è bello circondarsi di metafore.
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Inviato da: cassetta2
il 13/12/2020 alle 14:30
Inviato da: Randle.P.McMurphy
il 26/04/2011 alle 22:42
Inviato da: MaryRead
il 16/11/2009 alle 13:01
Inviato da: a.
il 13/07/2009 alle 04:20
Inviato da: vegetableman
il 13/05/2009 alle 08:23