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dal libro: "CIVILTA' GLOBALE di D. Ikeda e M. Tehranian- Sperling&Kupfer edit."LE PAG PIU' INTERESSANTI 13^ PUBB.

Post n°163 pubblicato il 28 Gennaio 2014 da loredanafina1964

Pag. 90

ATTIVARE LA COMUNITA' DI SPIRITO

 

Ikeda: La storia è una cosa; ora,  però, vorrei che affrontassimo il problema del modo in cui le due religioni possono dare il loro contributo alla società contemporanea, cioè il significato dell'Islam e de Buddismo nel nostro tempo.

Tehranian: Dobbiamo assolutamente farlo.

Ikeda: Viviamo in un'epoca caratterizzata <>. Ogni ideologia, opinione e addirittura passatempo e preferenze personali creano differenze tra gli uomini. Queste tuttavia, non sono necessariamente sintomo di indivitualità; più spesso sembrano essere state create per rafforzare il senso di appartenenza o di identificazione dell'individuo con gruppi rigidamente standardizzati.

Tehranian: Lo credo anch'io. Una rapida mobilità crea un disorientamento psicologico, che a sua volta induce un'ansia di identità, dalla quale discende il feticismo. Quest'ultimo si aggancia alle comodità o all'identità del consumatore per fargli acquistare un senso di sicurezza illusoria. Per esempio, l'orientalismo enfatizza il conflitto tra Oriente e Occidente. Durante la guerra fredda il mito del capitalismo contro il consumismo assicurava una falsa identità. Queste immagini stereotipate hanno reso difficilissimo uno scambio di vedute - un dialogo - aperto e sincero.

Ikeda: Mi piacerebbe molto discutere della possibilità di fondare una comunità nella quale si possa vivere insieme senza escludere nessuno.

Il termine islamico per <> è umma, e il suo equivalente buddista è samgha.

Tehranian: questo è un tema di grande rilievo. La prima cosa che viene in mente è l'etimologia della parola <>, che suggerisce <>.

Ikeda: Nell'Ebraismo, nel Cristianesimo e nell'Islam ogni singolo individuo è <> a Dio, vero?

Tehranian: Nelle tradizioni abramiche, gli ebrei, i cristiani e i musulmani hanno stretto con Dio il patto di vivere secondo virtù. In arabo, il termine per <> è mithaq.

Nell'Islam il patto è rafforzato dalla proclamazione della shahada (testimonianza) : <>. Pronunciando la shahada, chiunque, senza distinzioni di sesso, razza, religione o gruppo etnico, può diventare musulmano. Quando fu insidiato il primo Stato islamico a Medina, ognuno poteva stabilire un patto (bay'a) con il Profeta per mettersi sotto protezione del nuovo Stato. Fu così che nacque la umma islamica.

Un passo del Corano recita: <> (3,104).

La formazione della umma a Medina poteva significare che era venuto il tempo che il rapporto fra Dio e un piccolo numero di individui insediati alla Mecca si sviluppasse in una dinamica relazione sociale fra gli uomini.

Ikeda: Non era forse giunto il momento che i fedeli stessi realizzassero nella società gli attributi divini di carità, generosità e verità? La umma doveva fornire la base per questo tipo di comunità.

Tehranian: Esatto. La umma non è una scuola religiosa isolata dalla società, bensì  l'insieme delle persone che condividono la stessa fede. Ogni sura del Corano ha inizio con la frase: <>. Chi accusa l'Islam di essere la religione della spada non sa di cosa parla.

Ikeda: Con la formazione della umma, l'Islam divenne un organismo comune, basato sulla fede. Fino ad allora la comunità tribale era stata cementata dai vincoli di sangue.

Tehranian: Un avversario accusò Maometto di spezzare il legame di sangue, che era forte e discusso. Per contro, il fattore unificante della umma era la fede.

Ikeda: Una comunità basata sui vincoli di sangue può essere solida, ma per sua natura è chiusa, e come tale far nascere la discriminazione e l'oppressione.

Tehranian: <> E' una tradizione orale attribuita a Maometto. Una comunità islamica non è composta da soli musulmani; gli appartenenti ad altre fedi, chiamati  dhimmi, possono rimanere nella <>.

Ikeda: Anche quello buddista non era un gruppo chiuso, ma faceva da ponte fra i principi religiosi che lo ispiravano e la realtà sociale. Il samgha, la comunità del Buddismo primitivo, era un insieme, una congregazione, una confraternita.

Tehranian: Il samgha esisteva già nella società indiana, oppure fu una creazione originale del Buddismo?

Ikeda: Shakyamuni applicò alla comunità buddista un modella già esistente in India.

A quei tempi, la coltivazione del riso conduceva alla nascita di città-stato, dove le attività economiche fiorivano. Alcuni di quei centri avevano adottato un sistema repubblicano democratico e  la loro economia si fondava su gruppi simili alle corporazioni. 

Con il termine samgha si indicava questa combinazione tra una forma di governo repubblicana e una comunità basata sulle corporazioni.

Tehranian: Il Budda trovò quindi un modello per la sua comunità religiosa nel sistema repubblicano democratico già esistente nella società. Davvero molto interessante.

Ikeda: Infatti. Per Shakyamuni il samgha era il raggruppamento umano ideale.

Tehranian: Vi riconosco alcune importanti analogie con la umma.

Ikeda: La comunità buddista incoraggiava a percorrere quattro vie che conducevano all'illuminazione:

*     la carità spirituale e materiale;

* i discorsi affettuosi;

* fare del bene agli esseri senzienti con una buona condotta del corpo, della parola

e della mente; 

* assumere la stessa forma dei vari esseri senzienti ai quali fare del bene.

Tehranian: Sono tutte regole di condotta molto precise e pratiche.

Ikeda: Sì, certo. Il samgha era l'ambiente dove impegnarsi per attuare gli insegnamenti buddisti.

In ogni caso, dal momento che ogni vera religione deve rivolgersi all'autodisciplina e alla salvezza del prossimo, è naturale che debba offrire un modello alla società, dando vita a una comunità ideale di fedeli.

Tehranian: Durante il Medioevo in Giappone vi fu un gran sacerdote talmente distaccato da ignorare persino la guerra civile che infuriava tra i clan Taira (Heike) e Minamoto (Genji). Per un ecclesiastico può anche essere necessario sottrarsi almeno per un certo lasso di tempo a ogni coinvolgimento con la realtà, per condurre un'esistenza ascetica; però un gran sacerdote è il capo di un ordine religioso, e in quanto tale dovrebbe sapere che cosa avviene nella società in cui vive, altrimenti il suo rimarrà un gruppo chiuso. Shakyamuni insegnava ai discepoli a viaggiare per il Paese come religiosi itineranti, per aiutare gli esseri umani a raggiungere la felicità.

Un organismo è un nodo in cui interagiscono gli ideali e la realtà. Un ente deve impegnarsi in un cambiamento della realtà in vista di un ideale, mentre l'interazione con la realtà tramite un ente impedisce che un ideale si trasformi in un dogma ristretto.

Tehranian: Disgraziatamente, però, negli ultimi anni l'individualismo si è spinto troppo oltre, e insieme con questo si è diffusa la tendenza a evitare di aderire alle organizzazioni. Per fortuna i Paesi musulmani si incontrano periodicamente nella Conferenza degli Stati Islamici.

Ikeda: I gruppi basati sull'esclusivismo vanno biasimati. Dobbiamo esaminare da vicino una data organizzazione sulla scorta degli ideali che professa e del genere di contributo che offre alla società.

Esistono gruppi umani di ogni genere, compresa la famiglia. Se respingiamo completamente le organizzazioni, alla fine potrebbe accadere che l'apparato statale diventi <>. In effetti, il Novecento è stato testimone di molti esempi di Stati divenuti troppo potenti. Dietro l'attuale inclinazione a non entrare nelle organizzazioni non posso vedere altro che il duplice cancro dell'egoismo e dello statalismo. Ciò che ora ci occorre è costruire una rete di solidarietà fra i popoli, attraverso le frontiere nazionali. 

Tehranian: Lo credo anch'io. Il dialogo è il metodo con cui realizzare questa rete. Il Toda Institute dispone di un Consiglio consuntivo internazionale formato da oltre quattrocento eminenti personalità di ogni parte del globo, e si stà espandendo.

Ikeda: Per un'organizzazione, il dialogo è il sangue che trasporta l'ossigeno e il nutrimento in tutto il corpo, e la sua presenza o assenza ne determinano la vita o la morte. 

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