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rif post num 805

Post n°807 pubblicato il 25 Agosto 2006 da liebekuh
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Stupratore in libertà

 

Il rilascio da parte del giudice del giovane algerino arrestato domenica dalla polizia per il presunto stupro di una 17enne a Chieti suscita indignazione

 

"Donna, moltiplicherò i tuoi travagli"
di Blogodot

Aspettiamo con trepidazione le reazioni al durissimo articolo di Francesco Merlo, apparso su Repubblica di oggi, dal titolo "Stupratore in libertà, giudice sotto accusa".
Merlo si indigna per la decisione del Gip Marco Flamini di rimettere in libertà il ventiduenne algerino Abderramene Lazarec,
che ha stuprato una diciassettenne in una discoteca di Chieti. Secondo il giudice, non esisterebbe pericolo di fuga né di inquinamento delle prove. Che ne sa?, si chiede il giornalista. E dove sono le femministe, i cortei davanti al palazzo di giustizia, la stampa di denuncia? "Abbiamo il sospetto - scrive Merlo - che in Italia un atteggiamento 'pudico', una capziosità giudiziaria, il silenzio dei telegiornali, la complicità caritativa del clero, un'amnesia del femminismo, uno stupido terzomondismo residuale di fatto proteggano gli stupri etnici".

C'è di che riflettere, dato il puntuale ripetersi di violenze sulle donne, che si chiamino Hina o Elena, che abbiano venti o quarant'anni, che conoscano o meno i loro aggressori. Merlo parla di "predatori a loro volta preda di un impulso primario animalesco che - bisogna dirlo liberamente - il Corano legittima nella considerazione di scarso conto in cui mette la donna". E cita la Sura 4 del Corano: leggere per credere. Obiettiamo che anche nella Genesi non si va troppo sul tenero, condannando il genere femminili a travagli e subordinazione perenni. Ma si tratta di testi religiosi, di per sé culturali, frutto di mani e di teste sicuramente maschili. Da prendere con le molle, insomma.

Da questo spazio, che ormai è diventato una specie di veranda dei nostri pensieri, abbiamo spesso denunciato le difficoltà del femminismo contemporaneo, senza però mai negarne il valore e l'utilità. Ci sembra che le strade obbligate che la civiltà occidentale ha imboccato - il multiculturalismo, il relativismo tanto odiato dal Papa, il consumismo elevato a dimensione esistenziale ordinaria, l'invadenza delle tecnologie fin dentro ai corpi e alle loro origini - richiedano uno sforzo duplice:
da parte delle donne a non dare per scontate certe conquiste di libertà (tornare a casa da sole a qualsiasi ora del giorno e della notte, passeggiare nei parchi, viaggiare, vestirsi come si preferisce) e a non ridurre l'intero dibattito femminista alla bioetica, come alcuni gradirebbero che si facesse;
da parte degli uomini ad allontanare da sé, il più possibile, i pregiudizi che continuano ad albergare anche negli animi più "femministi", ad aberrare la violenza e a ritenere sacra la persona fisica, a qualsiasi genere essa appartenga. E' quasi superfluo notare che l'educazione dei figli maschi, ancora per molti versi appannaggio femminile di madri e maestre, svolge in questo senso una funzione cruciale, che riporta in capo alle donne la responsabilità di trasmettere il valore della parità di diritti e del rispetto reciproco.

Merlo chiede di tenere desta l'attenzione sullo stupro etnico, sostenendo che "va spiegato a chi viene in Italia che, come non esiste una civiltà delle posate, qui da noi c'è anche una civiltà della sessualità, minoritaria magari... ma la sola che non viola la persona, la sola protetta dalla legge". Gradiremmo che lo si spieghi anche ai nostri amici colti e rispettabili che partono per Cuba o per Bangkok alla ricerca della giovanissima di turno da spupazzarsi per qualche settimana, salvo poi autogiustificarsi quasi come "benefattori" di quella "povera gente che altrimenti non avrebbe un soldo". Bisognerebbe dirlo anche agli automobilisti italianissimi, molti dei quali padri di famiglia, che ogni sera affollano via Cristoforo Colombo per pagare l'ucraina, la rumena o la polacca minorenne. Che approfittano della miseria altrui, senza farsi scrupoli. O ai mariti devoti che picchiano indisturbati mogli e figlie o che le umiliano quotidianamente a parole e nei fatti.

La verità è che per molti uomini, cattolici o musulmani, la natura della donna è sempre quella antica e vergognosa - questo sì, bisogna gridarlo - descritta nella Genesi e nel Corano. E che per molte donne l'emancipazione è diventata un cappio, come ben testimoniano i Monologhi della Varechina: significa lavorare come e più degli uomini fuori casa, lavorare sole dentro casa, dedicarsi come sempre ai figli più dei padri, non avere più un briciolo di tempo per sé, sfruttare persino altre donne, come dimostra lo straordinario esercito di colf e badanti sottopagate. Perché dovrebbe stupire il risultato dell'analisi condotta dalla rivista Forbes, secondo cui le donne manager d'Occidente fanno meno figli, non si sposano, quando lo fanno divorziano di più, hanno case più sporche (!) e si ammalano più facilmente?

"Per chi ha la nostra storia alle spalle è facile capire che 'veline e velate' sono accomunate dal loro essere ancora donne nel patriarcato, di cui sono semplicemente facce contrapposte". Lo scrive Luciana Percovich nel bel volume "La coscienza nel corpo - Donne, salute e medicina negli anni Settanta", edito da Fondazione Badaracco e FrancoAngeli. E' la sintesi perfetta di quello che pensiamo. Per dire basta alla violenza bisogna dire basta al patriarcato. Biosgna spiegarlo a chi viene in Italia, come vuole Merlo, e a chi in Italia vive beato tra tette e culi esibiti su ogni canale, volgarità e molestie, ricatti grandi e piccoli. Confidando in una sua presunta superiorità, che farebbe ridere i polli se non fosse il substrato culturale di veri orrori. Etnici e non.

Tratto da: blogodot.ilcannocchiale.it

 

 
 
 
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