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« STORIA DELLA BANDA DELLA...FRANCO GIUSEPPUCCI BOSS ... »

LA VERA STORIA DELLA BANDA DELLA MAGLIANA

Post n°233 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

I PRINCIPALI BOSS DELLA BANDA DELLA MAGLIANAun giovane rapinatore dal sangue freddo che aveva acquistato le armi. I due, stranamente, si accordano per compiere alcuni colpi; nel gruppo rientrano anche De Pedis e gli altri della Magliana. Da semplice associazione di rapinatori, il patto prende la forma di una potenziale organizzazione per il controllo della criminalità romana, nella quale iniziano a lavorare anche criminali di altre zone: Marcello Colafigli (detto "Marcellone"), Edoardo Toscano detto l'Operaietto e Claudio Sicilia detto er Vesuviano per le sue origini. Il loro primo lavoro, lunedì 7 Novembre 1977, sarà un sequestro: quello del duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere, che però finirà male. Per l'inesperienza nel campo, Giuseppucci e gli altri non riescono a gestire la situazione e devono chiedere aiuto ad un altro gruppo criminale (una piccola banda di Montespaccato), un componente del quale, per distrazione, si fa vedere in faccia dal duca, che per questo verrà ucciso. Riescono, comunque, ad incassare il riscatto (due miliardi, contro i 10 della richiesta iniziale[5]), lo dividono con l'altro gruppo ed invece di suddividere tra loro la loro quota, decidono di reinvestirla in nuove attività criminali. Da qui, l'unione con altri gruppi romani: uno del quartiere Tufello con a capo Gianfranco Urbani (er Pantera), uno di Ostia con a capo Nicolino Selis che ha forti legami con la Camorra e i Testaccini, un violento gruppo di Testaccio comandato da Danilo Abbruciati, er Camaleonte. Nasce così la Banda della Magliana. La conquista del potere « "Roma è nelle nostre mani", si dicevano l'un l'altro i nuovi boss, spavaldi e col sorriso sulle labbra, interessati solo ad allargare il controllo sulla città e a entrare in nuovi affari, incuranti di chi ci fosse dietro. La droga poteva arrivare e andare indifferentemente a uomini della mafia, della camorra, della 'ndrangheta, dell'eversione nera, di organizzazioni mediorientali. Agli ex rapinatori cresciuti nelle batterie di quartiere, passati al giro più grosso delle bische e delle scommesse clandestine e diventati in pochi anni impresari di morte attraverso il traffico di droga, non interessava servire ed essere serviti da questa o quella banda. » Il motivo per cui un gruppo riuscì a raggiungere per la prima volta il controllo di una metropoli come Roma è da cercarsi nei metodi che la Banda della Magliana introdusse nel panorama capitolino. Primo fra tutti, gli omicidi. Dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni settanta la criminalità romana era divisa in quartieri: ognuno controllava la propria zona dove mantenere il potere era semplice. Non che non si commettessero omicidi, ma le pistole si usavano molto raramente e nessuno di essi veniva premeditato per il mantenimento o la conquista del potere. Quelli della Magliana, invece, vollero allargare il controllo a tutta la città e per farlo usarono sistematicamente le pistole, eliminando gli oppositori alla loro espansione e contemporaneamente incutendo timore a chi avesse voluto intromettersi nella crescita della banda. «Eravamo i più potenti, perché eravamo gli unici che sparavano», avrebbe detto anni dopo in un'aula di tribunale uno di loro. Il primo e più celebre degli omicidi ad opera del gruppo, fu quello di Franco Nicolini detto Er criminale, che controllava il mondo orbitante attorno alle scommesse ippiche. Gli affari della Banda della Magliana, dalle semplici rapine, passarono in poco tempo ai sequestri, alle scommesse ippiche appunto, ai colpi ai caveau e soprattutto al traffico di droga, affare per cui era necessario avere un controllo capillare del territorio. La banda estendeva la sua influenza nelle zone di Trastevere-Testaccio, della Magliana, di Acilia-Ostia, del Tufello e dell'Alberone. Nella zona di Trastevere-Testaccio si muovevano gli uomini di Danilo Abbruciati, implicato soprattutto nel riciclaggio del danaro sporco, grazie ai suoi rapporti con Flavio Carboni, Roberto Calvi e Francesco Pazienza. Con gli stessi operava Domenico Balducci, legato a sua volta al noto mafioso Pippo Calò. La zona della Magliana era sotto il controllo degli uomini di Giuseppucci, in cui militavano personaggi quali Marcello Colafigli, Maurizio Abbatino, Antonio Mancini detto Accattone, Claudio Sicilia, ecc. La zona di Acilia-Ostia, era in mano al gruppo di Nicolino Selis, che si avvaleva di uomini come i fratelli Carnovale, Ottorino Addis, Libero Mancone e Gianni Girlando. Nelle zone del Tufello e dell'Alberone spiccava la figura di Gianfranco Urbani, anche se il gruppo criminale presentava una minor omogeneità rispetto ai precedenti. Urbani favorì i rapporti con il clan di Nitto Santapaola e con la 'Ndrangheta calabrese, grazie alla cosca De Stefano, operante a Reggio Calabria, capeggiata all'epoca dal boss Paolo De Stefano Organizzazione La Banda della Magliana, a differenza di altri nuclei criminali organizzati, come la Camorra o Cosa Nostra, non presentava un'organizzazione piramidale: non aveva infatti un solo capo, ma diversi, divisi in gruppi, che spesso lavoravano anche singolarmente e senza la necessità che gli altri lo sapessero. Questa gerarchia non piramidale ha avuto come effetto collaterale quello di consentire di volta in volta ad entità esterne di fare uso della Banda per i propri scopi, come alcuni ritengono possano aver fatto branche deviate dei servizi segreti[6][7]. I proventi dei crimini erano comunque divisi sempre in parti uguali, ogni membro riceveva la cosiddetta "stecca", una sorta di dividendo indipendente dal lavoro svolto in quel periodo che anche i membri detenuti continuavano comunque a ricevere attraverso la famiglia. I vari componenti erano tenuti in ogni caso a continuare a partecipare all'attività criminale: anche quando alcuni di loro divennero veramente ricchi, girando su Ferrari con Rolex al polso, continuarono ad essere degli operai del crimine. Inutile dire che appartenere alla Banda della Magliana significava anche non poter sgarrare: un errore avrebbe potuto facilmente costare la vita. Provenienza geografica dei clan Magliana Maurizio Abbatino (detto "Crispino" o il "Maurizio della Magliana" o san BUCA) (il Freddo del film e della serie TV di Romanzo Criminale) Edoardo Toscano (detto "Operaietto" o " il cavaliere ") (Scrocchiazeppi del film e della serie TV di Romanzo Criminale) Marcello Colafigli (detto "Marcellone") (il Bufalo del film e della serie TV di Romanzo Criminale) Antonio Mancini (detto "l'accattone") ("Ricotta" del film e della serie TV di Romanzo Criminale) Claudio Sicilia (detto "il vesuviano" o "etnaniano") (Trentadenari del film e della serie TV di Romanzo Criminale GLI INTRECCI POLITICI DELLA BANDA DELLA MAGLIANA Alcuni dei capi della banda erano simpatizzanti di destra, e tra questi spiccava Franco Giuseppucci, il quale conservava in casa alcuni dischi con i discorsi di Mussolini e diversi gagliardetti e simboli inneggianti il regime fascista. I primi legami con i gruppi neofascisti li ebbero attraverso il professor Aldo Semerari, celebre criminologo leader del gruppo Costruiamo l'azione, che durante l'estate del 1978 organizzò diversi incontri politici nella sua villa di Poggio Mirteto a cui parteciparono anche i componenti simpatizzanti della Banda della Magliana. Il contatto della banda con il prof. Semerari fu organizzato dal pregiudicato Alessandro D'Ortenzi, detto "zanzarone", il quale era in buoni rapporti con lo stesso professore. Tale contatto era estremamente funzionale alla banda in quanto, data la levatura del professor Semerari sul piano delle perizie mediche psichiatriche effettuate per conto dei tribunali, poteva tornare assai utile agli elementi della banda per ottenere falsi certificati di infermità mentale, onde scongiurare così la detenzione in caso di cattura. Dal canto suo, Semerari intendeva sfruttare la banda come braccio armato del gruppo politico che andava formando ma questa era già una matura organizzazione criminale che difficilmente si sarebbe fatta abbagliare da fumosi progetti senza un immediato ricavo materiale. Dagli incontri uscì solo un accordo pratico: la Banda della Magliana avrebbe finanziato il suo gruppo in cambio di perizie psichiatriche "su misura" effettuate dal criminologo per i frequenti arresti che la banda subiva. Aldo Semerari era anche un esponente della loggia massonica P2 ed aveva forti legami con il SISMI, legami e conoscenze che trasferì velocemente a quelli della Magliana. Il sodalizio durò poco perché Semerari aveva preso accordi simili anche con la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Semerari fece l'errore di accordarsi anche con l'organizzazione rivale di Cutolo, la famiglia di Roberto Ammaturo, e alla Nuova Camorra Organizzata questo non piacque. Oltre a ciò, il professore rimase implicato nelle indagini della procura di Bologna relative alla strage del 2 agosto 1980 (85 morti e più di 200 feriti). Incarcerato per breve tempo, Semerari diede segni di cedimento psicologico, prospettando ai magistrati una sua ampia collaborazione in cambio della libertà. Scarcerato ad inizio marzo del 1982, il criminologo iniziò a temere per la propria vita, parlandone prima con la propria segretaria (anch'ella successivamente ritrovata uccisa) e poi con il proprio referente del SISMI, tale Renato Era: costui informò il suo diretto superiore, il colonnello Demetrio Cogliandro, il quale parlò della cosa all'ex direttore del Servizio, Generale Giuseppe Santovito che - benché fosse stato destituito in seguito allo scandalo P2 - disse che avrebbe risolto la faccenda di persona. A fine marzo, mentre si trovava a Napoli, Aldo Semerari scomparve. Il 1º aprile 1982 il suo corpo venne ritrovato decapitato ad Ottaviano (NA) nel bagagliaio di un'auto, con la testa posta dentro una bacinella sul sedile anteriore. Ma il primo vero sodalizio tra la Banda e i gruppi di estrema destra si ha con i giovani dei Nuclei Armati Rivoluzionari, attraverso Massimo Carminati ("il Nero" del film e della serie TV di Romanzo Criminale) che frequentava lo stesso bar di Giuseppucci e Abbatino. Carminati divenne presto il pupillo del clan della Magliana e con lui strinsero legami altri ragazzi dei NAR come Giuseppe Valerio Fioravanti, detto Giusva, suo fratello Cristiano Fioravanti, Alessandro Alibrandi e Francesca Mambro. I due gruppi allacciarono stretti rapporti di collaborazione. La banda principalmente riciclava il denaro sporco proveniente dalle rapine con cui i NAR si finanziavano ed in cambio i ragazzi neofascisti effettuavano lavori di manovalanza come riscuotere i crediti dell'usura o trasportare droga. La collaborazione però, che ha suscitato i maggiori misteri, fu la gestione comune delle armi: mitra, bombe, fucili ritrovati sorprendentemente nei sotterranei del Ministero della Sanità.All'interno del covo nel sotterraneo del Ministero, vengono ritrovate anche cartucce di una marca particolare - Gevelot - difficilmente reperibili sul mercato. Apparentemente non vi era nulla di strano, ma quattro proiettili dello stesso tipo, appartenenti allo stesso lotto e con lo stesso grado d'usura del punzone che marca la punta, vennero utilizzati per un omicidio particolare. La vittima era Mino Pecorelli, direttore di un'agenzia di stampa specializzata in scandali politici, e del delitto saranno successivamente accusati Giulio Andreotti e Claudio Vitalone, poi assolti. Al processo emergerà un chiaro coinvolgimento della banda nel delitto, anche se Massimo Carminati, imputato di aver commesso materialmente l'omicidio sarà poi assolto. Dal processo emerse anche - secondo i giudici - «la prova di rapporti tra Claudio Vitalone e la banda della Magliana in persona di Enrico De Pedis». A parere dei magistrati però «gli elementi probatori non sono univoci» e non permettono «di ritenere riscontrata la chiamata in correità fatta nei suoi confronti». Insomma, Vitalone aveva rapporti con l'organizzazione criminale ma non ci furono prove abbastanza evidenti dal punto di vista penale Testaccio-Trastevere Franco Giuseppucci (detto Fornaretto poi er Negro) (il "Libano" del film e della serie TV di Romanzo Criminale) Danilo Abbruciati (detto er Camaleonte) ("Nembo Kid" della serie TV di Romanzo Criminale) Enrico De Pedis (detto Renatino) (il "Dandi" del film e della serie TV di Romanzo Criminale) Raffaele Pernasetti (detto er palletta) Acilia-Ostia Nicolino Selis (detto er Sardo) Antonio Leccese (detto Ricciolodoro) Giuseppe Magliolo (detto "Il killer") Giuseppe e Vittorio Carnovale (detti "il tronco" e "il coniglio") (i Fratelli Buffoni del film e della serie TV di Romanzo Criminale) Fulvio Lucioli (detto "il sorcio") Giovanni Girlando (detto "Gianni il Roscio") (Satana della serie TV di Romanzo Criminale) Libero Mancone (il "Fierolocchio" del film e della serie TV di Romanzo Criminale) Orazio Pannosecchi Tufello e Alberone Gianfranco Urbani (detto er Pantera) (il Puma della serie TV di Romanzo Criminale) Angelo De Angelis (detto er Catena) Il declino Il primo, grave contraccolpo all'organismo della Banda avvenne ad inizio anni ottanta, quando si sviluppò una sanguinosa faida all'interno della malavita romana tra questa ed il clan criminale della famiglia Proietti. Vittima eccellente di questa guerra fu Franco Giuseppucci, ucciso a Piazza San Cosimato (Trastevere) il 13 settembre 1980 con colpi di pistola, da parte di esponenti del Clan della famiglia Proietti, detti i pesciaroli per via della loro attività commerciale, una famiglia molto numerosa e molto vicina a quel Franchino er Criminale, abbattuto dai componenti della Magliana all'Ippodromo di Tor Di Valle. All'inizio la morte di er Negro fu un pretesto per scatenare una guerra contro il clan dei pesciaroli (con gravissime perdite riportate da parte del clan Proietti) la quale segnò però l'inizio della disgregazione della Banda: da quel momento i due gruppi prevalenti - i Testaccini di Abbruciati e De Pedis da una parte, quelli della Magliana guidati da Abbatino dall'altra - entrarono in una fase di continua tensione, stante comunque la predominanza sul piano affaristico dei Testaccini. Nell'aprile del 1982 Abbruciati si incaricò di eseguire un atto di intimidazione a danno del vicepresidente del Banco Ambrosiano, Roberto Rosone: la sua arma inizialmente si inceppò, poi il malvivente riuscì comunque a gambizzare il banchiere ed il suo autista, ma durante la fuga in moto venne freddato alle spalle da alcuni colpi di pistola esplosi da una guardia giurata. Sempre più compromesso con mafiosi (Calò) e massoni (Gelli, Pazienza), De Pedis si ritrovò solo nel conflitto che ormai lo contrapponeva a Crispino. Mentre i capi dell'organizzazione e diversi aderenti ad essa venivano arrestati e condannati in tribunale, uno di essi, il falsario Antonio Chichiarelli detto Tony - già coprotagonista di risvolti inquietanti dei delitti Moro e Pecorelli - pianificò ed attuò una spettacolare rapina al deposito blindato della Brink's Securmark, che fruttò ai criminali un bottino di diversi miliardi di lire (il Chichiarelli stesso lasciò poi sul luogo del delitto alcuni oggetti che richiamarono l'attenzione degli inquirenti sugli omicidi Moro, Pecorelli e Varisco). Il falsario però non ebbe il tempo di godersi il frutto del proprio atto criminoso, in quanto un killer rimasto ignoto lo uccise con nove proiettili pochi mesi più tardi. Colpita al cuore dagli omicidi e dal lavoro della magistratura, la Banda della Magliana si avviò verso il tramonto: mentre De Pedis andava incontro al suo tragico destino (vedi seguito), si segnalarono i primi casi di pentitismo, con le defezioni di Abbatino, Mancini e di Fabiola Moretti (ex donna di Abbruciati, specialista dell'organizzazione nella raffinazione e qualificazione dei narcotici). La sepoltura di Enrico De Pedis L'ultimo capo della Banda della Magliana, Enrico De Pedis, detto Renatino, muore il 2 febbraio 1990. Ultimo grande boss della gang romana, trasteverino puro sangue, proprietario di note trattorie, Renatino fu ucciso in pieno giorno in via del Pellegrino, tra la folla del mercato di Campo de' Fiori. Tumulato inizialmente al Cimitero del Verano, fu poi sepolto in grande riservatezza, il successivo 24 aprile, nella Basilica di Sant'Apollinare, dove si era sposato nel 1988: riguardo particolarissimo, che quando fu risaputo diede molto da parlare ai cronisti. La notizia uscì sul quotidiano "Il Messaggero" nel 1995 e solo due anni dopo, in un servizio della giovane reporter Raffaella Notariale, inviata speciale per la trasmissione "Chi l'ha visto?" (Rai Tre), furono resi pubblici i documenti originali e le foto del sarcofago sistemato nel sotterraneo della Basilica di Sant'Apollinare. La notizia dei documenti originali, mai visti prima, lanciò la stagione televisiva del programma facendone la sua fortuna.[8]. A Renatino i soldi non mancavano: con l'operazione "Colosseo" la polizia sequestrò ai boss della Magliana ottanta miliardi di beni mobili e immobili, un fiume di denaro sporco, frutto di riciclaggio del traffico di armi e droga, poi reinvestito in affari e appalti resi possibili dagli appoggi politici, di alto livello. Pur sposato, Renatino è stato legato per lungo tempo a una donna, Sabrina Minardi che, intervistata da Raffaella Notariale e poi interrogata dalla Procura, ha permesso di legare a doppio filo la vicenda Orlandi alle malefatte della holding criminale.

 
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