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STORIA DELLA MALAVITA MESSINESE 5

Post n°209 pubblicato il 25 Maggio 2011 da tignalucida

Il primo ha confermato (ud. 8.5.1999) che dopo l’arresto di FERRARA Sebastiano l’autorità giudiziaria autorizzò all’interno dell’istituto dei colloqui con il fratello Carmelo, con SANTORO Angelo e probabilmente anche con Zoccoli Giuseppe. L’incontro che si svolse, come di consueto, sotto il controllo esclusivamente visivo degli agenti preposti, era altresì oggetto di un provvedimento di intercettazione ambientale emesso dall’autorità giudiziaria. Molto più precise si sono rivelate le dichiarazioni di Bonaccorso Gaetano, sentito nel corso della stessa udienza, che si è soffermato in generale sulle prime controverse fasi della collaborazione di FERRARA Sebastiano, ricordando che dopo l’arresto l’imputato rese una dichiarazione di intenti alla presenza dei magistrati e del personale del Commissariato “Duomo”, ed iniziò quindi la collaborazione vera e propria alloggiato in stato di detenzione extra-carceraria presso una struttura della Polizia di Stato (la caserma “Zuccarello” di Messina, ove si trovava nello stesso periodo anche TODARO Demetrio), finché il 18 maggio 1994 gli vennero espressamente contestate dai magistrati che ne raccoglievano le dichiarazioni la parzialità e la reticenza del contributo fornito fino a quel momento. In conseguenza di ciò, mentre si registrò una serie di intemperanze del FERRARA, ne venne disposto l’immediato reingresso in una struttura penitenziaria ed il FERRARA fu condotto al carcere di Nuoro, mentre l’inizio della collaborazione di alcuni tra i più importanti esponenti del suo gruppo (SANTORO Angelo, TURRISI Antonino, LONGO Luigi) faceva venire alla luce un vero e proprio piano architettato da FERRARA per occultare il coinvolgimento di alcuni affiliati e per adeguare alle proprie le dichiarazioni degli altri collaboratori già aderenti al suo gruppo: e ciò il FERRARA intendeva ottenere facendo loro pervenire tramite la moglie una serie di audiocassette nelle quali aveva in precedenza registrato le dichiarazioni contenenti le indicazioni relative ai contenuti della sua collaborazione. Il Bonaccorso, a conoscenza del piano architettato dal FERRARA, ma non dello specifico contenuto della cassette da lui registrate, ha poi ricordato che in seguito al suo trasferimento presso il carcere di Nuoro il FERRARA aveva modificato completamente il proprio atteggiamento, ammettendo l’esistenza del disegno inizialmente perseguito e dichiarandosi pronto ad iniziare una nuova fase della collaborazione e ad accusare anche gli affiliati (come LAGANÀ Gianfranco e il dott. Pafumi) che in precedenza aveva evitato di coinvolgere negando perfino l’esistenza del clan. Il commissario Andrea Manganaro, coinvolto in veste di imputato, unitamente ad altri colleghi già in servizio presso il commissariato “Duomo”, in un procedimento penale legato alle fasi iniziali della “gestione” di FERRARA Sebastiano in cui è accusato di peculato, falso materiale e procurata evasione (ed è stato per questa ragione esaminato dalla Corte con le garanzie di cui all’art. 210 c. p. p.), ha dichiarato (ud. 5.5.1999) che il giorno dell’arresto, eseguito al villaggio CEP con qualche difficoltà (prendendo anche calci e pugni, ha ricordato Manganaro, ed ha poi confermato l’ispettore Patania) dal personale del commissariato presso l’abitazione del FERRARA, l’imputato fu condotto in mattinata negli uffici e gli fu quindi consentito dopo un paio di ore, probabilmente per ragioni di ordine pubblico, di incontrare numerose persone (parenti, conoscenti, amici) che si erano radunate nei pressi dei locali del commissariato con l’intenzione di salutarlo. Circa una settimana o due dopo il suo arresto il FERRARA, comunicata attraverso la direzione della casa circondariale di Messina la propria intenzione di collaborare con la giustizia ed avuto un primo contatto anche con i magistrati, chiese ed ottenne dall’autorità giudiziaria di potere incontrare in carcere alla presenza dello stesso Manganaro un suo affiliato, tale Zoccoli Giuseppe, che era sua intenzione convincere a collaborare e che a suo dire era bene informato in ordine ai rapporti del gruppo con esponenti politici. Sempre presso il carcere di Gazzi fu consentito successivamente al FERRARA di incontrare allo stesso scopo per circa venti minuti o mezz’ora il fratello Carmelo e SANTORO Angelo, e fu in questa occasione disposta ed eseguita una intercettazione ambientale con esiti deludenti perché non fu possibile intendere il contenuto della conversazione che era stata registrata. Interpellato poi in ordine alle circostanze dell’arresto di FERRARA Sebastiano, il commissario Manganaro ha escluso che lo stesso fosse stato concordato con l’imputato, attribuendolo invece ai risultati di un’attività investigativa che si era avvalsa dell’ausilio di diverse fonti confidenziali. Il Manganaro ha poi dichiarato di avere a suo tempo presentato, insieme ai propri collaboratori, una serie di esposti alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, il primo dei quali nel luglio 1994, nei confronti di alcuni magistrati in servizio presso la Procura della Repubblica di Messina (i dottori Zumbo, Vaccara, Romano, Langher e Mango), lamentando delle presunte irregolarità nelle indagini condotte a carico suo e dei colleghi, e di avere poi trasmesso allo stesso ufficio di Procura alcune cassette consegnate da un confidente e contenenti la registrazione di conversazioni tra il FERRARA ed alcuni suoi affiliati. La Corte ha infine disposto, alla luce delle dichiarazioni di Manganaro, l’esame dell’ispettore Patania, uno degli appartenenti alla Polizia di Stato già in servizio presso il Commissariato “Duomo” coinvolto nel procedimento al quale si è riferito Manganaro e per questa ragione ascoltato anch’egli con le garanzie di cui all’art. 210 c. p. p. all’udienza del 10 maggio 1999. Il Patania ha confermato quanto dichiarato dal suo superiore in ordine alle circostanze dell’arresto di FERRARA Sebastiano, alla segnalazione della sua intenzione di collaborare con la giustizia di cui diede notizia il comandante del carcere circa dieci giorni dopo l’arresto e al suo successivo alloggio presso la caserma “Zuccarello”, con una parentesi trascorsa dall’imputato a Vibo Valentia. Ha poi confermato anche la circostanza dei due incontri di FERRARA Sebastiano successivi all’inizio della collaborazione, il primo con Zoccoli Giuseppe alla presenza del commissario Manganaro, ed il secondo con il fratello Carmelo e con SANTORO Angelo, il cui contenuto si tentò invano di conoscere attraverso la collocazione di una microspia nei pressi di un orologio. Mostrandosi informato sul contenuto delle cassette registrate successivamente dal FERRARA e consegnate da un informatore, Patania ha ricordato che in una di esse il FERRARA dava delle direttive ai suoi affiliati circa i contenuti della collaborazione, mentre in un’altra era stata incisa probabilmente per errore una conversazione svoltasi all’interno della struttura tra FERRARA Sebastiano e TODARO Demetrio, anch’egli alloggiato presso la caserma “Zuccarello”. Sull’intera vicenda era stato già sentito in dibattimento FERRARA Sebastiano (udienze 12 - 13.3.1999), il quale ha esordito indicando significativamente il mese di giugno dell’anno 1994 come data di inizio della sua collaborazione, sebbene fosse stato arrestato il 28 marzo 1994 in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare relativa al procedimento Peloritana Uno e fosse divenuto dopo una settimana circa collaboratore di giustizia. È probabile che così facendo l’imputato abbia inteso esprimere in maniera ancora più evidente la netta cesura tra una “prima” e una “seconda” collaborazione, intervallate da un breve periodo di detenzione trascorso dal FERRARA presso la casa circondariale di Nuoro. Il FERRARA ha ammesso di avere in un primo momento assunto degli atteggiamenti sbagliati, tra l’altro facendo avere a TURRISI Antonino delle cassette attraverso le quali intendeva orientare la collaborazione dei suoi ex-affiliati, inducendoli a dire tutta la verità ma a non accusare alcune persone appartenute al gruppo ma investite di ruoli minori (“… dicendo che loro dovevano collaborare, dire tutto quello che era a loro conoscenza, però di non fare i nomi di MANGANARO Salvatore, di CURATOLA Giuseppe, del dottore Pafumi, di LAGANÀ Gianfranco e non ricordo qualche altra persona, però dovevano parlare con verità, di dire di tutto e di accusare anche mio fratello”). L’imputato ha comunque escluso di avere mai suggerito di indicare altre persone al posto dei veri responsabili dei singoli delitti. A questi comportamenti poco ortodossi, assunti in un periodo in cui il FERRARA avrebbe trovato l’appoggio di non meglio precisata natura di alcuni poliziotti in servizio al Commissariato “Duomo”, l’imputato ha attribuito la causa della sospensione delle misure di protezione già adottate nei suoi confronti e del suo reingresso in carcere, a cui avrebbe fatto seguito una sincera resipiscenza e l’apertura di una nuova e definitiva fase caratterizzata da una collaborazione aperta e leale. Confermando l’esistenza degli incontri con Zoccoli, SANTORO ed il fratello Carmelo, nonché la circostanza della conversazione telefonica con il TURRISI mentre questi si trovava presso una rivendita di tabacchi del villaggio CEP (fatta dalla caserma della Polizia di Stato di Vibo Valentia sfuggendo momentaneamente alla vigilanza del personale addetto), il FERRARA ha poi precisato di avere registrato le cassette, probabilmente due, utilizzando un’apparecchiatura che la moglie gli aveva fatto avere mentre si trovava presso la caserma di Vibo Valentia: scopo dell’iniziativa era quello di indurre alla collaborazione i suoi affiliati in libertà LONGO e TURRISI, con i quali non era potuto altrimenti entrare in contatto, ed al contempo di orientarne la collaborazione nel senso già precisato (il collaboratore ha fatto anche il nome di tale Sturniolo Orazio tra quelli di coloro le cui responsabilità dovevano essere occultate). La Corte, allo scopo di chiarire ulteriormente questi aspetti e di trovare dei punti di riferimento più precisi sotto il profilo anche temporale nell’ambito delle vicende illustrate dai protagonisti in modo non sempre uniforme, ha provveduto ad altre integrazioni istruttorie, disponendo l’acquisizione di copia del verbale di interrogatorio di FERRARA Sebastiano presso la casa circondariale di Nuoro del 26 giugno 1994 e della relativa trascrizione eseguita da un perito su incarico del GIP del Tribunale di Reggio Calabria, nonché la trascrizione nelle forme della perizia delle audiocassette a cui aveva fatto riferimento FERRARA Sebastiano nel corso del suo esame, previa acquisizione di copia delle medesime, il cui originale è materialmente allegato al fascicolo di altro procedimento che il Pubblico Ministero ha attestato essere ancora in fase di indagini preliminari (v. ordinanze del 21 e del 26 aprile 1999). Al contempo la Corte ha preso atto della assoluta inutilizzabilità della intercettazione ambientale preventiva del colloquio tra FERRARA Sebastiano, FERRARA Carmelo e SANTORO Angelo, acquisendo copia del relativo verbale redatto il 9.4.1994 e relativo all’operazione eseguita con esiti deludenti il 7.4.1994 (sottoscritto da: vice commissario Andrea Manganaro, ispettori Alampi Bruno e Sbarra Salvatore, sovrintendente Genovese Stefano e vice sovrintendente Patania Mario), nonché della richiesta del questore di Messina alla Procura della Repubblica di Messina, Direzione Distrettuale Antimafia, di intercettazione preventiva con provvedimento di autorizzazione in calce del 1° aprile 1994, e della missiva di trasmissione del precedente verbale da parte della Squadra mobile in data 11 aprile 1994 (v. la copia degli atti prodotta dal Pubblico Ministero e allegata al verbale d’udienza del 5 maggio 1999): e ciò perché per tale categoria di intercettazioni l’inutilizzabilità assoluta discende dal terzo comma dell’articolo 25 bis della legge 8 agosto 1992, n. 356 (v. ordinanza del 5 maggio 1999, confermata all’udienza del 12 maggio 1999). È così emerso che l’incontro con i magistrati della Procura di Messina in occasione del quale FERRARA Sebastiano, detenuto presso il carcere di Nuoro, manifestò la sua intenzione di collaborare lealmente, abbandonando gli atteggiamenti che avevano causato la sospensione delle misure di protezione, si verificò il 26 giugno 1994, e nel corso del medesimo il FERRARA, per ciò che rileva in questa sede (la corposa trascrizione eseguita per conto del GIP di Reggio Calabria si presenta molto frammentaria evidentemente a causa della qualità non ottimale della registrazione), ammise l’esistenza del piano di condizionamento della collaborazione dei suoi ex-affiliati attraverso le cassette, attribuì all’istigazione dei poliziotti del Commissariato “Duomo” i propri atteggiamenti iniziali, ivi comprese alcune manifestazioni plateali di protesta (quali la rottura di un vetro e il tentativo di darsi fuoco), e specificamente le resistenze a consentire di essere “gestito” dalla Squadra Mobile di Messina (resistenze che peraltro, come ha evidenziato il teste Bonaccorso, erano probabilmente dovute invece al timore del FERRARA che le più spiccate attitudini investigative del personale del reparto pregiudicassero la riuscita del piano inizialmente architettato). Il perito incaricato dalla Corte di procedere alla trascrizione delle audiocassette acquisite ha innanzitutto verificato che il contenuto dei due nastri è identico, sicché è stata eseguita una sola trascrizione, depositata all’udienza del 5 maggio 1999. Dall’esame della relazione scritta si desume che in una prima parte della registrazione una voce maschile, evidentemente quella di FERRARA Sebastiano, si rivolge a Nuccio e Luigi (è agevole dedurre che si tratta di TURRISI Antonino e, rispettivamente, LONGO Luigi), richiamando numerosi episodi chiaramente riferibili ad una pregressa comune militanza criminale, invitando i destinatari ad intraprendere con fiducia e senza preoccupazioni la strada della collaborazione ed indicando di volta in volta il tenore delle dichiarazioni da rendere, alla luce del criterio generale enunciato nelle raccomandazioni finali (“Diciamo tutte cose, tutta la verità, però senza mettere nel mezzo a nessuno, mettiamoci nel mezzo noi, io, tu, Luigi, Giggia, questi qua mettiamoci nel mezzo, però dicendo la verità per come sono andati i fatti, così non ci confondiamo, l’importante è che non nominiamo altre persone, ci dobbiamo nominare noi altri stessi, però dire la verità ”). Con particolare riferimento all’omicidio di Messina Giovanni, uno dei pochi episodi oggetto di specifica menzione, l’indicazione è segnatamente diretta ad attribuire a Giovanni SALVO, oltre che il ruolo di esecutore diretto del delitto, quello di avere segnalato la presenza di Messina, e ad evitare al contempo di coinvolgere Gianfranco (“… per quanto riguarda l’omicidio Messina, dite che Gianni SALVO è stato lui che si è accorto che Messina si trovava là perché Gianni SALVO era andato a Minissale dalla sua fidanzata e al ritorno ha visto a Messina, è salito al CEP, gliel’ha detto pure a Giggia, si è armato di pistola, Giggia è sceso con lui e ha fatto l’omicidio, però l’importante è non nominare a Gianfranco e dite che il segnale gliel’ha portato Gianfranco e che fu Gianni SALVO stesso che se ne è accorto che era andato a Minissale dalla sua fidanzata”). Prive di rilievo appaiono invece le altre parti della registrazione, una delle quali riporta in particolare una conversazione in cui interviene, oltre a Iano, un tale Demetrio, verosimilmente il TODARO che si trovò alloggiato per un periodo nel 1994 presso la caserma “Zuccarello” di Messina in compagnia di FERRARA Sebastiano. L’ampia parentesi aperta, con l’illustrazione della sintesi delle risultanze dibattimentali relative agli aspetti più controversi della collaborazione di FERRARA Sebastiano, suggerisce evidentemente delle riflessioni che trascendono il singolo episodio in esame, e riveste inoltre delle implicazioni specifiche relative all’omicidio di Messina Giovanni per quanto concerne la posizione dell’imputato LAGANÀ Gianfranco dal cui esame si sono prese le mosse per sviluppare tutte le considerazioni che precedono. Appare invero sconcertante la relativa facilità con cui, profittando di una serie di coincidenze favorevoli e sfruttando abilmente il proprio carisma criminale probabilmente anche nei primi contatti con gli organi inquirenti, un collaboratore di giustizia, in precedenza al vertice di un agguerrito e compatto gruppo criminale, possa continuare ad avere rapporti con i propri vecchi compagni, sia pure allo scopo, in linea di principio meritevole, di indurli a condividere la scelta della collaborazione, e possa poi architettare una sorta di “collaborazione di gruppo”, tentando di ispirare il contenuto delle dichiarazioni dei propri ex-affiliati; ed appare ancora più grave che il FERRARA ciò abbia fatto eludendo i controlli ai quali era certamente sottoposto, trattandosi di un soggetto in quel momento ancora detenuto, anche se in struttura extracarceraria in virtù dell’ammissione a misure provvisorie di protezione: emblematiche sono al riguardo le vicende della telefonata a TURRISI che si trovava in una rivendita di tabacchi del villaggio CEP, e della incisione delle cassette destinate a circolare tra gli affiliati come autentici promemoria della collaborazione (vicenda, quest’ultima, rivelatrice di una certa dimestichezza del FERRARA con audiocassette e registratori già emersa in questo dibattimento con riferimento all’episodio della registrazione della conversazione con tale Gallo Giovanni, illustrato in occasione dell’analisi delle risultanze relative ai reati di cui al capo 15). E tuttavia, dovendosi ogni giudizio in proposito ispirare ad un criterio di ragionevolezza già più volte richiamato, vanno respinte le generalizzazioni che pretenderebbero di trarre dalle vicende esaminate una valutazione di totale inaffidabilità del contributo processuale di FERRARA Sebastiano e degli altri collaboratori di giustizia, imputati e non, già appartenuti al suo gruppo e raggiunti dall’attività di inquinamento probatorio posta in essere dal FERRARA. Va invece operata una valutazione differenziata, caso per caso, tenendo conto innanzitutto del fatto che la collaborazione di FERRARA, in una considerazione complessiva del contributo dato dall’imputato all’accertamento dei fatti sottoposti al vaglio di questo dibattimento, è apparsa generalmente affidabile e intrinsecamente convincente, e ciò giustifica la concessione dell’attenuante speciale di cui all’art. 8 per numerose delle imputazioni per le quali il FERRARA ha riportato condanna. Tale valutazione, per la quale si rinvia alle ragioni illustrate sotto ciascun capo di imputazione, discende certamente dalla considerazione delle conferme che le dichiarazioni di FERRARA Sebastiano hanno trovato non solo nelle dichiarazioni di altri collaboratori, anch’essi imputati ed il più delle volte sicuramente immuni da qualsiasi suo tentativo di condizionamento perché provenienti da contesti associativi diversi, se non opposti, ma anche in altri elementi di prova frutto di attività investigative autonome rispetto al contributo dei collaboratori. Riconducendo poi l’attività di inquinamento probatorio posta in essere dal FERRARA nei suoi esatti confini, va rilevato, alla luce non tanto, e non solo, delle sue successive ammissioni e della sua ostentata professione di lealtà ostentata, quanto delle dichiarazioni di coloro che contribuirono a smascherare il piano, che quest’ultimo, oltre a riguardare esclusivamente alcuni affiliati del gruppo “Ferrara”, contemplava essenzialmente l’occultamento di alcune responsabilità individuali, con la contestuale attribuzione di esse, eventualmente, ad altri affiliati già coinvolti negli stessi episodi, o comunque immuni da concreti pregiudizi perché già sulla strada della collaborazione, e quindi con aspettative di cospicue riduzioni di pena o di altri benefici sul versante esecutivo: ma in ogni caso, con riferimento tanto all’omicidio di Messina Giovanni, che agli altri episodi sottoposti all’esame di questa Corte e potenzialmente investiti dai tentativi di condizionamento del FERRARA, può essere escluso con un margine di ragionevole certezza, perché rimasto del tutto sfornito di prova, che le indicazioni fossero dirette al coinvolgimento di persone innocenti al posto dei veri responsabili dei fatti di sangue o degli altri delitti a cui si riferiva la collaborazione. Nonostante le ripetute sollecitazioni dirette a ottenere chiarimenti in proposito e a fare affermare loro eventualmente il contrario, tutti gli imputati appartenuti in precedenza al gruppo “Ferrara” sono rimasti fermi nel negare di essere stati indotti ad accusare persone innocenti, e, al contempo, a negare di avere accolto le indicazioni del loro ex-capo, se non per un brevissimo lasso di tempo coincidente con la fase iniziale della collaborazione, verosimilmente precedente alle prime verbalizzazioni e al ripensamento determinato dall’acquisita consapevolezza che non sarebbe stato possibile portare fino in fondo il programma suggerito da FERRARA.

 
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