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COMUNICAZIONE

Post n°167 pubblicato il 18 Ottobre 2014 da loredanafina1964

Ciao a tutti, amici del blog.

Mi scuso per la prolungata assenza ma, posso comunicarVi che fra qualche giorno comincerò a pubblicare le frasi e le pagine più belle e interessanti di un libro letto diversi anni fa (1981), del quale, gelosamente ne custodisco ancora oggi una copia. (ed. appunto 1981 prima stampa).

Si tratta di un libro di Gesualdo Bufalino, titolo: "Diceria dell'untore" - Sellerio Editore Palermo.

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BREVE SUNTO

Nel 1946, in un sanatorio della Conca d'Oro - castello d'Atlante e campo di sterminio - alcuni singolari personaggi, reduci dalla guerra, e presumibilmente inguaribili, duellano debolmente con se stessi e con gli altri, in attesa della morte. Lunghi duelli di gesti e di parole; di parole sopratutto febbricitanti, tenere, barocche - a gara con il barocco di una terra che ama l'iperbole e l'eccesso. Tema dominante, la morte: e si dirama sottilmente, si mimetizza, si nasconde, svaria, musicalmente riappare. E questo, sotto i drappeggi di una scrittura in bilico fra strazio e falsetto, e in uno strazio che è sempre al di qua o al di là della storia - e potrebbe anche simulare un palcoscenico o la nebbia di un sogno....

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NOTE SULL'AUTORE

"Ingegnoso nemico di se stesso", finora sfuggito a ogni tentazione e proposta di pubblicare, uomo, insomma, che ha letto tutti i libri senza cedere a pubblicarne uno suo, Gesualdo Bufalino allora professore a Comiso, fu con questa DICERIA al suo primo libro.

Scritta negli anni, come lui disse, "della glaciazione neorealista", questa contemplazione venne alle stampe in un tempo meno gelido, più sciolto e più libero perchè giustamente molto apprezzata. 

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A PRESTO  CON LA 1^ PUBBLICAZIONE  :)  !!




 

 
 
 

dal libro: "CIVILTA' GLOBALE di D. Ikeda e M. Tehranian- "LE PAG PIU' INTERESSANTI 16^ ed ultima Pubblicazione

Post n°166 pubblicato il 29 Marzo 2014 da loredanafina1964

Un viaggio verso la pace: legami, non catene

Ikeda: Gli uomini non sono patetici, insignificanti creature fiaccamente rassegnate al loro destino. La vita è ricca di immense potenzialità. Non dobbiamo mai smettere di sforzarci di dare forma al nostro futuro.

Tehranian: Questa è la vera prova dell'essere umani. Nel nostro primo incontro del 1992, di cui serbo ancora un vivido ricordo, scoprii che eravamo due spiriti gemelli. Il giorno successivo le mandai una poesia intitolata A Gift of Frienship (Un dono di amicizia), che dice:

Ci siamo incontrati da estranei, 

ma siamo divenuti amici sinceri e affettuosi

attraverso il tempo, lo spazio,

e la lingua che ci dividono.

Abbiamo forgiato

un vincolo senza vincoli,

un legame senza catene,

un'unione senza stati

nel regno dello spirito.

Il nostro idioma del cuore 

è più dolce 

degli idiomi della lingua 

(che ci tengono separati),

ci dona

una gioia 

che ci unisce, 

nel comune desiderio

di trascendenza,

al di là

della finitezza e fragilità

dei nostri tempi, nei nostri spazi,

delle nostre lingue,

e dei nostri dolori.

 

Ikeda: Una poesia meravigliosa, che riassume perfettamente il nostro dialogo.

Esisteranno sempre in questo mondo, forze che tenteranno di spezzare i legami fra gli uomini e dividere un popolo dall'altro. Ma nessun conflitto, nessun contrasto è insormontabile: dobbiamo permettere al bene insito nelle creature umane di contrastare il male, che provoca divisione. Il dialogo, nel vero senso della parola, dovrebbe essere una specie di filo che lega gli uomini di buona volontà nel vincolo di questa solidarietà. 

L'amicizia è il gioiello più bello e prezioso che si possa avere nella vita: significa semplicemente avere considerazione per gli amici, prestare fede alla parola data e fare ciò che si è promesso di fare. Ampliare la rete dell'amicizia significa estendere la pace nel mondo. Può forse sembrare una strada indiretta per raggiungere la pace, ma in realtà è il cammino più sicuro e duraturo verso un mondo senza guerre.

                                _________________________________

 

                                        C  O  N  C  L  U  S  I  O  N  I

 

Dal professor Majid Tehranian

L'11 settembre 2001 sarà ricordato come un momento cruciale nella storia del mondo.

Quel giorno drammatico il terrorismo si dimostrò un'arma terribile, micidiale per le società aperte e vulnerabili.

Le cause alla radice della violenza terroristica possono essere individuate nell'alienazione e nell'antagonismo generati da una sistematica emarginazione di vasti settori della popolazione mondiale. Attualmente viviamo in un acquario in cui gli stili di vita più estremi - dalla ricchezza sfrontata all'indigenza - sono sotto gli occhi di tutti. La comunicazione globale si è lasciata alle spalle il dialogo globale. L'invidia e l'odio hanno sopraffatto la comprensione. Il nemico che ha fatto la sua comparsa negli attacchi di New York e Washington non era uno Stato territoriale nè una religione: erano gli elementi di punta di un risentimento molto più vasto, provocato dall'emarginazione. 

Le condizioni sociali e psicologiche create dalla globalizzazione sono il terreno di coltura per le politiche estremiste. Il disastro di New York pare averci condotto a un sistema globale frammentato. La comunità mondiale deve prestare attenzione al destino di due miliardi di vite umane emarginate e impoverite, che sopravvivono con circa due dollari al giorno.

Tuttavia, nessuno, me compreso, può sostenere che con l'eliminazione della miseria la violenza avrà fine. 

Nessuno dei più pericolosi terroristi degli ultimi anni - da Timothy McVeigh ai seguaci di Osama Bin Laden - ha sofferto la povertà materiale: quella che rivelavano era un'acuta povertà spirituale.

Gli antidoti alla violenza sono l'amore e la compassione. Gli atti di terrorismo possono scotere il mondo dal suo autocompiacimento, inducendoci a prendere coscienza della necessità di costruire istituzioni globali per garantire la sicurezza umana. Non possiamo continuare a rintanarci nel nostro bozzolo: il villaggio globale è qui, e qui rimarrà, con tutte le sue promesse e i suoi pericoli.

Da dove comincia la sicurezza dell'umanità? Dal riconoscimento, da parte di tutti noi, nati nelle più svariate condizioni in ogni angolo del pianeta, che ogni vita è sacra e deve essere protetta, in modo che raggiunga il suo pieno potenziale.

                                                                             Salaam §  namas te

                                                                             MAJID   TEHRANIAN

_____________________________________________________________________

Da  Daisaku Ikeda

I terribili fatti dell'11 Settembre 2001 si verificarono mentre andava in stampa l'edizione giapponese di questo dialogo. Avverto ancora lo sdegno e la costernazione per gli abomini che hanno privato il mondo di tante vite preziose e insostituibili. Posso soltanto rinnovare la mia convinzione, espressa in molte interviste e articoli pubblicati in quel periodo, che non siamo nati per odiarci e distruggerci a vicenda.

Lo scopo del male è dividere gli esseri umani. Questo mondo e la nostra stessa esistenza sono il terreno di un incessante conflitto fra l'odio e la compassione.  Alla fine, il male su quale dobbiamo trionfare è l'impulso all'ostilità e alla distruzione insito in tutti noi. E' indispensabile ripristinare e rinnovare la nostra fede nella bontà dell'uomo e del prossimo.

Ora più che mai dobbiamo dedicarci a un ulteriore sforzo per comprenderci e impegnarci in un dialogo autentico. Le parole che sgorgano dal cuore hanno il potere di cambiare la vita di una persona; un incoraggiamento caldo e sincero può sciogliere le barriere di ghiaccio della diffidenza che dividono i popoli e le nazioni.

Proprio per questo sono più che mai risoluto a promuovere il dialogo fra civiltà. Credo ancora - e spero che tu, lettore, condivida la mia speranza - che saranno la nostra forza e la nostra saggezza a liberare il XXI secolo dalle fiamme della violenza e della guerra, per fare della nostra epoca un'era nella quale ognuno possa vivere in pace.

Io, un buddista Nichiren, e il dottor Tehranian, un musulmano sufi, abbiamo scelto la strada del colloquio per prendere coscienza delle rispettive differenze di credo religioso e di cultura, per imparare da queste e valorizzarle, e abbiamo voluto dimostrare che possono sussistere non come un muro divisorio, ma come molteplici sfaccettature dello scintillante diamante della cultura globale.

E' mia preghiera e convinzione che la venerazione per la vita che ha illuminato queste conversazioni diventerà lo spirito dominante del nostro tempo, e che i flutti del dialogo che ci ispireranno ed eleveranno attraverso la fede nell'umanità e in noi stessi si riverseranno sull'intero pianeta. 

 

                                                                                     DAISAKU  IKEDA

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dal libro: "CIVILTA' GLOBALE di D. Ikeda e M. Tehranian- Sperling&Kupfer edit."LE PAG PIU' INTERESSANTI 15^ PUBB.

Post n°165 pubblicato il 29 Marzo 2014 da loredanafina1964

                                   SCONTRO    DI     CIVILTA'

 

Ikeda: Nel dicembre 1998 gli Stati Uniti e la Gran Bretagna designarono l'Iraq come obbiettivo di bombardamenti.

Tehranian: A mio parere non dovremmo scegliere  l'Iraq come problema isolato. E' ora che tutte le nazioni interessate si incontrino per stabilire linee politiche in grado di instaurare nella lunga prospettiva la sicurezza nell'area del Golfo Persico. 

Gli otto Stti del Golfo i i cinque membri permamenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite doverbbero riunirsi pre prendere decisioni in merito.

Ikeda: Urge la necessità di una visione complessiva e multidimensionale, che dovrebbe comprendere piani per la riduzione degli armamenti, in modo da attenuare la tensione generale, nonchè per una cooperazione economica su scala regionale. Sarei felice se il Toda Institute affrontasse questo problema e giungesse a formulare proposte concrete.

Tehranian: In effetti, l'Istituto ha organizzato un "Forum per la sicurezza dell'Asia Occidentale", che si è tenuto a Istambul nel 1999, a Cipro nel 2000, a Doha nel 2001 e nuovamente a Cipro nel 2002. In quelle occasioni affrontammo la questione dalle basi, stabilendo una serie di suggerimenti per elaborare una soluzione complessiva.

I diplomatici e gli studiosi dhe presero parte agli incontri ora costituiscono il nucleo di chi si impegna per la pace nel Golfo.

Ikeda: Si tratta di un'iniziativa di importanza vitale, giunta molto a proposito. Le auguro un grande successo! All'epoca della guerra del Golfo, nel gennaio 1991, lei compose una poesia che esprimeva le sue idee sulla guerra, e sua figlia Maryam, allora sedicenne, ne scrisse un'altra in risposta alla sua. Fu senza dubbio un bello scambio tra padre e figlia. La sua poesia dice, fra l'altro:

Le guerre

scatenano i demoni che sono in noi!

I miei demoni  (...)

Ti assalgo

con la mia rossa, velenosa lingua

e fredde lance smaniose di divorare

tutta la tua umanità

con la mia sconfinata bramosia e vanità.

 

Nello storico discorso tenuto l'8 settembre 1957, nel quale esortava a mettere al bando la bomba atomica e quella all'idrogeno, anche il presidente Toda parlò del demonio. " Noi, cittadini del mondo " , dichiarò "abbiamo il diritto inviolabile alla vita. Chiunque minacci questo diritto è un diavolo incarnato, un demone, un mostro!" I suoi versi riecheggiano moltissimo il grido del mio maestro.

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dal libro: "CIVILTA' GLOBALE di D. Ikeda e M. Tehranian- Sperling&Kupfer edit."LE PAG PIU' INTERESSANTI 14^ PUBB.

Post n°164 pubblicato il 23 Febbraio 2014 da loredanafina1964

PROSPETTIVE DI UGUAGLIANZA

Pag. 96

Ikeda: Per una comunità ideale e un'autentica organizzazione, l'uguaglianza è una delle condizioni essenziali.

Una volta Nichiren chiamò i più potenti capi del suo tempo "governanti di questo piccolo arcipelago". Sapeva esattamente che cos'erano: esseri insignificanti, completamente all'oscuro del mondo. Daishonin descrisse se stesso come "nato povero e di bassa condizione in una famiglia candala...(...) Dato che il mio cuore crede nel Sutra del Loto, non ho paura ne di Bonten nè di Tashaku". Candula è il termine generico per i fuoricasta che si dedicano a occupazioni ritenute servili o indegne, mentre Bonten e Taishaku sono considerati dei.

Identificandosi con persone oggetto della più grave discriminazione, Nichiren proclamava la "nobiltà dell'animo" in virtù alla fede nel Sutra del Loto, dalla prospettiva di un uomo che si trovava nello strato più basso della società. Affermava inoltre la sostanziale uguaglianza fra i sessi: "Non dovrebbero esistere discriminazioni fra (esseri umani)  (...) uomini o donne che siano".

Tehranian: Per i nostri contemporanei queste parole non hanno nulla di eccezionale; però il Giappone del XIII secolo era completamente diverso, e dire certe cose doveva comportare una persecuzione.

Ikeda: L'unicità del concetto buddista di uguaglianza consiste nel vedere la natura del Budda in qualsiasi persona, perciò non deriva dalla compassione per chi subisce discriminazioni, ma si basa sul rispetto.

Il capitolo 20 del Sutra del Loto, " Il Bodhisattva mai sprezzante", descrive in che modo il Bodhisattva nutra sempre reverenza per tutte le persone che incontra, onorandole perchè rispetta la loro natura del Budda. L'espressione sanscrita per "venerazione" è: namas kara o namas te, che significano entrambe "ti rispetto".

Tehranian: Anche oggi in India e in Nepal la popolazione dice namas te quando si saluta. Il saluto indiano, nel quale ci si stringono entrambe le mani e ci si inchina, è un simbolo della venerazione del divino presente in ogni essere umano.

Ikeda: Probabilmente l'espressione deriva dalla stessa tradizione. Ricapitolando, alla base del concetto buddista di uguaglianza c'è il rispetto per il prossimo. Se desiderate eiutare chi si trova in difficoltà perchè siete in una condizione migliore e più fortunata, allora la vostra benevolenza è infettata dall'egoismo.

Le azioni altruiste devono radicarsi in un profondo rispetto per la natura del Budda presente nella persona che si soccorre: in tal modo è possibile impedire che l'altruismo degeneri in ipocrisia.

Tehranian: Parole davvero ammirevoli le sue: me le scolpirò nel cuore.

Abbiamo già discusso ampiamente l'idea islamica di uguaglianza, ma, per paragonarla a quella buddista, mi permetta di tornare su questo punto. L'Islam fece la sua comparsa sulla scena storica in un momento (622 d.C.) in cui l'Arabia e gli imperi Persiano (sassanide, 226-651 d.C.) e bizantino erano caratterizzati da enormi squilibri sociali, che ricordavano il sistema delle caste.

Ikeda: La Mecca, situata al crocevia delle frontiere dei maggiori imperi dell'Europa e del Vicino Oriente, era diventato un prospero centro mercantile che collegava l'Asia Meridionale e Occidentale; nel frattempo, però, in mezzo alla ricchezza cresceva la povertà, e le disparità economiche si andavano eccentuando.

Tehranian: Come al solito, la prosperità doveva essere un'esasperazione delle ingiustizie. Abbiamo visto che il messaggio monoteistico di uguaglianza fra gli uomini di Maometto in breve tempo gli procurò un seguito, ma anche l'ira della sua stessa tribù, i qureish. Lui e i suoi discepoli furono costretti a fuggire dalla Mecca a Medina. Là nacque il primo Stato islamico, che stabilì le regole dell'uguaglianza fra musulmani e non musulmani.

Ikeda: Lei si riferisce alla Costruzione della Medina.

Terhanian: Si. Tutti i musulmani furono proclamati uguali al cospetto di Dio, a eccezione di coloro che si distinguevano per virtù.

Ikeda: Se pagavano le tasse, ai non musulmani veniva concesso il diritto di autogovernarsi come dhimmi vero?

Tehranian: Infatti. Le loro comunità autonome erano sotto la protezione dello Stato islamico. In quel periodo la schiavitù e l'uccisione delle bambine erano pratiche diffusissime in Arabia. L'Islam proibì fermamente l'infanticidio, e stabilì che gli schiavi fossero liberati se avessero aderito alla fede musulmana. L'affrancamento della schiavitù divenne un atto di pietà religiosa.

Ikeda: Pochi sanno che l'Islam liberasse gli schiavi.

Tehranian: A quei tempi le donne e gli orfani subivano enormi discriminazioni. L'Islam codificò nei minimi particolari le relazioni famigliari, per proteggere i diritti dei figli. Secondo i criterri contemporanei, alcune normative musulmane sul matrimonio, il divorzio e l'eredità mantengono una disparità fra uomini e donne, ma le società islamiche stanno cercando di cambiarle.

Ikeda: Visto che Maometto perse il padre e la madre nella prima infanzia, dettò le regole per una generosa protezione degli orfani e di chi versava nell'indigenza. Nelle società tribali preislamiche, il diritto all'eredità era limitato ai maschi del ramo paterno; il Profeta lo concesse anche alle donne e a chi non aveva più i genitori.

Tehranian: Il noto precetto coranico secondo cui agli uomini è concesso sposare quattro mogli, purchè mantengano fra loro un rapporto equo, potrebbe essere interpretato come un modo per proteggere le vedove e gli orfani.

Maometto stabilì inoltre le norme per la convivenza dei musulmani e dei non musulmani ben al di sopra del grado di tolleranza politica e religiosa del suo tempo. L'Islam rappresentava dunque un sistema progressista, per la sua epoca.

Ikeda: Lei si riferisce alla garanzia di incolumità per i non musulmani, i dhimmi, assicurata dalla Costituzione di Medina. Il fatto che le minoranze fossero debitamente inserite in un codice di leggi è altamente lodevole.

Tehranian: Alcuni storici europei e americani hanno fatto notare che le società tradizionali islamiche dimostravano una maggiore giustizia e tolleranza rispetto all'Occidente Cristiano.

Ikeda: Mark Cohen, infatti, paragonando le società medievali islamiche e la persecuzione degli ebrei in Europa concluse che i dhimmi erano protetti e non angariati, anche se il sistema di tassazione presentava qualche ingiustizia.

Tehranian: Il sistema del millet nell'impero ottomano consentiva alle minoranze religiose un grado di autonomia di cui alcune scuole non godevano nella cristianità.

In seguito al conflitto arabo-israeliano, però, la posizione degli ebrei nei Paesi musulmani si è fatta precaria. In alcune nazioni, come l'Iran e il Sudan, i baha'iani e i cristiani sono vittima di persecuzioni.

Ikeda: Gli ebrei, per esempio, formavano le proprie comunità, nelle quali potevano conservare le loro tradizioni culturali.

Uguaglianza non dovrebbe significare uniformità. Le differenze vanno riconosciute, ma non devono essere causa di discriminazione. Cancellare le diversità non è affatto uguaglianza.

Tehranian: La tendenza delle moderne società di massa è misurare tutti con lo stesso metro, e questo non è giusto. I test di intelligenza ne sono un chiaro esempio. Elaborando questionari standardizzati che valutano le capacità verbali e matematiche, altre forme di intelligenza, quali l'abilità fisica, il talento musicale e le doti sociali, rimangono gravemente sottovalutate.

Ikeda: Proprio così. I test sul QI non stabiliscono mai il grado di sollecitudine per il prossimo, oppure il coraggio del singolo nel lottare contro il male. Eppure, queste qualità spirituali sono le più grandi virtù del nostro animo.

Tehranian: La giustizia e l'uguaglianza esigono che si cominci con l'accettare la diversità umana, esaltandone il valore.

Una società serve meglio la causa dell'uguaglianza e della giustizia se fa della realizzazione delle differenti potenzialità di ogni individuo la condizione per la realizzazione delle potenzialità di tutti. Le differenze di sesso, razza, popolo o età devono essere rispettate e apprezzate, invece di essere usate come base per discriminare.

Ikeda: Le diversità dovrebbero essere il fondamento del rispetto, non della discriminazione: ecco una splendida idea. Sono pienamente d'accordo.

La visione buddista imperniata sulle quattro parole chiave: "ciliegio, prugno, pesco e albicocco" è un riconoscimento dell'individualità e della diversità: ogni pianta ha i propri meriti e il proprio valore.

Permettendo a ciascuno di esprimere pienamente la sua individualità, la società stessa può trarre beneficio dalla ricchezza e dai frutti della diversità.

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PROSSIMA PUBBLICAZIONE AL PIU' PRESTO. 

 

 
 
 

dal libro: "CIVILTA' GLOBALE di D. Ikeda e M. Tehranian- Sperling&Kupfer edit."LE PAG PIU' INTERESSANTI 13^ PUBB.

Post n°163 pubblicato il 28 Gennaio 2014 da loredanafina1964

Pag. 90

ATTIVARE LA COMUNITA' DI SPIRITO

 

Ikeda: La storia è una cosa; ora,  però, vorrei che affrontassimo il problema del modo in cui le due religioni possono dare il loro contributo alla società contemporanea, cioè il significato dell'Islam e de Buddismo nel nostro tempo.

Tehranian: Dobbiamo assolutamente farlo.

Ikeda: Viviamo in un'epoca caratterizzata <>. Ogni ideologia, opinione e addirittura passatempo e preferenze personali creano differenze tra gli uomini. Queste tuttavia, non sono necessariamente sintomo di indivitualità; più spesso sembrano essere state create per rafforzare il senso di appartenenza o di identificazione dell'individuo con gruppi rigidamente standardizzati.

Tehranian: Lo credo anch'io. Una rapida mobilità crea un disorientamento psicologico, che a sua volta induce un'ansia di identità, dalla quale discende il feticismo. Quest'ultimo si aggancia alle comodità o all'identità del consumatore per fargli acquistare un senso di sicurezza illusoria. Per esempio, l'orientalismo enfatizza il conflitto tra Oriente e Occidente. Durante la guerra fredda il mito del capitalismo contro il consumismo assicurava una falsa identità. Queste immagini stereotipate hanno reso difficilissimo uno scambio di vedute - un dialogo - aperto e sincero.

Ikeda: Mi piacerebbe molto discutere della possibilità di fondare una comunità nella quale si possa vivere insieme senza escludere nessuno.

Il termine islamico per <> è umma, e il suo equivalente buddista è samgha.

Tehranian: questo è un tema di grande rilievo. La prima cosa che viene in mente è l'etimologia della parola <>, che suggerisce <>.

Ikeda: Nell'Ebraismo, nel Cristianesimo e nell'Islam ogni singolo individuo è <> a Dio, vero?

Tehranian: Nelle tradizioni abramiche, gli ebrei, i cristiani e i musulmani hanno stretto con Dio il patto di vivere secondo virtù. In arabo, il termine per <> è mithaq.

Nell'Islam il patto è rafforzato dalla proclamazione della shahada (testimonianza) : <>. Pronunciando la shahada, chiunque, senza distinzioni di sesso, razza, religione o gruppo etnico, può diventare musulmano. Quando fu insidiato il primo Stato islamico a Medina, ognuno poteva stabilire un patto (bay'a) con il Profeta per mettersi sotto protezione del nuovo Stato. Fu così che nacque la umma islamica.

Un passo del Corano recita: <> (3,104).

La formazione della umma a Medina poteva significare che era venuto il tempo che il rapporto fra Dio e un piccolo numero di individui insediati alla Mecca si sviluppasse in una dinamica relazione sociale fra gli uomini.

Ikeda: Non era forse giunto il momento che i fedeli stessi realizzassero nella società gli attributi divini di carità, generosità e verità? La umma doveva fornire la base per questo tipo di comunità.

Tehranian: Esatto. La umma non è una scuola religiosa isolata dalla società, bensì  l'insieme delle persone che condividono la stessa fede. Ogni sura del Corano ha inizio con la frase: <>. Chi accusa l'Islam di essere la religione della spada non sa di cosa parla.

Ikeda: Con la formazione della umma, l'Islam divenne un organismo comune, basato sulla fede. Fino ad allora la comunità tribale era stata cementata dai vincoli di sangue.

Tehranian: Un avversario accusò Maometto di spezzare il legame di sangue, che era forte e discusso. Per contro, il fattore unificante della umma era la fede.

Ikeda: Una comunità basata sui vincoli di sangue può essere solida, ma per sua natura è chiusa, e come tale far nascere la discriminazione e l'oppressione.

Tehranian: <> E' una tradizione orale attribuita a Maometto. Una comunità islamica non è composta da soli musulmani; gli appartenenti ad altre fedi, chiamati  dhimmi, possono rimanere nella <>.

Ikeda: Anche quello buddista non era un gruppo chiuso, ma faceva da ponte fra i principi religiosi che lo ispiravano e la realtà sociale. Il samgha, la comunità del Buddismo primitivo, era un insieme, una congregazione, una confraternita.

Tehranian: Il samgha esisteva già nella società indiana, oppure fu una creazione originale del Buddismo?

Ikeda: Shakyamuni applicò alla comunità buddista un modella già esistente in India.

A quei tempi, la coltivazione del riso conduceva alla nascita di città-stato, dove le attività economiche fiorivano. Alcuni di quei centri avevano adottato un sistema repubblicano democratico e  la loro economia si fondava su gruppi simili alle corporazioni. 

Con il termine samgha si indicava questa combinazione tra una forma di governo repubblicana e una comunità basata sulle corporazioni.

Tehranian: Il Budda trovò quindi un modello per la sua comunità religiosa nel sistema repubblicano democratico già esistente nella società. Davvero molto interessante.

Ikeda: Infatti. Per Shakyamuni il samgha era il raggruppamento umano ideale.

Tehranian: Vi riconosco alcune importanti analogie con la umma.

Ikeda: La comunità buddista incoraggiava a percorrere quattro vie che conducevano all'illuminazione:

*     la carità spirituale e materiale;

* i discorsi affettuosi;

* fare del bene agli esseri senzienti con una buona condotta del corpo, della parola

e della mente; 

* assumere la stessa forma dei vari esseri senzienti ai quali fare del bene.

Tehranian: Sono tutte regole di condotta molto precise e pratiche.

Ikeda: Sì, certo. Il samgha era l'ambiente dove impegnarsi per attuare gli insegnamenti buddisti.

In ogni caso, dal momento che ogni vera religione deve rivolgersi all'autodisciplina e alla salvezza del prossimo, è naturale che debba offrire un modello alla società, dando vita a una comunità ideale di fedeli.

Tehranian: Durante il Medioevo in Giappone vi fu un gran sacerdote talmente distaccato da ignorare persino la guerra civile che infuriava tra i clan Taira (Heike) e Minamoto (Genji). Per un ecclesiastico può anche essere necessario sottrarsi almeno per un certo lasso di tempo a ogni coinvolgimento con la realtà, per condurre un'esistenza ascetica; però un gran sacerdote è il capo di un ordine religioso, e in quanto tale dovrebbe sapere che cosa avviene nella società in cui vive, altrimenti il suo rimarrà un gruppo chiuso. Shakyamuni insegnava ai discepoli a viaggiare per il Paese come religiosi itineranti, per aiutare gli esseri umani a raggiungere la felicità.

Un organismo è un nodo in cui interagiscono gli ideali e la realtà. Un ente deve impegnarsi in un cambiamento della realtà in vista di un ideale, mentre l'interazione con la realtà tramite un ente impedisce che un ideale si trasformi in un dogma ristretto.

Tehranian: Disgraziatamente, però, negli ultimi anni l'individualismo si è spinto troppo oltre, e insieme con questo si è diffusa la tendenza a evitare di aderire alle organizzazioni. Per fortuna i Paesi musulmani si incontrano periodicamente nella Conferenza degli Stati Islamici.

Ikeda: I gruppi basati sull'esclusivismo vanno biasimati. Dobbiamo esaminare da vicino una data organizzazione sulla scorta degli ideali che professa e del genere di contributo che offre alla società.

Esistono gruppi umani di ogni genere, compresa la famiglia. Se respingiamo completamente le organizzazioni, alla fine potrebbe accadere che l'apparato statale diventi <>. In effetti, il Novecento è stato testimone di molti esempi di Stati divenuti troppo potenti. Dietro l'attuale inclinazione a non entrare nelle organizzazioni non posso vedere altro che il duplice cancro dell'egoismo e dello statalismo. Ciò che ora ci occorre è costruire una rete di solidarietà fra i popoli, attraverso le frontiere nazionali. 

Tehranian: Lo credo anch'io. Il dialogo è il metodo con cui realizzare questa rete. Il Toda Institute dispone di un Consiglio consuntivo internazionale formato da oltre quattrocento eminenti personalità di ogni parte del globo, e si stà espandendo.

Ikeda: Per un'organizzazione, il dialogo è il sangue che trasporta l'ossigeno e il nutrimento in tutto il corpo, e la sua presenza o assenza ne determinano la vita o la morte. 

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PROSSIMA PUBBLICAZIONE AL PIU' PRESTO.

 

 
 
 

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