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IO SONO ANAFFETTIVO...

Post n°75 pubblicato il 14 Aprile 2016 da manu650
 

Questa volta copio pari pari un'esternazione che condivido al 100%...aspetto commenti:

"Le persone anaffettive esistono e non sono apparenti!
Se preferisci posso utilizzare il termine black out emotivo momentaneo, che è meno categorico e lascia spazio a uno spiraglio di salvezza per chi ne soffre. Su questo tema, purtroppo, ho le mani legate perché devo prendere una posizione, e non è quella che va verso la direzione del pareggio tra Adamo ed Eva. Non me ne volere, e non me vogliate Adami, ma l’anaffettività è ancora prerogativa maschile, ma sono ottimista, e credo che le cose stiano cambiando.

 

Gli uomini, sono vittime di una tradizione storica che impone loro di ipercontrollare le emozioni e l’affettività. Inoltre questa intolleranza emotiva, è accentuata, spesso e volentieri, dal comportamento iperprotettivo delle laboriose apiregine madri italiane che, nell’intento cosciente di frantumargli le palle, finiscono, di fatto, con il determinare nei figli, una deprivazione emotiva indotta che non fa germogliare in loro la voglia di donare e donarsi in un’autentica relazione a due.
Offro la mia testimonianza per avvalorare questa tesi. Chi è l’anaffettivo in questione? Una decina d’anni più di me. Megadirettore , dott. ing. Gran Mascalzon. pezz. di merd., della famosissima ditta vattelappesca (reminiscenze fantozziane per attutire il colpo). Nella sua cucina, tra un cetriolo, il mio peggior nemico, e il pane che esce dal forno, che mi obbliga ad assaggiare quando la temperatura è ai massimi livelli storici, se ne esce guardandomi con occhi piagnucolosi e mi dice: “Tu non lo sai, ma io sono un anaffettivo”.
Mani davanti e dietro ovvero “non ti illudere, non voglio relazioni stabili”, questo è stato il suo infelice esordio che mi ha tolto ogni bramosia culinaria e sessuale. E in ogni caso era cosa insensata, perché non sono mai stata colta dalla folle idea di chiedere la sua mano e, tanto meno, ho mai mostrato alcuna sindrome da candy candy.
Inguaribile recidivo e monotematico, insiste e ripropone la sua anaffettività più di una volta Repetita iuvant? In questo caso le cose ripetute creano l’effetto opposto a quello desiderato. Difatti sono dovuta tornare a casa con la scusa di una brutta indigestione ...
Riparto da questa affermazione: non è che non mi ama… è che non è capace. Eccola qui, la nuova dilagante scusa che le donne, non tutte, trovano per giustificare un compagno non proprio attento. L’anafettività, è diffusissima, come stato transitorio o permanente. Siamo praticamente circondati da persone diversamente abili anaffettivamente. In loro vi è una reale difficoltà ad esprimere le emozioni.
Le cause? Spesso è la paura di soffrire, magari perché traumatizzate da un’esperienza negativa o da un vissuto difficile che li portano a non riuscire a fidarsi e a legarsi ad un’altra persona. C’è poi chi le emozioni le vive dentro di sé, ma non riesce ad esprimerle all’esterno. A questo si aggiunge anche la paura di far vedere all’altro le proprie fragilità, soprattutto per chi vuole a tutti i costi mostrarsi forte e sicuro di sé (anaffettività narcisistica). Altre volte è invece, una vera e propria caratteristica personale, direi una scelta (nella misura in cui noi possiamo “scegliere” di essere quello che siamo). Mi domando allora, in modo provocatorio, se non sia il caso, una volta per tutte, di smetterla di sovrapporre il concetto di malattia/disturbo/patologia, a scelte di vita diverse dalle nostre.
Un vero anaffettivo ha, comunque, un virtuale buco nero nell’anima e ha bisogno di aiuto per risolvere il suo disagio che può anche essere il sintomo di problematiche più importanti (volo basso). È molto importante, quindi, diventare pienamente consapevoli dei propri vissuti emotivi, rendersi conto di quanta paura si abbia nell’instaurare una relazione intima. Riconoscere questa paura è fondamentale, ma non è facile, perché la stessa può mascherarsi dietro altri comportamenti: chiusura, disinteresse, stanchezza, investimento totale nel lavoro ecc. Se impariamo a guardare in faccia la paura e a chiamarla con il proprio nome, allora è possibile imparare a conviverci e infine trasformarla.
Istruzioni per l’uso (maneggiatevi con cura Adami):
1. Non chiudete mai la porta alla possibilità di provare un sentimento per creare un legame duraturo;
2. Evitate di anticipare negativamente l’esito della storia: se state pensando “ma io ho incontrato sempre persone sbagliate”, dovete anche chiedervi se non avete fatto in modo che le storie avessero tutte la stessa fine, anticipandone gli esiti negativi, secondo un meccanismo di profezia che si autoavvera;
3. Non fate paragoni con le storie precedenti, poiché ognuna ha dinamiche proprie;
4. Parlate con la propria compagna e condividete quello che state provando: timori, ansie,aspettative. Potreste rimanere piacevolmente colpiti dalla fiducia e dalla capacità dell’altro di ascoltarvi ed “esserci”.
Le azioni consigliate a noi Eve:
1. Lasciamo il giusto spazio. È inutile cercare in continuazione la persona che si frequenta, per poi ottenere il risultato contrario, e cioè farla scappare. Sarebbe molto più salutare per entrambi farsi sentire il giusto necessario, senza esercitare pressioni inutili.
2. Concediamo del tempo. Accettiamo l’idea che non tutti hanno i nostri stessi “tempi di innamoramento”, e che magari l’altro impiegherà di più per accorgersi che dentro di sé qualcosa sta cambiando, che un sentimento sta iniziando a nascere e che può fidarsi di noi.
. . . FINALE…
Amare non è un obbligo morale e neppure un segno di salute mentale. Amare e` una scelta, e la sua bellezza sta proprio nella sua liberta`, proprio per questo difendere la dignità e la salute mentale di chi sceglie di non amare è l’unico vero modo per amare l’amore."

cit. GAIA PARENTI da un blog di Vanity fair

 
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