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OMICIDIO PIO LA TORRE

Post n°338 pubblicato il 28 Dicembre 2011 da tignalucida

xLa Torre lo aveva chiesto con insistenza e ottenuto quell'incarico in Sicilia, alla segreteria regionale del maggiore partito d'opposizione, per riprenderne in mano le sorti e "bonificarlo" da una situazione di diffuso incancrenimento consociativo col sistema di potere democristiano. Formato alla scuola di Girolamo Li Causi, Pio La Torre - ora come allora - è uomo-simbolo della lotta per la terra e della grande battaglia per l'occupazione dei feudi nell'isola; il cuore e la mente di quel movimento dei lavoratori che negli anni del dopoguerra era entrato in aperto scontro con i gabelloti ed i campieri, con la mafia agraria e rurale; uno scontro che a La Torre era costato anche l'arresto e il carcere. Dopo la stagione romana, La Torre torna in Sicilia anche con un enorme bagaglio di conoscenze ed analisi sul fenomeno mafioso e sui suoi occulti e ramificati collegamenti con la politica e la finanza; è in gran parte sua, infatti, la ponderosa relazione di minoranza presentata al Parlamento al termine dei lavori della prima Commissione antimafia, in cui elenca minuziosamente per nome e cognome gli autori del sacco edilizio, i padroni degli appalti, i boss emergenti e quelli da poco spodestati. Passano i giorni e La Torre, malvisto anche da alcuni settori del PCI isolano per la sua radicale scelta di trasparenza nell'azione politica, non fa mistero di temere qualcosa o qualcuno: chiede il porto d'armi, cambia orari e abitudini, guardingo e sospettoso. Sa di essere nel mirino per tante ragioni: in pieno clima governativo filo-americano, ha costruito e guida un movimento pacifista attraverso cui riuscito a portare 200.000 persone a Comiso, per protestare contro l'installazione dei missili americani Cruise; ha messo gli occhi su affari poco chiari di alcuni imprenditori catanesi a Palermo; guarda con sospetto all'attività di alcune "cooperative rosse" nel mercato degli appalti pubblici e dell'agricoltura; ma, soprattutto, segue con crescente attenzione l'evoluzione della situazione relativa al traffico degli stupefacenti e al riciclaggio del denaro sporco attraverso i canali dell'alta finanza, dei servizi segreti e dell'alta politica. Si interessa, in particolare, del caso Sindona e finisce - pare - col mettere gli occhi su flussi di denaro che portano a Calvi e alle banche vaticane.

 

Uno squadrone di macellai mafiosi lo massacreranno insieme all'autista Rosario Di Salvo il 30 aprile del 1982, quando sono stati da poco definiti i dettagli per l'insediamento del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a Prefetto di Palermo. Le indagini sull'omicidio segneranno il passo per nove anni; nove anni all'insegna di perizie fatte male o - addirittura - sbagliate, di testimoni sentiti dopo anni di inerzia, di negligenze e leggerezze non si sa se occasionali o premeditate. Solo su impulso della parte civile si scopre che La Torre era spiato dai servizi segreti "ufficiali" ma anche da un loro organo "occulto" di cui nulla di più si riesce a sapere; i periti di parte civile - contraddicendo le perizie ufficiali - scoprono che l'assassinio è stato compiuto con proiettili militari, mentre si viene a sapere che dei due periti nominati dal Tribunale, uno sospettato di essere un ex "gladiatore" coinvolto nell'inchiesta sulla strage di Peteano, mentre il secondo è accusato dal pentito Calderone di essere "vicino" a Cosa Nostra. Alla fine, i giudici Giammanco, Falcone, Sciacchitano, Pignatone e Lo Forte depositano la requisitoria, dedicata per un terzo alla singolare indagine sui possibili mandanti "interni" al partito stesso in cui La Torre militava. Giovanni Falcone confesserà più tardi di avere apposto quella firma solo per "disciplina di servizio" prima di trasferirsi a Roma, dopo avere invano sollecitato approfondimenti e indagini sul filone "Gladio" al procuratore Giammanco. La chiusura dell'inchiesta dovrebbe aver fatto calare il sipario sulla strage. O, almeno, così sperano molti. Intanto, ancora oggi il difensore della famiglia La Torre, Armando Sorrentino, continua a dirsi insoddisfatto della condanna dei componenti della "Commissione" mafiosa: "Quello è stato un delitto eccellente - spiega Sorrentino - e in questi casi anche i mandanti devono essere eccellenti".

 

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