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« FOTO DELLA LAPIDE E DELL...SABRINA MINARDI »

STORIA DELLA BANDA DELLA MAGLIANA

Post n°248 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

I MOTIVI DELL'AFFERMAZIONE DELLA BANDA DELLA MAGLIANA Il motivo per cui un gruppo riuscì a raggiungere per la prima volta il controllo di una metropoli come Roma è da cercarsi nei metodi che la Banda della Magliana introdusse nel panorama capitolino. Primo fra tutti, gli omicidi. Dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni settanta la criminalità romana era divisa in quartieri: ognuno controllava la propria zona dove mantenere il potere era semplice. Non che non si commettessero omicidi, ma le pistole si usavano molto raramente e nessuno di essi veniva premeditato per il mantenimento o la conquista del potere. Quelli della Magliana, invece, vollero allargare il controllo a tutta la città e per farlo usarono sistematicamente le pistole, eliminando gli oppositori alla loro espansione e contemporaneamente incutendo timore a chi avesse voluto intromettersi nella crescita della banda. «Eravamo i più potenti, perché eravamo gli unici che sparavano», avrebbe detto anni dopo in un'aula di tribunale uno di loro. La Banda della Magliana, a differenza di altri nuclei criminali organizzati, come la Camorra o Cosa Nostra, non presentava un'organizzazione piramidale: non aveva infatti un solo capo, ma diversi, divisi in gruppi, che spesso lavoravano anche singolarmente e senza la necessità che gli altri lo sapessero. Questa gerarchia non piramidale ha avuto come effetto collaterale quello di consentire di volta in volta ad entità esterne di fare uso della Banda per i propri scopi, come alcuni ritengono possano aver fatto branche deviate dei servizi segreti.I proventi dei crimini erano comunque divisi sempre in parti uguali, ogni membro riceveva la cosiddetta "stecca", una sorta di dividendo indipendente dal lavoro svolto in quel periodo che anche i membri detenuti continuavano comunque a ricevere attraverso la famiglia. I vari componenti erano tenuti in ogni caso a continuare a partecipare all'attività criminale: anche quando alcuni di loro divennero veramente ricchi, girando su Ferrari con Rolex al polso, continuarono ad essere degli operai del crimine LA BANDA DELLA MAGLIANA E I NAR Nuclei Armati Rivoluzionari Ma il primo vero sodalizio tra la Banda e i gruppi di estrema destra si ha con i giovani dei Nuclei Armati Rivoluzionari, attraverso Massimo Carminati ("il Nero" del film e della serie TV di Romanzo Criminale) che frequentava lo stesso bar di Giuseppucci e Abbatino. Carminati divenne presto il pupillo del clan della Magliana e con lui strinsero legami altri ragazzi dei NAR come Giuseppe Valerio Fioravanti, detto Giusva, suo fratello Cristiano Fioravanti, Alessandro Alibrandi e Francesca Mambro. I due gruppi allacciarono stretti rapporti di collaborazione. La banda principalmente riciclava il denaro sporco proveniente dalle rapine con cui i NAR si finanziavano ed in cambio i ragazzi neofascisti effettuavano lavori di manovalanza come riscuotere i crediti dell'usura o trasportare droga. La collaborazione però, che ha suscitato i maggiori misteri, fu la gestione comune delle armi: mitra, bombe, fucili ritrovati sorprendentemente nei sotterranei del Ministero della Sanità. I PRIMI CONTRASTI INTERNI ALLA BANDA DELLA MAGLIANA Con la morte di Giuseppucci e alcune questioni di denaro aumentano i contrasti all’interno della banda. Tra i giovani boss il più irrequieto è Nicolino Selis che dal manicomio giudiziario dove si trova grazie all’ennesima perizia compiacente manda messaggi minacciosi. Cosa che viene confermata da Antonio Mancini: «Quando ottenne il famoso permesso, la prima cosa che ha chiesto non è stata di vedere gli amici per andare a cena o a un ballo con quattro smadrappate. No, si è presentato con un’agenda piena di conti: “Mi dovete questo, quell’altro, perché non avete ammazzato Danilo Abbruciati, dovete ammazzare anche Enrico De Pedis…”. Allora abbiamo deciso che se ne doveva andare. E se n’è andato, purtroppo per lui». In particolare Selis è indisposto verso De Pedis il quale a differenza degli altri che sperperavano tutti i loro introiti, investe i suoi soldi in attività legali e non, tanto che a un certo punto non vuole più dividere la “stecca” con gli altri perché ormai i suoi proventi provengono in larga parte dalle attività private. Il 3 febbraio, quindi, Selis uscito per un breve permesso viene attirato in una trappola e freddato dai suoi stessi soci Abbatino, Mancini e Colafigli. Il suo corpo, mai ritrovato, viene sepolto in una buca vicino all’argine del Tevere e ricoperto dal pepe per non far avvicinare i cani e per affrettare la decomposizione. Testaccini vs Magliana A Ostia il16 marzo 1989 due sicari dei testaccini uccidono Toscano, uscito dal carcere da poche settimane. La risposta arriva un anno dopo, quando il 2 febbraio del ‘90 Enrico De Pedis, considerato ormai il re della malavita romana, cade vittima di un agguato nella centralissima via del Pellegrino. Poche settimane dopo, il 18 marzo, scompare anche Roberto Abbatino, fratello del latitante Maurizio. Prima di ucciderlo i sequestratori lo seviziano a lungo e il corpo viene restituito dal Tevere solo una settimana dopo. Poi il 18 novembre è la volta di Claudio Sicilia, il pentito ritenuto non attendibile, lasciato al suo destino dallo Stato. La magistratura e la polizia a questo punto intensificano gli sforzi: l’obiettivo è sempre lui Abbatino che nel ’91 dopo sei anni di latitanza commette un errore così come racconta Nicolò D’Angelo: «Noi ogni anno a Natale e Capodanno eravamo lì ad ascoltare se arrivava una telefonata di auguri alla famiglia e per sei anni non è mai arrivata. Ma il sesto anno è arrivata e questo ci ha permesso di arrestarlo». Così nel gennaio 1992 Abbatino che viveva sotto falsa identità in Venezuela, viene arrestato in un bar di Caracas. Non oppone resistenza e in seguito decide di collaborare con la magistratura perché non si era sentito particolarmente tutelato dagli amici: «Potevo evadere tranquillamente e non sono stato aiutato. Poi c’è stata la morte di mio fratello e credo che i responsabili siano stati loro, se non materialmente moralmente perché c’era da parte della banda un sodalizio per cui andavano protetti anche i famigliari. Ormai ero rimasto solo e non sapevo più da che parte stare. Non mi fidavo più di nessuno». Con le dichiarazioni di Abbatino vengono arrestate 56 persone tutte legate alla banda della Magliana, alla destra eversiva, alla P2 e a Cosa Nostra. LA CONTRAPPOSIZIONE DE PEDIS-CRISPINO Dopo la morte di Giuseppucci, comincio' a delinearsi una vera e proprio contrapposizionetra De Pedis e Crispino che man mano porto' la banda al tramonto. De Pedis Sempre più compromesso con mafiosi (Calò) e massoni deviati (Gelli, Pazienza), De Pedis si ritrovò solo nel conflitto che ormai lo contrapponeva a Crispino. Mentre i capi dell'organizzazione e diversi aderenti ad essa venivano arrestati e condannati in tribunale, uno di essi, il falsario Antonio Chichiarelli detto Tony - già coprotagonista di risvolti inquietanti dei delitti Moro e Pecorelli - pianificò ed attuò una spettacolare rapina al deposito blindato della Brink's Securmark, che fruttò ai criminali un bottino di diversi miliardi di lire (il Chichiarelli stesso lasciò poi sul luogo del delitto alcuni oggetti che richiamarono l'attenzione degli inquirenti sugli omicidi Moro, Pecorelli e Varisco). Il falsario però non ebbe il tempo di godersi il frutto del proprio atto criminoso, in quanto un killer rimasto ignoto lo uccise con nove proiettili pochi mesi più tardi. Colpita al cuore dagli omicidi e dal lavoro della magistratura, la Banda della Magliana si avviò verso il tramonto: mentre De Pedis andava incontro al suo tragico destino( fu ucciso in pieno giorno in via del Pellegrino, tra la folla del mercato di Campo de' Fior)i. Tumulato inizialmente al Verano, fu poi sepolto in grande riservatezza, il successivo 24 aprile, nella Basilica di Sant'Apollinare) , si segnalarono i primi casi di pentitismo, con le defezioni di Abbatino, Mancini e di Fabiola Moretti (ex donna di Abbruciati, specialista dell'organizzazione nella raffinazione e qualificazione dei narcotici). LA SCOMPARSA DI EMANUELA ORLANDI Il legame tra Enrico De Pedis e il rapimento di Emanuela Orlandi è ancora oggetto di indagini da parte della magistratura romana, ed è scaturito da una serie di dichiarazioni e sospette coincidenze, prima tra tutte l'insolita sepoltura di De Pedis, scoperta nel 1997 nella cripta della basilica di Sant'Apollinare a Roma, struttura di proprietà dell'Opus Dei Nel 2007 un pentito della Banda della Magliana, Antonio Mancini disse ai magistrati della Procura di Roma che in carcere, all'epoca della scomparsa della quindicenne «Si diceva che la ragazza era robba nostra, l'aveva presa uno dei nostri» Nel giugno 2008, Sabrina Minardi, ex moglie del calciatore Bruno Giordano e per molti anni amante di De Pedis ha rilasciato alcune dichiarazioni, secondo le quali De Pedis avrebbe eseguito materialmente il sequestro per ordine del monsignor Paul Marcinkus (allora a capo dello IOR). A detta della Minardi, l'Orlandi fu giustiziata sei, sette mesi dopo e il cadavere sarebbe stato occultato da De Pedis presso Torvajanica in una betoniera, assieme ai resti di un altro giovanissimo ostaggio, Domenico Nicitra, 11 anni, figlio di un ex affiliato della banda della Magliana, il siciliano Salvatore Nicitra. Tuttavia il piccolo Nicitra scomparve solo nell'estate del 1993, tre anni dopo la morte di De Pedis[2]. Le dichiarazioni della Minardi, benché siano state riconosciute dagli inquirenti come parzialmente incoerenti (anche a causa dell'uso di droga da parte della donna in passato) hanno acquistato maggior credibilità nell'agosto dello stesso anno, a seguito del ritrovamento della BMW che la stessa Minardi ha raccontato di aver utilizzato per il trasporto di Emanuela Orlandi e che risulta appartenuta prima a Flavio Carboni, imprenditore indagato e poi assolto nel processo sulla morte di Roberto Calvi, e successivamente ad uno dei componenti della Banda della Magliana Nel dicembre 2009, due pentiti della Banda della Magliana hanno rilasciato dichiarazioni relative al coinvolgimento di De Pedis e di alcuni esponenti vaticani nella vicenda di Manuela Orlandi. Antonio Mancini ha rivelato il 10 dicembre che il sequestro di Emanuela Orlandi venne gestito da De Pedis «nel quadro di problemi finanziari con il Vaticano». Maurizio Abbatino, altro collaboratore di giustizia della Banda, ha dichiarato al procuratore aggiunto titolare dell'inchiesta che - a seguito di confidenze raccolte fra i membri della banda - il sequestro e l'uccisione di Emanuela avvennero per opera di De Pedis e dei suoi uomini, nell'ambito di rapporti intrattenuti da lui con alcuni esponenti del Vaticano . Ora a distanza di anni , per il caso Emanuela Orlandi ci sono tre indagati: Sergio Virtù detto “il macellaio”, 49 anni, presunto autista del boss della Magliana Enrico De Pedis detto “Renatino”; Angelo Cassani detto ”Ciletto”, 49 anni e Gianfranco Cerboni detto ”Giggetto”, 47. Tutti accusati di sequestro di persona a scopo di estorsione, aggravato dalla morte dell’ostaggio e dal fatto che fosse minorenne LE Collaborazioni e le confidenze Abbatino, collaboratore di giustizia da decenni, ha precisato che quanto è a suo conoscenza sul caso Orlandi è frutto di confidenze raccolte da altri componenti della Banda. Al magistrato ha detto che il sequestro avvenne nell'ambito dei rapporti che «Renatino» aveva con alcuni esponenti del Vaticano - ultimamente si è tornati a parlare del fatto che il boss dell'organizzazione criminale che controllava Roma negli anni Settanta e Ottanta sia stato sepolto all'interno della basilica di Sant'Apollinare - e che ad aiutare il boss, poi ucciso nel febbraio del '90 in via del Pellegrino, furono diversi uomini di sua fiducia, alcuni ancora in vita, altri deceduti da tempo. Abbatino avrebbe citato una serie di nomi su cui ora il procuratore aggiunto farà i dovuti riscontri. Nega, invece, ogni coinvolgimento della Banda della Magliana nel sequestro di Emanuela Orlandi, Claudiana Bernacchia, 53 anni, detta "Casco d'oro", sentita dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo che l'ha convocata come persona informata sui fatti. La Bernacchia ha escluso un ruolo di Enrico De Pedis e di altri suoi uomini nel rapimento della 15enne cittadina vaticana, avvenuto il 22 giugno del 1983, ma le sue risposte non sarebbero state particolarmente convincenti. La donna ha smentito quanto affermato nei giorni scorsi dai pentiti Antonio Mancini e Maurizio Abbatino, ma a chi indaga sarebbe apparsa più che reticente. Stando agli inquirenti, infatti, la Bernacchia, attualmente legata a un imprenditore (che non ha mai avuto conti in sospeso con la giustizia pur avendo conosciuto Renatino), sarebbe depositaria di molti segreti dell'organizzazione criminale. Arrestata nel '90 in occasione di un sequestro di 10 chili di cocaina e poi nuovamente in manette nel '93 nell'ambito dell'operazione Colosseo mentre si trovava in una villa alla periferia di Marino, grazie anche alle rivelazioni di Abbatino, la Bernacchia ha prima convissuto con Claudio Sicilia, il pentito assassinato nel novembre del '91 e dal quale ebbe due figli. Successivamente è stata la moglie di Giorgio Paradisi, altro esponente della Magliana vicino a Renatino, in carcere dal '92 e poi deceduto nel 2006 per malattia mentre era nel carcere di Secondigliano. LA BANDA DELLA MAGLIANA E IL CASO CALVI Per Giuffé il mandante fu Pippo Calò Nella programmazione dell’omicidio di Roberto Calvi, Ernesto Diotallevi ebbe un «ruolo manuale», mentre Flavio Carboni, principale imputato nel processo, recitó la parte del «compare», ossia di «amico-boia che dapprima si guadagnó la fiducia del banchiere e poi l’accompagnó nell’ultimo pezzo di strada consegnandolo alle persone che lo uccisero». È quanto emerge dalla deposizione del pentito di mafia Antonino Giuffré al processo per l’omicidio di Calvi, trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri, a Londra, il 18 giugno 1982. Il collaboratore di giustizia ha sottolineato di aver appreso le circostanze della morte dell’ex presidente del Banco Ambrosiano da Lorenzo Di Gesù, uomo d’onore di Caccamo, deceduto, nel periodo in cui i giornali parlavano del “suicidio” di Calvi. «Appresi così» - ha aggiunto Giuffré - «che non si era suicidato, ma era stato suicidato». «A farsi carico dell’omicidio» - ha raccontato ancora il pentito - «fu Pippo Caló, il quale aveva rapporti con la Banda della Magliana ed, in particolare, con Danilo Abbruciati, Domenico Balducci ed Ernesto Diotallevi. E proprio quest’ultimo ebbe un ruolo manuale nell’ omicidio». Secondo le bollenti rivelazioni, Roberto Calvi fu ucciso perchè fece il passo più lungo della gamba: «quando la magistratura cominciò ad indagare, lui iniziò a minacciare, tra gli altri, il cardinale Marcinkus, esponenti della P2 nonché rappresentanti di Dc e Psi». Collegato in videoconferenza con l’aula bunker di Rebibbia, Giuffrè ha ribadito che Calvi aveva un legame abbastanza solido con Cosa Nostra: «Era considerato utile e veniva utilizzato per investire i profitti derivanti dal traffico di droga». Misteri italiani e depistaggi: con Lupacchini si parla di Magliana e della strage di Bologna 28 marzo 2006 Pistole e misteri: era una «spa» criminale dalle attività diversificate la Banda della Magliana, che per anni impose la sua legge nella capitale. Una storia che vede legami mai del tutto chiariti con P2, politica e intelligence «deviata», ipotizzando un ruolo dell'organizzazione in molti «misteri italiani», dal sequestro Moro alla strage di Bologna. Proprio nei depistaggi per sviare le indagini sull'attentato del 2 agosto 1980 incombe l'ombra mai sufficientemente svelata della Magliana. E di questo aspetto si parlerà domani alle 16.30, in via di Ripetta, 22, dove l'associazione Edmond Dantès presenta il libro sul sodalizio criminale scritto da Otello Lupacchini, alla presenza dell'autore e dei giornalisti del Manifesto e di Libero Andrea Colombo e Renato Besana. Un'occasione per confrontarsi senza pregiudizi, tentando di rinunciare al mero interesse di parte in nome di quella ricerca della verità sempre più indispensabile per un paese che continua a pretendersi civile. I DUE AVVOCATI DELLA BANDA DELLA MAGLIANA INDAGATI Tra gli avvocati della banda, ad un certo punto ve ne furono due che furono indagati ed erano Antonio Pellegrino e Piergiorgio Manca .li tirarono in balli i pentiti ma furono ben presto prosciolti. BIAGIO ALESSE IL CUSTODE DELLE ARMI nato a Leonessa un paesino di montagna in prov. di Rieti, essendo risultato invalido era stato assunto presso il ministero della sanita' prima come centralinista e poi come custode. Era lui che custodiva nei sotterranei del ministero l'intera santabarbara della banda della magliana.19 tra pistole e revolver,una machine pistol M12,un mitra moschetto automatico Beretta (mab), un mitragliatore Sten,altri fucicili mitragliatori, oltre a cartucce e a bombe a mano. Biagio ALESSE, si fece convincere agevolmente a fare anche il custode delle armi, con un compenso fisso di circa un milione al mese e con la tacita garanzia che, per ogni necessita’ economica, la banda avrebbe fatto fronte ai suoi impegni. Per vero, attese le difficolta’ che si potevano incontrare di giorno ad accedere al Ministero, un certo quantitativo, alquanto esiguo, venne ancora custodito in appartamenti come quello di via degli Artificieri che, tramite Gianni TRAVAGLINI era stato preso in affitto da Massimo MINATI, incensurato, legato a Marcello COLAFIGLI. A proposito di Alesse ,Abbatino in un interrogatorio dice:"ogni qualvolta si dovesse portarle fuori per essere usate, ALESSE ci aveva messo a disposizione un ampio locale nei sotterranei dello stesso Ministero. Quando dico “preparare” le armi, intendo far riferimento all’indispensabile attivita’ di pulitura delle armi reputate necessarie alla specifica operazione per cui dovevano essere usate, previa individuazione delle stesse, di caricamento, di predisposizione dei guanti e di approntamento dei contenitori.Salvo che non si rendesse indispensabile, queste operazioni, come pure quelle di consegna al custode venivano effettuate di sera, per non dare nell’occhio: l’ALESSE, di solito previamente avvertito telefonicamente dal SICILIA, si faceva trovare al Ministero o al bar dell’Eurcine, di fianco al Ministero. Noi non si disponeva delle chiavi di accesso al Ministero.Per quanto poi concerne, in particolare, la riconsegna, questa veniva effettuata quasi sempre da Claudio SICILIA e da Gianfranco SESTILI: essi si limitavano a lasciare il borsone all’ALESSE, il quale provvedeva autonomamente all’occultamento. Mentre per quanto concerne il ritiro e la preparazione delle armi, l’ALESSE poteva consentirla soltanto ai due predetti, a me, a Marcello COLAFIGLI e alle persone che si fossero presentate in nostra compagnia. Per quanto sono in grado di ricordare e per quel che mi risulta personalmente, mi recai al Ministero una volta in compagnia di Danilo ABBRUCIATI ed un’altra in compagnia di Massimo CARMINATI. Ora, mentre Danilo ABBRUCIATI non era autorizzato a recarsi da solo presso il Ministero – in altre parole non era consentito all’ALESSE di consegnargli armi – a Massimo CARMINATI venne consentito, invece, in un secondo momento, di accedere liberamente al Ministero. La decisione di consentire l’accesso con maggiore liberta’ al CARMINATI, venne presa da me, nell’ottica di uno scambio di favori tra la banda ed il suo gruppo. Massimo CARMINATI, d’altra parte, nei limiti del possibile avrebbe dovuto avvertirmi di quando si recava al Ministero e, comunque, era tenuto, per le ragioni di sicurezza piu’ volte spiegate, a non riconsegnare armi “sporche”. Non si trattava, nel suo caso, di vero e proprio obbligo, in quanto non era vincolato alle regole della banda, tuttavia, non sembravano sussistere ragioni per poter sospettare che non si attenesse alle regole comportamentali il cui rispetto garantiva la sicurezza di tutti. 28 maggio 2006 Torna in carcere il "cassiere" della Magliana Enrico Nicoletti è stato arrestato insieme ai due figli. L'accusa è di aver riciclato, attraverso prestanome titolari di alcuni supermercati, ingenti somme di denaro provenienti dal clan camorristico dei Casalesi Soldi, malavita organizzata, riciclaggio e supermercati: milioni di euro da "pulire" perché provenienti dal giro dell'usura e del traffico di droga dal clan dei Casalesi, famiglia di spicco della Camorra napoletana. A tenere i conti uno che di giri loschi se ne è occupato per una vita, Enrico Nicoletti, considerato dalle cronache giudiziarie l'ex cassiere della Banda della Magliana. In aiuto dell'ormai 70enne "imprenditore" romano, i due figli: Antonio e Massimo Nicoletti, rispettivamente di 43 e 42 anni. Per tutti e tre i carabinieri della Capitale hanno notificato i provvedimenti di custodia cautelare emessi dai pm Francesco Curcio e Raffaele Catone, che insieme alla Dia di Napoli hanno già spedito in carcere 24 persone coinvolte nella stessa inchiesta. L'accusa, per i Nicoletti, è di aver riciclato denaro "sporco" per conto dei Casalesi attraverso alcuni prestanome titolari di supermercati - sono 16 quelli già sequestrati dagli uomini della Dia e della Guardia di Finanza - che in realtà erano controllati dal malavitoso romano. I tre erano tornati in libertà nell'ottobre scorso. Per Enrico erano scaduti i termini di carcerazione preventiva, mentre per i figli ha fatto buon gioco un cavillo burocratico. Secondo gli inquirenti il sodalizio malavitoso tra la famiglia Nicoletti e il clan dei Casalesi non è mai stato interrotto sin dai primissimi anni '90. La Camorra, sostengono gli investigatori napoletani, "ha invaso il basso Lazio con forti disponibilità economiche e capacità operative che possono spingere i clan molto lontano". Il punto centrale del sistema era di aggirare la normativa antiriciclaggio che impone ai direttori degli istituti di credito di segnalare agli uffici competenti i soggetti che presentano assegni con ingenti somme di denaro. Se poi si tratta di persone con precedenti penali, l'informativa viene inviata alla Dia nazionale e alla polizia valutaria della Guardia di Finanza. Dunque i supermercati rappresentavano un escamotage perfetto per eludere i controlli e far entrare diverse migliaia di euro al giorno direttamente nelle tasche del clan. Per Nicoletti e figli si tratta solo dell'ennesimo arresto come tanti altri hanno segnato la vita del boss a partire dagli anni '80. Protagonista inossidabile della malavita romana, l'ex cassiere della Banda della Magliana, è stato più volte arrestato e poi scarcerato. Ha subito un numero impressionante di confische e sequestri per milioni di euro, che poi in parte gli sono stati restituiti. Eppure, lui ha sempre negato ogni legame con il crimine definendosi un semplice imprenditore. Ma con la Camorra napoletana Nicoletti ha sempre fatto "buoni affari" e intrattenuto relazioni pericolose, anche se si è sempre e solo occupato di business.

 
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