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carceri

Post n°71 pubblicato il 14 Gennaio 2010 da london7m
 
Tag: carceri

Una battaglia senza colore
per carceri più umane

di Edoardo Caprino «Verrà il momento in cui fiorirà un germoglio di giustizia» così scriveva il Profeta Geremia, ma questo proposito vale anche per il mondo carcerario italiano? Il Parlamento italiano si è trovato ad affrontare in questi giorni questo spinoso - e troppo spesso volutamente dimenticato - argomento discutendo due mozioni presentate rispettivamente da Rita Bernardini - deputata radicale eletta con il gruppo del Pd - e di Michele Vietti, Udc.

Fuori da Montecitorio si è tenuta la protesta, in particolare dei sindacati di polizia penitenziaria che lamentavano la desolante situazione delle nostre carceri. Sovraffollamento, mancanza di strutture adeguate, condizioni di vita inumane, mancanza di personale di custodia e di assistenza. Condizioni queste più volte condannate dall'Europa attraverso la Corte dei diritti dell'uomo. Le stesse condizioni che avevano portato a rimandare la domanda di ammissione della Turchia in Europa.

Ma è possibile che questo avvenga in un paese che si vuole definire civile? Tutto questo avviene in spregio - continuato - dell'articolo 27 della Costituzione che prevede espressamente: «Le pene non devono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».
Umanità e rieducazione del condannato: tutto il contrario di quello che avviene attualmente nelle carceri italiche. I direttori delle carceri, il personale penitenziario, gli assistenti, i cappellani fanno il possibile per rendere più umano un ambiente in cui la situazione di emergenza ha raggiunto livelli intollerabili.

A fianco di situazioni positive come quelle ad esempio di Padova - ove avviene una vera politica di rieducazione del condannato attraverso il lavoro e un'attenta opera sociale - non è raro leggere di escalation di suicidi, di situazioni inaccettabili come la presenza dei bambini in carcere in quanto al seguito di mamme condannate o in attesa di giudizio. Non è possibile che risulti che -  in alcune carceri del Sud - vi sia un intollerabile sovraffollamento nelle celle dovuto alla mancata apertura di nuove aree (già realizzate) a causa della mancanza di personale di controllo. È risaputo infatti che il numero dei secondini in servizio è sotto l'organico necessario per un'efficiente attività. A onor del vero, a parte la continua, pedante attività dei Radicali e della loro emittente che ogni martedì manda in onda Radio carcere e dei cappellani carcerari poco si saprebbe di quell'universo che - volente o nolente - ci appartiene.

Quante vicende Cucchi avvengono tra quelle mura e non trovano amplificazione? Solo dall'inizio dell'anno si registrano quattro suicidi in carcere. Il carcere è un sistema complesso: a fianco dei condannati a pene definitive convivono persone in attesa di giudizio, alcune delle quali "dimenticate" da un sistema giudiziario lento e proprio per questo odioso, tossicodipendenti che dovrebbero essere ricoverati in strutture a loro adatte, come dovrebbe avvenire per le già citate mamme con bambini piccoli.

Per il cappellano del carcere di Trieste - Padre Silvio Alaimo, un gesuita che ha deciso di dormire all'interno del Coroneo - «per noi Cappellani, ma anche per tutti i credenti, non vi possono essere "mostri" ma solo uomini che hanno sbagliato» e ricorda - in un articolo pubblicato su http://www.socialnews.it/ come «noi sacerdoti inviati nel pianeta - carcere siamo la simpatia di Dio (definizione del Cardinale Martini)».

È vero che per un cristiano l'assistenza al carcerato è tra le opere morali a cui deve essere spinto, ma anche per un laico - di qualunque colore politico o credo filosofico o religioso -  deve esserci questa tensione perché è anche sul mondo carcerario che si dimostra la vera civiltà di una nazione che si vuol dire occidentale.

Nell'omelia pronunciata nella notte di Natale il cardinale Tettamanzi ha ricordato le parole di un detenuto da lui incontrato il giorno prima a San Vittore: «Sì, la giustizia deve fare il suo sacrosanto percorso e al colpevole la pena è dovuta, ma le condizioni abitative, nelle loro più elementari esigenze, non possono essere ingiustamente offensive della dignità personale di chiunque». E concludeva: «In questo modo ci strappano via la nostra dignità umana!». Come non sottoscrivere queste parole? A fianco del dovere di giustizia occorre che vi sia sempre il rispetto della condizione umana e un vero cammino di rieducazione.
Questa battaglia non deve avere colore, deve interessare tutti i gruppi parlamentari, indistintamente. Ne va del futuro della nostra nazione. 

 
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