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dal libro: "CIVILTA' GLOBALE di D. Ikeda e M. Tehranian- Sperling&Kupfer edit."LE PAG PIU' INTERESSANTI 14^ PUBB.

Post n°164 pubblicato il 23 Febbraio 2014 da loredanafina1964

PROSPETTIVE DI UGUAGLIANZA

Pag. 96

Ikeda: Per una comunità ideale e un'autentica organizzazione, l'uguaglianza è una delle condizioni essenziali.

Una volta Nichiren chiamò i più potenti capi del suo tempo "governanti di questo piccolo arcipelago". Sapeva esattamente che cos'erano: esseri insignificanti, completamente all'oscuro del mondo. Daishonin descrisse se stesso come "nato povero e di bassa condizione in una famiglia candala...(...) Dato che il mio cuore crede nel Sutra del Loto, non ho paura ne di Bonten nè di Tashaku". Candula è il termine generico per i fuoricasta che si dedicano a occupazioni ritenute servili o indegne, mentre Bonten e Taishaku sono considerati dei.

Identificandosi con persone oggetto della più grave discriminazione, Nichiren proclamava la "nobiltà dell'animo" in virtù alla fede nel Sutra del Loto, dalla prospettiva di un uomo che si trovava nello strato più basso della società. Affermava inoltre la sostanziale uguaglianza fra i sessi: "Non dovrebbero esistere discriminazioni fra (esseri umani)  (...) uomini o donne che siano".

Tehranian: Per i nostri contemporanei queste parole non hanno nulla di eccezionale; però il Giappone del XIII secolo era completamente diverso, e dire certe cose doveva comportare una persecuzione.

Ikeda: L'unicità del concetto buddista di uguaglianza consiste nel vedere la natura del Budda in qualsiasi persona, perciò non deriva dalla compassione per chi subisce discriminazioni, ma si basa sul rispetto.

Il capitolo 20 del Sutra del Loto, " Il Bodhisattva mai sprezzante", descrive in che modo il Bodhisattva nutra sempre reverenza per tutte le persone che incontra, onorandole perchè rispetta la loro natura del Budda. L'espressione sanscrita per "venerazione" è: namas kara o namas te, che significano entrambe "ti rispetto".

Tehranian: Anche oggi in India e in Nepal la popolazione dice namas te quando si saluta. Il saluto indiano, nel quale ci si stringono entrambe le mani e ci si inchina, è un simbolo della venerazione del divino presente in ogni essere umano.

Ikeda: Probabilmente l'espressione deriva dalla stessa tradizione. Ricapitolando, alla base del concetto buddista di uguaglianza c'è il rispetto per il prossimo. Se desiderate eiutare chi si trova in difficoltà perchè siete in una condizione migliore e più fortunata, allora la vostra benevolenza è infettata dall'egoismo.

Le azioni altruiste devono radicarsi in un profondo rispetto per la natura del Budda presente nella persona che si soccorre: in tal modo è possibile impedire che l'altruismo degeneri in ipocrisia.

Tehranian: Parole davvero ammirevoli le sue: me le scolpirò nel cuore.

Abbiamo già discusso ampiamente l'idea islamica di uguaglianza, ma, per paragonarla a quella buddista, mi permetta di tornare su questo punto. L'Islam fece la sua comparsa sulla scena storica in un momento (622 d.C.) in cui l'Arabia e gli imperi Persiano (sassanide, 226-651 d.C.) e bizantino erano caratterizzati da enormi squilibri sociali, che ricordavano il sistema delle caste.

Ikeda: La Mecca, situata al crocevia delle frontiere dei maggiori imperi dell'Europa e del Vicino Oriente, era diventato un prospero centro mercantile che collegava l'Asia Meridionale e Occidentale; nel frattempo, però, in mezzo alla ricchezza cresceva la povertà, e le disparità economiche si andavano eccentuando.

Tehranian: Come al solito, la prosperità doveva essere un'esasperazione delle ingiustizie. Abbiamo visto che il messaggio monoteistico di uguaglianza fra gli uomini di Maometto in breve tempo gli procurò un seguito, ma anche l'ira della sua stessa tribù, i qureish. Lui e i suoi discepoli furono costretti a fuggire dalla Mecca a Medina. Là nacque il primo Stato islamico, che stabilì le regole dell'uguaglianza fra musulmani e non musulmani.

Ikeda: Lei si riferisce alla Costruzione della Medina.

Terhanian: Si. Tutti i musulmani furono proclamati uguali al cospetto di Dio, a eccezione di coloro che si distinguevano per virtù.

Ikeda: Se pagavano le tasse, ai non musulmani veniva concesso il diritto di autogovernarsi come dhimmi vero?

Tehranian: Infatti. Le loro comunità autonome erano sotto la protezione dello Stato islamico. In quel periodo la schiavitù e l'uccisione delle bambine erano pratiche diffusissime in Arabia. L'Islam proibì fermamente l'infanticidio, e stabilì che gli schiavi fossero liberati se avessero aderito alla fede musulmana. L'affrancamento della schiavitù divenne un atto di pietà religiosa.

Ikeda: Pochi sanno che l'Islam liberasse gli schiavi.

Tehranian: A quei tempi le donne e gli orfani subivano enormi discriminazioni. L'Islam codificò nei minimi particolari le relazioni famigliari, per proteggere i diritti dei figli. Secondo i criterri contemporanei, alcune normative musulmane sul matrimonio, il divorzio e l'eredità mantengono una disparità fra uomini e donne, ma le società islamiche stanno cercando di cambiarle.

Ikeda: Visto che Maometto perse il padre e la madre nella prima infanzia, dettò le regole per una generosa protezione degli orfani e di chi versava nell'indigenza. Nelle società tribali preislamiche, il diritto all'eredità era limitato ai maschi del ramo paterno; il Profeta lo concesse anche alle donne e a chi non aveva più i genitori.

Tehranian: Il noto precetto coranico secondo cui agli uomini è concesso sposare quattro mogli, purchè mantengano fra loro un rapporto equo, potrebbe essere interpretato come un modo per proteggere le vedove e gli orfani.

Maometto stabilì inoltre le norme per la convivenza dei musulmani e dei non musulmani ben al di sopra del grado di tolleranza politica e religiosa del suo tempo. L'Islam rappresentava dunque un sistema progressista, per la sua epoca.

Ikeda: Lei si riferisce alla garanzia di incolumità per i non musulmani, i dhimmi, assicurata dalla Costituzione di Medina. Il fatto che le minoranze fossero debitamente inserite in un codice di leggi è altamente lodevole.

Tehranian: Alcuni storici europei e americani hanno fatto notare che le società tradizionali islamiche dimostravano una maggiore giustizia e tolleranza rispetto all'Occidente Cristiano.

Ikeda: Mark Cohen, infatti, paragonando le società medievali islamiche e la persecuzione degli ebrei in Europa concluse che i dhimmi erano protetti e non angariati, anche se il sistema di tassazione presentava qualche ingiustizia.

Tehranian: Il sistema del millet nell'impero ottomano consentiva alle minoranze religiose un grado di autonomia di cui alcune scuole non godevano nella cristianità.

In seguito al conflitto arabo-israeliano, però, la posizione degli ebrei nei Paesi musulmani si è fatta precaria. In alcune nazioni, come l'Iran e il Sudan, i baha'iani e i cristiani sono vittima di persecuzioni.

Ikeda: Gli ebrei, per esempio, formavano le proprie comunità, nelle quali potevano conservare le loro tradizioni culturali.

Uguaglianza non dovrebbe significare uniformità. Le differenze vanno riconosciute, ma non devono essere causa di discriminazione. Cancellare le diversità non è affatto uguaglianza.

Tehranian: La tendenza delle moderne società di massa è misurare tutti con lo stesso metro, e questo non è giusto. I test di intelligenza ne sono un chiaro esempio. Elaborando questionari standardizzati che valutano le capacità verbali e matematiche, altre forme di intelligenza, quali l'abilità fisica, il talento musicale e le doti sociali, rimangono gravemente sottovalutate.

Ikeda: Proprio così. I test sul QI non stabiliscono mai il grado di sollecitudine per il prossimo, oppure il coraggio del singolo nel lottare contro il male. Eppure, queste qualità spirituali sono le più grandi virtù del nostro animo.

Tehranian: La giustizia e l'uguaglianza esigono che si cominci con l'accettare la diversità umana, esaltandone il valore.

Una società serve meglio la causa dell'uguaglianza e della giustizia se fa della realizzazione delle differenti potenzialità di ogni individuo la condizione per la realizzazione delle potenzialità di tutti. Le differenze di sesso, razza, popolo o età devono essere rispettate e apprezzate, invece di essere usate come base per discriminare.

Ikeda: Le diversità dovrebbero essere il fondamento del rispetto, non della discriminazione: ecco una splendida idea. Sono pienamente d'accordo.

La visione buddista imperniata sulle quattro parole chiave: "ciliegio, prugno, pesco e albicocco" è un riconoscimento dell'individualità e della diversità: ogni pianta ha i propri meriti e il proprio valore.

Permettendo a ciascuno di esprimere pienamente la sua individualità, la società stessa può trarre beneficio dalla ricchezza e dai frutti della diversità.

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