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I DELITTI DI ALLEGHE

Post n°298 pubblicato il 14 Agosto 2011 da tignalucida

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Una catena di delitti cominciata nel 1933 e a cui una sentenza della Cassazione metterà il sigillo finale solo nel 1964. Nell’arco di questi 31 anni si dipanano i misteri di Alleghe, resi celebri da un bel libro scritto dal giornalista e scrittore Sergio Saviane. Cinque omicidi ambientati sulle rive del lago omonimo, in un paesino in provincia di Belluno ai piedi delle Dolomiti, maturati in una stretta cerchia di persone, saldamente legati l’uno agli altri e che avvengono in un clima di paura e di omertà. Nel corso degli anni, proprio per il mistero che circonda questi omicidi, ma soprattutto per la ferrea omertà che li protegge, il chiacchericcio dei paesani vicini comincia addirittura a cambiare il nome del paesino: da Alleghe in Montelepre, con un chiaro riferimento al paese siciliano del bandito Giuliano. Oggi il lavoro di Saviane - anticipato da un articolo che lo stesso scrisse per Il Lavoro Illustrato nell’aprile del 1952 che gettava luce proprio su quei delitti - sarebbe considerato giornalismo investigativo. All’epoca, invece, gli valse solo una condanna a otto mesi di reclusione per il reato di diffamazione in un processo intentatogli dagli stessi assassini. Il marcio che muove le mani degli assassini (un’intera famiglia di albergatori con un complice esterno) nasce da un peccato di gioventù della proprietaria dell’Albergo Centrale di Alleghe, Elvira Riva: un figlio subito dato in affidamento. La donna sposa Fiore Da Tos, uomo autoritario, che mai le perdonerà quel figlio innaturale, ma che da lei avrà altri due figli, Aldo e Adelina che sposerà Pietro De Biasio. La famiglia in nero è questa. Quando il figlio della colpa arriverà ad Alleghe per pretendere la sua parte di eredità comincia la saga degli orrori.Trattandosi di delitti così lontani nel tempo (siamo nel 1933), è possibile che non tutto oggi sia chiaro, anche perché i tre processi svoltisi negli anni Sessanta non tutto hanno chiarito. Saviane è convinto che l’eliminazione del figlio innaturale di Elvira (fatto a pezzi) sia all’origine di un altro delitto: l’eliminazione, il 9 maggio 1933, della cameriera dell’albergo, Emma De Ventura, che forse quel primo omicidio aveva scoperto, trovata sgozzata da un rasoio, ma la cui morte viene subito archiviata come suicidio. Sette mesi appena e un nuovo fatto di sangue macchia la traquillità di Alleghe. Questa volta la vittima è Carolina Finazzer, trovata morta nel lago, freschissima sposa di Aldo Da Tos dal quale probabilmente aveva ricevuto qualche confessione di troppo. Anche per Carolina scattano tutte le coperture: suicidio. Di anni da questo momento ne trascorrono 13. Siamo al 18 novembre 1946: vittime i coniugi Del Monego, altri due che forse sapevano, uccisi a colpi di pistola. Poi il silenzio. Fino a quando un giuornalista impiccione non decide di andare a mettere il naso in quella catena di delitti. Lo fermano con l’intimazione di una condanna per diffamazione. Ma è proprio sull’onda di quell’articolo di giornale che l’inchiesta sui delitti di Alleghe comincia, superando reverenze ed omertà grazie all’impegno di due carabinieri, Domenico Uda ed Ezio Cesca, investigatori di razza, di quelli di una volta che non aspettano il “pentito” di turno per sviluppare un’indagine. L’8 giugno 1960, al termine di un processo durato sei mesi, la Corte di Assise di Belluno condanna Adelina e Aldo Da Tos e Pietro De Biasio all’ergastolo per l’uccisione di Carolina Finazzer e dei coniugi Luigia De Toni e Luigi Del Monego. Per l’assassinio dei Del Monego viene condannato anche Giuseppe Gasperini, uno sbandato ex-partigiano, a trent’anni di reclusione. Nessuna condanna invece per l’omicidio di Emma De Ventura. Il delitto è caduto in prescrizione. Né per quello del figlio illegittimo di Elvira, nel frattempo morta di morte naturale come il padre-padrone Fiore Da Tos. Il processo d’Appello a Venezia (1962) e quello in Cassazione (1964) confermano la sentenza di primo grado.

 
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